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Enfield Nº
2 Mk I
Scheda di Pat, arma fotografata dalla sua collezione. Cliccare sulle immagini per vederle ingrandite.
Il Grande Furto?
Probabilmente sì. Ma andiamo con ordine.
Al termine della prima guerra mondiale, l’arma corta d’ordinanza
dell’esercito britannico era
il revolver Webley Mk VI in calibro
.455, di cui abbiamo parlato in questa scheda. Un’ottima
arma, che aveva dato buona prova di sé nelle terre dell’Impero e
nelle trincee della Grande Guerra e che sparava una cartuccia
precisa, potente e con un ottimo potere d’arresto. Ma proprio sulla
base di queste esperienze, le autorità militari britanniche erano
giunti a considerarla “eccessiva”, tanto che a partire dal 1921
iniziarono a pensare di rimpiazzarla con un revolver più piccolo ma
ugualmente “energico”, orientandosi verso un calibro .38, che
avrebbe consentito di ridurre sia la potenza che i costi, in modo da
rendere più economico l’addestramento delle reclute. Alla fine della
guerra le forze armate britanniche si erano trovate ancora una volta
inspiegabilmente in carenza di armi corte, per cui si decise
l’acquisto di una nuova ordinanza. Per questo il
War Office, rigorosamente
tradizionalista e non propenso a dotarsi di armi rientranti nella
nuova categoria delle pistole semiautomatiche (al termine del
conflitto aveva esplicitamente dichiarato che lo standard sarebbe
rimasto il revolver), nello stesso 1921 inoltrò una specifica
richiesta alla Webley & Scott, alla quale la ditta rispose
presentando una versione modificata di un suo vecchio modello di
revolver, il Mk III Police &
Civilian Pocket Model, in calibro .38 S&W. Il
War Office apprezzò l’idea e formulò alcune considerazioni,
chiedendo un modello più perfezionato dell’arma. Questo venne
consegnato all’inizio del 1922, indicandolo per la prima volta come
Mk IV. Furono quindi richieste lievi modifiche e, soprattutto, la
cameratura di una cartuccia più potente. Questa venne messa a punto
attraverso il lavoro combinato della Webley & Scott e della Kynoch
Ltd. (la fabbrica di munizioni che già forniva la .455 Webley), che
decisero di abbinare il bossolo della vecchia .38 Smith & Wesson ad
una palla da 200 grani pesante e lunga, ipotizzando che, a causa
della sua conformazione, una volta raggiunto il bersaglio tendesse a
ribaltarsi mentre attraversava i tessuti, ottenendo un’elevata
capacità vulnerante. Nasceva così la “.38/200 S&W” che entrerà in
servizio con la denominazione ufficiale di “Cartuccia per pistola
380 Mk I” (con palla in piombo nudo) cui seguiranno una Mk II (con
una palla FMJ da 180 grani per adeguarsi alla Convenzione di
Ginevra) ed una Mk IIz (in cui la cordite venne sostituita dalla
nitrocellulosa).
A questo punto, però, accade una cosa “strana”. Lo
Small Arms Committee
approva l’impostazione generale del progetto e incoraggia la Webley
ad andare avanti, ma al tempo stesso passa il tutto alla
Royal Small Arms Factory
di Enfield (che dal 1921 già costruiva il Mark VI), per inserire
queste idee nelle armi allo studio presso di loro. Solo che… si
dimentica di informare la Webley della cosa. Così, i due gruppi di
studio procedono parallelamente nel lavoro, ma… l’uno all’insaputa
dell’altro (o – almeno – la Webley all’insaputa di quanto si faceva
nell’arsenale). Ad Enfield l’incarico di seguire il progetto venne
affidato al vice-sovrintendente alla progettazione, il Capitano H.
