Webley & Scott Mark VI

Icona dell’Impero.

 

 

Scheda di Pat - arma fotografata della sua collezione privata.

 


Un revolver circondato dall’aura del “mito”, caratterizzato da una “linea di famiglia” inconfondibile. Un autentico simbolo dell’Impero Britannico. Quando venne adottato, rappresentò il culmine di un processo evolutivo incominciato molto, molto prima …

La nostra storia inizia a Birmingham, un luogo molto noto a chi si occupa di armi, dal momento che fin dalla fine del XVIII secolo era uno dei principali centri di produzione del settore nel Regno Unito, se non il principale. Qui, nel 1835 un giovane intraprendente e di belle speranze, un certo Phillip Webley, nato nel 1812, terminò il proprio apprendistato di sette anni presso l’officina dell’azzaliniere Benjamin Watson jr. e si unì al fratello James per costituire la ''Webley Brothers Percussioners, Gun Lock & C.” La neonata ditta si occupò inizialmente della produzione di attrezzature per fucili, ma a partire dal 1853 si dedicò anche alla realizzazione di revolver. Si trattava di armi di buona qualità, che però inizialmente subirono la concorrenza dei molto più “rinomati” modelli d’oltreoceano. Tuttavia, in seguito alla chiusura della fabbrica Colt di Londra, avvenuta nel 1857, iniziarono a riscuotere un buon successo di vendite sia in Patria che all’estero. Sin dall’inizio, e per tutta la durata della loro produzione, i revolver Webley furono sempre apprezzati per la cura dell’esecuzione e l’affidabilità del funzionamento; nessuna critica venne mai mossa a questi due aspetti. Nel corso del decennio 1860-70 alla Webley vennero associati i due figli di Phillip, Henry e Thomas William e, dato che James era morto nel 1856, la ditta assunse il nome di “P. Webley & Sons”. Il 1887 fu un anno importante: oltre ad ampliarsi attraverso l’acquisizione di una valida azienda, la Tipping and Lawden, la Webley ottenne il primo di una lunga serie di contratti governativi per la fornitura di un revolver, in seguito noto come “Mk I Government model”, destinati a sostituire i deludenti Enfield in uso all’epoca. Phillip Webley morì nel 1888, riuscendo così a vedere una delle sue armi ufficialmente adottata dall’esercito britannico. Dieci anni dopo, nel 1897, la “P. Webley & Sons” si fuse con la Richard Ellis & Sons e acquistò la ditta dei fratelli William & Charles Scott & Sons, fondata nel 1832, che a partire dal 1845 circa si era fatta una buona fama nel settore della produzione dei fucili di pregio. Nasceva così la “Webley and Scott Revolver and Arms Co. Ltd.” (che nel 1906 sintetizzò la propria denominazione in “Messrs Webley & Scott Ltd.”), destinata a produrre l’arma di cui ci occupiamo in questa scheda.

Come abbiamo detto, il Mark VI fu il culmine di una lunga evoluzione. I primi revolver Webley furono ad avancarica, seguiti da altri con accensione a spillo o a percussione anulare. Nel 1867 venne immesso sul mercato il primo grande successo della casa: quel modello Royal Irish Constabulary (R.I.C.), a sei colpi calibro .450, con castello chiuso e doppia azione, destinato ad essere adottato, oltre che dalla polizia reale irlandese da cui prese il nome, anche dalla polizia coloniale in Sud Africa e in Australia e da diverse polizie locali in Inghilterra, per poi trovare una buona diffusione commerciale, sul mercato privato, in molti Paesi sui due lati dell’Atlantico. Furono prodotte anche alcune varianti in calibri minori.
Nel 1878 comparve il modello Army Express, che incorporava due novità (il calibro di ordinanza .450/.455 e una meccanica a cane rimbalzante con blocco del tamburo), ma – a dispetto del nome beneaugurale che gli era stato attribuito – non venne adottato dall’esercito britannico e fu acquistato solo dal Libero Stato dell’Orange, in Sudafrica. Il vero scatto evolutivo avvenne quasi dieci anni dopo. In questo arco di tempo furono introdotte due importanti innovazioni, una di tipo meccanico e l’altra di tipo concettuale, relativa al processo produttivo. La prima fu la realizzazione di un revolver a telaio articolato ed espulsione simultanea dei bossoli, caratterizzato da un formidabile sistema di chiusura, in grado di reggere tranquillamente le sollecitazioni imposte dalla cartuccia d’ordinanza. Spesso viene riferito che l’idea di questa chiusura non fosse un progetto originale della Webley, ma di un armaiolo meno noto, un certo Edwinson Green, che, a seguito di una battaglia legale, riuscì a farsene riconoscere la paternità, tanto che al nuovo revolver, in commercio dal 1882, venne dato il nome di “Webley-Green”. In seguito la casa di Birmingham avrebbe rilevato il brevetto ed eliminato il nome dell’ideatore dai successivi modelli militari. In realtà, le cose sarebbero andate diversamente: su nessun revolver appare inciso il nome “Green”; si trova invece nelle registrazioni commerciali, a partire dal 1883, e poi sui revolver dal 1889, una dicitura “WG”, che però va intesa non come le iniziali dei due cognomi, ma come “Webley Government”; tra i due produttori risultano esserci stati dei contrasti, ma nessuna causa legale vera e propria; infine, non è registrato alcun brevetto per una chiusura di questo tipo a nome Green, mentre la Webley ne aveva uno del marzo 1885. In ogni caso, indipendentemente da chi ne fosse stato l’ideatore, il nuovo sistema costituiva un notevole progresso. L’altra novità fu l’applicazione rigorosa del concetto di intercambiabilità delle parti, un’idea che aveva già affascinato Phillip Webley (che aveva potuto apprezzare i moderni concetti industriali di Colt), ma venne sviluppata dai suoi eredi. Non si trattava di produrre pezzi “simili”, ma proprio “identici”, che permettessero ai vari armaioli di reparto (cioè ad operatori in genere di livello medio-basso) di sostituire una parte danneggiata con una di ricambio nelle loro semplici officine sparse in ogni remoto angolo dell’Impero, senza bisogno di attrezzature o competenze elevate. A dirlo oggi sembra facile, ma nella seconda metà dell’Ottocento, quando le armi (e non solo) venivano prodotte realizzando pezzi poco più che sbozzati destinati ad un successivo aggiustaggio manuale da parte di una manodopera specializzata, non era un problema da poco. I nuovi titolari dell’azienda, Henry e Thomas William Webley, studiarono a lungo la questione, recandosi anche a visitare diverse fabbriche in patria e all’estero, e finirono per farsi costruire appositamente a Birmingham i macchinari di cui avevano bisogno. A febbraio del 1887 i primi prototipi erano pronti per essere presentati alla valutazione governativa ed a giugno dello stesso anno giunse un primo ordine per la consegna di 10.000 pezzi, anche se l’approvazione ufficiale arrivò solo l’8 novembre successivo, quando l’arma fu adottata dal War Department come “pistol, Webley Mk I”. I modelli militari mantennero sempre la cartuccia .455 d’ordinanza (dapprima a polvere nera e poi, a partire dal 1894, caricata a cordite), ma vennero prodotti anche diversi revolver commerciali in altri calibri (.442 e .476).
Dopo la prima adozione del 1887, il governo britannico utilizzò i revolver Webley per oltre sessant’anni; la radiazione ufficiale risale al 1947, ma il loro impiego proseguì ben oltre questa data. È naturale che in questo arco di tempo sia stato sviluppato un gran numero di varianti: si arriva fino a Mark VI, ma se si considerano quelli con uno o due “asterischi” (ad es., Mk I*, Mk I**, ecc.) il totale è molto più alto, giungendo ad almeno una dozzina. L’arma di cui ci occupiamo è il revolver Webley Mark VI, adottato il 24 maggio del 1915 (una data che per noi ha altri significati…) e differisce dai precedenti per la forma squadrata del calcio e alcune lievi modifiche interne, volte a velocizzare la produzione (si era in piena guerra) senza influire minimamente sull’intercambiabilità delle parti.
Benché affiancato ai modelli precedenti (ed in particolare al MK IV ed al MK V, adottato appena a dicembre del 1913), rimasti ampiamente in uso, il Mk VI fu il revolver d’ordinanza britannico per tutta la Grande Guerra e venne distribuito a tutti coloro che avevano bisogno di un’arma corta: ufficiali, marinai, reparti d’assalto, aviatori, mitraglieri e carristi, dai quali fu ampiamente apprezzato (anche) per la sua capacità di non patire le durissime condizioni ambientali delle trincee. Tuttavia, la storia del suo impiego operativo non finì lì. Sostituito nel 1928 dall’Enfield in calibro .38/200 (sostanzialmente una spudorata copia del modello in calibro maggiore, tanto che la Webley citò in giudizio l’arsenale, ottenendo anche un risarcimento, sia pure parziale) tornò in uso nella seconda guerra mondiale, per contribuire ad alleviare la tragica carenza di armi corte dell’esercito britannico; soprattutto dopo Dunkerque si usò di tutto, e la vecchia ordinanza non fu certo fra i peggiori …
Anche dopo la fine della guerra questi revolver rimasero in servizio sia in Gran Bretagna che nei Paesi del Commonwealth. La loro sostituzione con la pistola semiautomatica FN Browning High Power (HP35) fu completata solo nel 1963, permettendo ai Webley di vedere anche la guerra di Corea e altri eventi bellici minori. Parecchi esemplari in .38/200 risultavano ancora in servizio presso varie forze di polizia nel 1970.
Negli anni ’20 vennero realizzate delle conversioni che permettevano di utilizzare questi revolver per sparare il .22 L.R. e altri calibri .22. In seguito, alcuni furono direttamente modificati nel calibro ridotto.