C. Boys, che per il momento si limitò ad effettuare lievi modifiche
del disegno, piuttosto ininfluenti. Il primo contatto fra la Webley
e l’arsenale si ebbe all’inizio del 1923, quando il Capitano Boys si
rivolse proprio alla ditta di Birmingham per chiedere la
fabbricazione di due prototipi del suo nuovo revolver… che in
pratica era il loro! Ma alla Webley continuavano a credere di
lavorare in collaborazione e – pare – non sospettarono nulla. Le
cose andarono avanti più o meno in questo modo fino alla fine del
1926, quando lo Small Arms Committee approvò ufficialmente i disegni e stabilì di
effettuare i test di valutazione finale su sei revolver, che però
questa volta… furono prodotti ad Enfield. A questo punto, la Webley
era stata di fatto tagliata fuori dalle forniture governative di
un’arma che aveva progettato in proprio, ritenendo che quella
dell’arsenale fosse una semplice collaborazione. Alla fine del 1927
l’arma aveva ormai assunto le sue caratteristiche definitive ed
entro l’anno successivo furono fissate quelle della cartuccia. Ritenendo di aver subito un torto, la Webley & Scott chiese un risarcimento danni di 2247 sterline per coprire i costi di “ricerca e sviluppo” sostenuti fino a quel momento, che venne rifiutato dai dirigenti dell’arsenale, sostenendo la tesi secondo la quale il revolver era stato studiato e progettato presso di loro dal Capitano Boys con l’assistenza della Webley, e non il contrario. Le richieste della ditta furono respinte. In effetti, che il nuovo revolver non avesse nulla a che vedere con le realizzazioni e gli studi della Webley & Scott era evidente, basta guardarlo accanto alla vecchia Mark VI per notare che le due armi non hanno proprio nulla in comune… o no?
La Webley si rivolse al tribunale e vide parzialmente accolte le
proprie posizioni, poiché la
Royal Commission on Awards to Inventors le assegnò un
riconoscimento per complessive 1200 sterline (un colpo al cerchio e
uno alla botte…). Ma, al di là degli aspetti economici, questa
storia aveva irrimediabilmente rovinato i rapporti pluridecennali
fra la casa di Birmingham e il
War Office. Quest’ultimo fece sapere che non si sarebbe mai più
rivolto alla Webley per ordinare forniture militari. Tuttavia, pochi
anni dopo, a causa degli eventi bellici, la Webley & Scott realizzò
comunque per le forze armate britanniche dei revolver in calibro
.38/200, il modello Mk IV, ma quella è un’altra storia…
Il 2 giugno del 1932 (undici anni dopo la prima richiesta da parte
del War Office) il nuovo revolver (che in realtà era già in
distribuzione dal 1927) venne infine adottato ufficialmente, con la
denominazione di “Pistols, Revolver, No.2 Mark I, 0.380 inch, with 5 inch barrel”.
Inizialmente destinato alle sole truppe terrestri, fu in seguito
distribuito anche alla RAF (nel 1934) e alla Royal Navy (1939). Le
esportazioni, anche solo ai paesi dell’Impero, furono estremamente
limitate. Un piccolo quantitativo (circa 600 pezzi) finì alla
Royal Canadian Air Force
(1937-1939) e un migliaio di revolver andarono in Irak. Adottata più di un decennio dopo essere stata richiesta, la nuova arma venne quasi subito (1936) considerata obsoleta dai vertici militari britannici. Le truppe l’avevano invece accettata volentieri e non se ne lamentavano, con una sola eccezione, quella dei carristi (il Royal Tank Regiment) che invece ne segnalavano negativamente la tendenza ad impigliarsi nelle sporgenze delle pareti e dei portelli e ad ostacolare i movimenti negli spazi ristretti. Strano che con il modello precedente, molto più grosso, nessuno se ne fosse accorto… ma forse la cosa dipendeva dal fatto che più il tempo passava e più i carristi aumentavano di numero e di importanza. È a questo punto che qualche genio ha un’illuminazione: in risposta ai rilievi mossi al revolver vennero studiate alcune modifiche e il 22 giugno del 1938 veniva ufficialmente adottata la versione “Pistols, Revolver, No. 2 Mark I*”, caratterizzata dal fatto di avere un cane privo della cresta e del dente per lo scatto in singola azione e – quindi – capace di sparare solo in doppia azione. Inoltre, veniva prevista una nuova molla principale (più debole, in modo da offrire una minore resistenza per adattarsi al nuovo tipo di azione) e un nuovo tipo di guancette, con poggiadito.
Con la stessa disposizione, veniva stabilito che la versione
precedente (senza asterisco) era dichiarata obsoleta e che tutti i
vecchi esemplari avrebbero dovuto essere convertiti nel nuovo
modello, eseguendo gli opportuni interventi, in occasione del loro
primo passaggio, per un motivo qualsiasi, nelle fabbriche
governative. La produzione (e la consegna) di lotti di prova di
revolver del secondo modello iniziò ben prima della loro adozione
formale, nel 1936; i primi richiami in fabbrica per la conversione
di quelli precedenti iniziarono invece solo nel 1939. Nello stesso
anno, o nell’ultimo terzo di quello precedente, iniziò la produzione
regolare dei Mark I*.