A questo punto, passiamo ad esaminare nel dettaglio l’arma fotografata per questa scheda. Il lato sinistro l’abbiamo visto in apertura, osserviamo quindi il destro:

 



Già da questa prima visione di insieme si apprezzano la linea inconfondibile, la meccanica in doppia azione e la sicura “a cane rimbalzante” (riconoscibili, rispettivamente, dalla posizione a riposo del grilletto e del cane stesso).

La vista dall’alto evidenzia invece altre caratteristiche:

 



si notano in particolare il profilo delle alette laterali, comparse per la prima volta sul Webley Mark III, che facilitano l’inserimento in fondina (un assurdità economica, considerando che venivano macchinate dal pieno durante la realizzazione del pezzo e che solo a partire dal modello in calibro .38/200 saranno realizzate a parte e successivamente fissate all’arma) e la lunga linea di mira, forse esagerata per un’arma militare, ma in grado di dare ottimi risultati al tiro. Il Mk VI era dotato di una canna dalla sezione approssimativamente esagonale e di lunghezza fissa, pari a 6 pollici (come quella dell’arma raffigurata). In precedenza, si trovavano molte varianti; il Mark V ad esempio era prodotto con canne da 3, 4, 5 e 6 pollici, a scelta; ciò era dovuto al fatto che gli ufficiali, dovendo provvedere autonomamente al proprio equipaggiamento, acquistandolo con fondi personali, avevano il diritto di scegliere la variante che preferivano. Il Mark VI fu invece acquistato dal governo, che optò per un’unica lunghezza di canna. Ciò non significa però che sia impossibile trovare un revolver di questo tipo con una canna di misura differente. Anzi, proprio grazie alla caratteristica dell’intercambiabilità delle parti dei revolver di servizio realizzati dalla Webley, risultano prodotte molte diverse combinazioni di castelli e lunghezze di canna. Questa pratica venne attuata in modo particolare negli anni della guerra, dal 1914 al 1918, quando lo scopo primario dello sforzo bellico era quello di fornire un’elevata quantità di armi ai combattenti e quindi si fece ampio uso di vecchie parti giacenti in magazzino (per cui non è così raro, ad esempio, trovare dei revolver formati da un castello Mark I con una canna Mark VI, un tamburo Mark V e un cane Mark II, perfettamente funzionanti e già usciti così dalla fabbrica di produzione).

Gli organi di mira sono il mirino, del tipo a lama e avvitato alla canna (mentre fino al Mark V era stato fuso con questa in un sol pezzo) e la tacca di mira, realizzata per fresatura sul margine superiore della leva di sblocco del telaio:




Questo meccanismo di chiusura, oltre ad essere quasi certamente il più robusto mai realizzato per i revolver basculanti, ha la caratteristica (molto apprezzata all’epoca) di non poter essere attivato inavvertitamente, ad esempio introducendo l’arma in fondina. A completare i sistemi di sicurezza, il revolver non può fare fuoco se il telaio non è completamente chiuso.

È un’arma britannica. Quindi, non deve affatto stupire che sia coperta di marchi e punzoni di ogni tipo …




Vediamoli un po’ più nel dettaglio: l’anno di produzione e il modello sono chiaramente riportati sulle due parti principali dell’incastellatura dell’arma:




sul top strap (il prolungamento della canna sopra il tamburo) si trovano, da sinistra a destra: l’anno di produzione (’17), il proof mark che indica la prova a fuoco, costituito dalla corona di Re Giorgio (G.R.) (1911-1936) sopra i pennoni incrociati e la lettera P, una broad arrow di accettazione militare, il punzone di ispezione di Birmingham (corona - lettera B - numero dell’ispettore, in questo caso 8), e infine, un po’ più indietro, il modello (MARK VI). Sul telaio invece, nella zona fra il tamburo e l’inserzione anteriore del ponte del grilletto, è visibile un punzone (ribattuto due volte, evidentemente per una lavorazione war finish che sarebbe stata considerata inaccettabile in tempo di pace) con il nome del produttore, il modello, l’indicazione dei brevetti e l’anno di produzione, su quattro righe, in modo da formare un ovale (WEBLEY - MARK VI - PATENTS – 1917).

Broad arrows e marchi di ispezione di Birmingham si trovano praticamente ovunque (cliccare sulle immagini che seguono per ingrandirle):


 

Un discorso a parte merita il tamburo: tutte le sei camere sono state punzonate (e quindi collaudate) singolarmente; poi, nel timore che qualcuno potesse avere dei dubbi, un punzone è stato apposto sulla faccia rivolta verso il tiratore…




Il “congedo” dell’arma, cioè la sua dismissione da parte dell’amministrazione militare, è attestato da un’altra serie di punzoni. Sul lato sinistro, sia sul supporto della canna, davanti alla cerniera di apertura, che sul telaio, in corrispondenza dell’inserzione posteriore del ponte del grilletto, si trova il Sale Mark, cioè il punzone (costituito da due broad arrow che si affrontano) che indica la destinazione alla vendita sul mercato civile …





… mentre sul lato destro, sempre sul supporto della canna, si trovano il Nitro proof del “braccio con la sciabola”, in uso dal 1904, che indica la prova definitiva presso il banco di Londra, e il punzone London Proof, espresso come LP/89. L’89 indica l’anno; questo punzone è in uso dal 1987.



Infine, ci sono le matricole. Sono impresse in tre punti diversi, uno per ognuna delle parti principali dell’arma: sulla canna,

 

 

sul castello,

 

 

e sul tamburo.