Il Mark I (senza asterisco) non sarà stato un capolavoro di eleganza
o una collezione di scelte tecniche raffinate, ma era una buona
arma, robusta, precisa ed affidabile, capace di svolgere bene il suo
lavoro sul campo di battaglia. Con la modifica a Mark I* si ottenne
un unico vantaggio (il minore impigliamento e – forse – una maggior
facilità di estrazione), in cambio di una serie di svantaggi
piuttosto gravi. Ad esempio, la doppia azione (l’unica possibile)
risulta dura e non permette di tenere correttamente l’arma in
punteria, per il cui il bersaglio può essere colpito solo da
distanze molto ravvicinate. E si tratta essenzialmente di un’arma da
difesa, alla quale l’utilizzatore dovrebbe affidare la propria vita.
Si ignora quale accoglienza abbiano riservato i carristi al nuovo
revolver, ma sicuramente a tutti gli altri non piacque. Vi furono
critiche e, soprattutto, chi se lo vedeva assegnato lo sostituiva
alla prima occasione (che in un contesto bellico non mancava) con le
semiautomatiche o i revolver degli altri eserciti impegnati nel
conflitto, di ambo le parti. Molti ufficiali per l’impiego sul campo
preferirono dotarsi di uno Sten. Restando ai revolver, chi poteva
scegliere si faceva assegnare “l’altro” .38/200,
lo Smith & Wesson “British
Service”di cui abbiamo parlato in questa scheda.
In effetti, nella sua seconda versione l’Enfield era un’arma poco
precisa (a causa della sola doppia azione), che utilizzava una
munizione da molti ritenuta insufficiente e con tutti gli svantaggi
e i limiti che un revolver poteva presentare rispetto ad una
semiautomatica. Ma invece di pensare ad una sostituzione radicale,
le autorità continuarono a richiedere aggiornamenti e varianti.
Così, nel 1942 (dopo alcuni tentativi più o meno sperimentali e
tutti abortiti – per fortuna) si giunse ad un’ulteriore
modificazione (ufficialmente definita come “Pistols,
Revolver, No.2 Mark 1**”), quando le modalità di costruzione
vennero “semplificate” per soddisfare le necessità belliche. La
semplificazione consistette semplicemente nell’eliminazione della
sicura automatica al cane, così che – in caso di caduta dell’arma –
era molto più facile spararsi da soli… o sparare al proprio
commilitone vicino. Sicuramente si verificarono molti incidenti.
Anche in questo caso, era prevista la conversione delle armi
rientrate in fabbrica per vari motivi.
Oltre che ad Enfield, fra il 1941 e il 1943 circa 40.000 esemplari
vennero realizzati da una ditta scozzese, la
Albion Motors di Glasgow,
che li contrassegnò con il proprio logo. Qualcuno dice che il numero
degli esemplari prodotti sia stato circa la metà (20-24.000), ma
l’analisi dei campi matricolari fa propendere per la stima più alta.
In seguito, a partire dal marzo del 1943, il contratto per la
produzione e tutti i macchinari e i materiali passarono alla
Coventry Gauge & Tool Co.
di Coventry, vicino a Birmingham, che non produsse alcun revolver,
ma ne assemblò un numero molto limitato e di qualità piuttosto
scadente, marcandoli con la scritta “C.G.1” sul tamburo. In
sostanza, non vi furono altri produttori. La
Singer Sewing Machine Company
di Clydebank fabbricò dei componenti, contrassegnati come “SSM”, che
però furono assemblati a Enfield. Nel 1941, in Australia, nel Nuovo
Galles del Sud, si cercò di avviare una produzione di Mark I* e Mark
I** presso la Howard Auto
Cultivator Company (HAC), una ditta che produceva macchine
agricole. Tuttavia, a causa dell’assoluta inadeguatezza dei
macchinari forniti dalle autorità governative e dell’inesperienza
delle maestranze e dei tecnici il tentativo fallì completamente e
vennero realizzate solo poche centinaia di pezzi di scadente
qualità.
La produzione complessiva del revolver britannico continuò fino al
1945, terminando con la guerra o poco prima. Successivamente si
effettuò solo più un’attività di manutenzione. Nel 1952 la sicura
venne reintrodotta, e in seguito reinserita anche sulle armi che
tornavano in arsenale per riparazioni o manutenzione. L’Enfield
rimase in servizio fin quasi alla fine degli anni Sessanta, quando
fu sostituito dalla pistola semiautomatica Browning HP 35 in calibro
9 Parabellum. La lunga storia di impiego di quest’arma, anche in
contesti bellici, fa sì che a volte ci sia un po’ di confusione:
capita (in certi casi anche spesso) che il sistema degli asterischi
e le date indicate non siano coerenti con le reali caratteristiche
delle armi sui cui sono impresse.
Per l’Enfield N. 2 Mark I e – occasionalmente – per il Mark I*
furono realizzare delle conversioni in calibro .22 L.R., per un
addestramento con munizioni a basso costo e gare di tiro fra
militari. Ne esistono di due tipi, una irreversibile, ottenuta con
la ritubatura della canna e delle camere del tamburo e intervenendo
sul mirino, e l’altra estraibile, realizzata dalla Parker Hale e già
usata sul Mark VI e su altri revolver, da impiegare con un tamburo
sostitutivo.
Esiste un ultimo tipo di “Revolver Enfield”, una specie di mostruoso
Mark I* dalla canna estremamente corta (2-3 pollici), di tipo
snub-nose, spacciato come
modello speciale da “Commando” o da “Carristi”, o da polizia in
borghese. Niente di tutto questo: negli anni Sessanta, vari
importatori degli USA acquistarono un numero enorme di armi, fra cui
moltissimi revolver Enfield, per introdurli sul mercato civile del
loro Paese. Alcune di queste ditte, come la
Seaport Traders o la
Golden State Arms, ma non
solo, decisero di accorciare le canne di queste pistole per renderle
più desiderabili per i privati e quindi più commercializzabili. La
pubblicità di queste armi si trovava spesso in molte riviste del
settore fra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta.
Dal punto di vista del collezionismo delle ex-ordinanza non si
tratta quindi di “pezzi rari” quanto piuttosto di “nuovi mostri”…
non proprio nuovi. A questo punto, come sempre, passiamo ad esaminare nel dettaglio l’arma fotografata per questa scheda. Il lato sinistro l’abbiamo visto in apertura, osserviamo quindi il destro:
Le caratteristiche generali dell’arma ricalcano quelle del Webley Mk
VI, di cui l’Enfield riprende la linea. Tuttavia, in questo
esemplare, come in molti altri, si nota già a prima vista
un’incongruenza: si tratta infatti di un Mk I che monta le guancette
del MkI*. L’argomento merita un approfondimento. Nel tempo, le
guancette di questi revolver hanno subito un’evoluzione, con cambi
di caratteristiche e di denominazione, come si può vedere
nell’immagine sottostante:
Da sinistra a destra, troviamo:
1 – Guancette Mark I, in noce, zigrinate, per armi del campo
matricolare 1-prefisso C, anni 1927-1934;
2 – Guancette Mark I, in noce, solcate da righe inclinate che
arrivano fino alla sommità in alto (mentre in quelle precedenti
questa parte era liscia), per armi del campo matricolare prefissi
D-F, anni 1935-1938;
3 – Guancette Mark II, in noce, solcate da righe inclinate, con
poggiadito su entrambi i lati e dischetto reggimentale in ottone,
per armi del campo matricolare prefissi G-Q, anni 1938-1942;
4 – Guancette Mark II, in noce, solcate da righe inclinate, con
poggiadito su entrambi i lati ma senza dischetto reggimentale in
ottone, per armi del campo matricolare prefissi Q-R, anno 1942; 5 – Guancette Mark III, in bachelite, con poggiadito su entrambi i lati e dischetto reggimentale in ottone o acciaio, per armi del campo matricolare con prefissi successivi a R, anni 1942-1945.
Come si vede le tipologie sono cinque, ma le denominazioni ufficiali
(Mark) sono soltanto tre. Le forme, essenzialmente, sono due: un
prima versione, più bassa, per il MkI e una più alta per il Mk I*.
Quest’ultima è senz’altro più confortevole, studiata per tentare di
compensare le difficoltà derivanti dalla possibilità di sparare solo
in doppia azione, anche se la sua presenza va un po’ a discapito
dell’operazione di apertura dell’arma, che viene leggermente
ostacolata dalla vicinanza della leva al poggiadito sinistro.
Proprio per questo, si riscontrano talvolta degli esemplari in cui
l’appoggio per il pollice a sinistra è stato parzialmente abraso.
Sulla guancetta di destra (e molto più raramente anche su quella di
sinistra, ma solo su quelle in legno e non su quelle in bachelite)
era incassato un dischetto metallico in ottone o acciaio, a seconda
dei casi, dello stesso tipo utilizzato per i fucili Enfield e
destinato a venire inciso con la sigla dell’unità a cui l’arma era
stata assegnata, ma la cosa non venne fatta quasi mai.
Fin qui, la teoria. Ma nella realtà questi revolver passarono per le
mani di utilizzatori con preferenze personali, officine degli
arsenali, conversioni e riconversioni, riparazioni, armieri di
reparto, ecc., ecc., per cui si trovano tutte le possibili
combinazioni: guancette Mk II (con poggiadito) su revolver Mk I
(senza asterisco), perché ritenute più comode, ma anche il contrario
(guancette Mk I su revolver Mk I*), guancette in bachelite su armi
che dovrebbero averle in legno, e viceversa, e così via. Dal momento
che in genere si tratta di interventi effettuati prima che questi
revolver venissero dismessi e passassero nel mercato civile, tutte
le soluzioni sono ritenute valide. Si tratta di una situazione
analoga a quella della configurazione meccanica, dove a causa di
conversioni, riconversioni, riparazioni e personalizzazioni varie
non si ha sempre una corretta corrispondenza fra la situazione reale
dell’arma in esame e quella che dovrebbe essere sulla base di numeri
di matricola, date di produzione e asterischi. Osservando il revolver dall’alto si apprezzano altre caratteristiche:
L’elemento che caratterizza maggiormente la linea dell’arma è la
presenza delle alette laterali, comparse per la prima volta sul
Webley Mark III, che facilitano l’inserimento in fondina; fino al
Webley Mark VI venivano macchinate dal pieno durante la
realizzazione del pezzo, con un costo di produzione elevato e
ingiustificato. Nell’Enfield invece furono realizzate a parte e
successivamente fissate all’arma.
Gli organi di mira sono il mirino (intercambiabile, a sezione
rettangolare, del tipo a lama e avvitato alla canna, con il margine
posteriore inclinato in funzione antiriflesso) e la tacca di mira,
realizzata per fresatura sul margine superiore della leva di sblocco
del telaio
È un’arma britannica. Quindi, si deve considerare normale che sulle
superfici esterne ci siano quasi più punzoni che zone libere.
Il calibro (indicato semplicemente come “CAL. 38”) è impresso sulla
sommità della canna, al centro, come si può vedere nella foto
dall’alto presentata più sopra. Sempre sulla canna, ma più
posteriormente, vicino al telaio, è indicato l’anno di produzione
(’35) insieme ad una broad
arrow e al proof mark.
L’anno è riportato anche, in misura molto più evidente, sul lato
destro del castello, insieme all’indicazione del modello e della
casa produttrice e alla corona di Re Giorgio:
Questo logo elaborato venne abolito nel 1941, per semplificare la
produzione, e sostituito da un marchio, una sorta di D con un
trattino a metà del lato diritto, ottenuto dalla sovrapposizione
delle lettere E, F e D, che indicava la fabbrica di Enfield ed è già
presente in parecchi punti anche sull’arma qui fotografata. Si
tratta di un contrassegno già in uso ad Enfield dall’inizio del
Novecento e utilizzato anche in seguito.
Ci sono poi moltissimi punzoni di ispezione e accettazione, sparsi
un po’ ovunque: il proof mark
che indica la prova a fuoco militare, costituito dalla corona di Re
Giorgio (G.R.) (1911-1936) sopra i pennoni incrociati e la lettera
P, la broad arrow di accettazione militare e il punzone di ispezione di Enfield
(corona - numero dell’ispettore - lettera E diritta o rovesciata).
Nell’ultima immagine, ripresa dopo la rimozione
delle guancette, si apprezza anche un’altra caratteristica: la
presenza delle 45 scanalature fresate sul dorso dell’impugnatura che
favoriscono il maneggio dell’arma (abolite nel 1944). Anche il tamburo è coperto di punzoni; sulla faccia rivolta verso il tiratore è possibile osservare il proof mark della prova a fuoco (corona di Re Giorgio sopra i pennoni incrociati e la lettera P), la broad arrow dell’accettazione militare, il punzone di ispezione di Enfield (corona - numero dell’ispettore - lettera E rovesciata) e il marchio di Enfield (la D col trattino).
Inoltre, sul fianco è presente una sigla alfanumerica che indica il lotto di acciaio utilizzato per la fabbricazione. Teoricamente, tutti i revolver avrebbero dovuto essere così contrassegnati su canna, telaio e tamburo; in realtà, questo punzone si osserva solo sul tamburo, e solo in un numero piuttosto limitato di esemplari.
Dopo la dismissione da parte dell’amministrazione militare,
sull’arma è stata impressa un’altra serie di punzoni, con i banchi
civili. È possibile vederli sul lato sinistro, nella zona sotto la
canna e davanti al tamburo. In particolare troviamo: su due righe, i
numeri .38”, .767’ (indicazione del calibro) e 3 ½
tons (valore indicativo
della pressione di esercizio e non di quella massima), in vigore
dagli anni Ottanta per le armi poste in vendita sul mercato civile,
il marchio dei “pennoni incrociati” (che indica il superamento del
collaudo) con le lettere O B, che corrispondono al 1963 e il BNP (British
Nitro Proof) coronato, usato dal Banco di Birmingham dal 1954 al
1972 per le armi esportate. Quest’ultimo è presente in diverse altre
sedi, tra cui le sei camere del tamburo che sono quindi state
collaudate singolarmente.
Infine, le matricole. Sono impresse in tre punti diversi, uno per
ognuna delle parti principali dell’arma: canna, castello e tamburo:
La matricola dei revolver di Enfield è costituita da un numero di 4
cifre preceduto da una lettera (prefisso) che cambiava
progressivamente. Benché siano possibili errori e varianti, in
genere è possibile ritenere attendibile questo quadro riassuntivo:
Come i suoi predecessori studiati e realizzati dalla Webley,
l’Enfield N° 2 Mk I è un revolver ad apertura basculante. Questo
meccanismo fa sì che al culmine dell’escursione l’estrattore a
stella fuoriesca dal tamburo, determinando l’espulsione dei bossoli
esplosi, in modo da facilitare notevolmente il ricaricamento
dell’arma.
Con il revolver aperto si osserva un’altra caratteristica
interessante:
Come nei revolver Webley, dal primo Mark I* al Mark VI, lo scudo di
culatta è costituito da un pezzo a sé stante, in acciaio temprato e
tenuto in sede da una vite. Avendo osservato che il foro per il
passaggio del percussore tendeva facilmente ad erodersi, lo scudo
era stato realizzato separatamente, in modo da permettere anche ai
semplici armaioli di reparto di ripristinare subito la funzionalità
di un’arma danneggiata, col il solo montaggio di un ricambio.
Dopo la sua adozione, il revolver fu inizialmente portato nelle
vecchie fondine già in dotazione, nelle quali calzava abbastanza
bene. Tuttavia, il 28 marzo del 1935 venne adottata una fondina in
tela più piccola, su misura per l’Enfield. La messa a punto della
nuova buffetteria in tela venne completata nel 1937 e risultò
pienamente operativa l’anno successivo. Nella foto qui sotto, il
revolver in una fondina Pattern 37.
Concludiamo
con dati tecnici dell’esemplare esaminato:
Bibliografia:
Libri: Loriano
Franceschini – Al servizio di
Sua Maestà – Un secolo di revolver militari britannici – 1854-1957
– Ermanno Albertelli Editore, Parma, 2011, pag. 103-123 Edward C. Ezell –
Handguns of the World –
Marboro Books Corporation/Stackpole Books, Mechanicsburg,
Pennsylvania (USA), 1991 – Pagg. 504-514
Articoli: Fausto Serra
– Il revolver d’ordinanza
Enfield N. 2 Mk 1; Diana Armi; 1971; 01; 48
Sergio Lorvik –
Revolver Enfield N.2 Mark 1e N. 2 Mark 1*; Armi Magazine; 2001; 03;
112
Internet:
http://ai4fr.com/main/page_militaria__collectibles_england_no2mki.html
https://www.thehighroad.org/index.php?threads/enfield-number-2-mark-1-snub-nose-revolver.813566/
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