Non esistono dati certi sulla matricolazione dei revolver Webley Mark VI e, se è per questo, neppure sulla loro produzione. Le informazioni disponibili sono frammentarie, discontinue e in parte mancanti. È abbastanza certo che la fabbricazione iniziò nel 1915 con numeri di matricola intorno al 153000. L’ordine iniziale prevedeva un contratto aperto per la fornitura di circa 2.500 pezzi alla settimana, ma già in precedenza erano stati acquistati alcuni revolver dalla produzione commerciale. Alla fine della guerra, nel 1918, si era oltre il 430000. Durante il conflitto, nei due stabilimenti della Webley, a Birmingham e Stourbridge, furono realizzati 300-330.000 revolver (che non furono ritenuti sufficienti, per cui le forze armate di Sua Maestà acquistarono anche, nello stesso periodo, revolver Colt e Smith e Wesson, pistole Colt e revolver spagnoli Orbea Hermanos uguali alla nostra “Tettoni”, il tutto in calibro .455 e .45 ACP). Dopo la fine del conflitto la produzione continuò, solo presso la fabbrica di Birmingham, fino al 1928, quando le forniture terminarono in seguito all’adozione dell’Enfield in .38/200. Oltre che dalla Webley, il Mark VI fu costruito anche dal Royal Small Arms Factory (RSAF) di Enfield, l’arsenale governativo che, guardacaso, avrebbe poi presentato il nuovo modello. Per questa produzione, avvenuta fra il 1921 e il 1926, vengono accreditati, a seconda delle fonti (che non concordano assolutamente), numeri pari a 9.000, 15-16.000 o 27.600 pezzi complessivi. Qualcuno parla anche di una produzione Webley & Scott durante la seconda guerra mondiale, ma probabilmente si trattò solo di una revisione di un certo numero di pezzi e non di una nuova fabbricazione.
Lo studio dei dati matricolari/produttivi di questi revolver, oltre che dall’incompletezza dei dati disponibili, è ostacolato anche dal fatto che, apparentemente, i numeri vennero applicati con estrema irregolarità. Come abbiamo visto più sopra, sul lato sinistro del castello dei MARK VI, e anche su quello dei Mark V realizzati nel 1914 e 1915, veniva impresso l’anno di produzione (che può essere considerato un dato certo e affidabile). Sono stati quindi rilevati il più basso e il più alto numero di matricola riscontrati sui revolver di ogni singolo anno: il risultato evidenzia una notevole sovrapposizione dei blocchi numerici, come si può apprezzare in questa tabella:
 
 

Anno impresso sul castello Più basso numero di matricola riscontrato Più alto numero di matricola riscontrato
1915 153000 228393
1916 185436 411854
1917 231978 399242
1918 260657 429050



Una delle caratteristiche distintive del Mark VI, che lo differenzia da tutti i modelli precedenti, è la linea del calcio. Fino al Mark V questo era infatti del tipo “a becco d’uccello”, ritenuto più elegante, ma sicuramente meno adatto all’impiego pratico. Nell’ultima versione del revolver Webley, invece, il profilo è squadrato.



Le guancette non sono in legno, come nella maggior parte dei revolver del tempo, ma in vulcanite, un materiale ottenuto riscaldando ad alta pressione in uno stampo metallico una miscela di gomma indiana e zolfo secondo una metodica brevettata da un certo Charles Cowper nel 1853. Dopo la fine della Grande Guerra, la scuola di tiro di Bisley richiese la realizzazione di guancette di dimensioni differenti, che si potessero adattare più facilmente alle mani dei tiratori. Questi nuovi modelli vennero adottati nel 1919 e a partire dal 1921 furono contrassegnati con una lettera, corrispondente alla taglia: S, M e L (small, medium e large). In quegli anni la Webley aveva già cessato la produzione, che era stata spostata al RSAF di Enfield. Le guancette così marcate si dovrebbero quindi trovare solo sui revolver prodotti da questo arsenale; tuttavia, si possono riscontrare anche in esemplari fabbricati dalla Webley, perché furono utilizzate anche come pezzi di ricambio per armi danneggiate.

Come è noto, il Mark VI, come i modelli precedenti, è un revolver ad apertura basculante. Il meccanismo fa sì che al culmine dell’escursione l’estrattore a stella, fuoriuscendo dal tamburo, determini l’espulsione dei bossoli esplosi, facilitando notevolmente il ricaricamento dell’arma.



 



In questa condizione, il revolver mostra un’altra caratteristica interessante:




lo scudo di culatta è costituito da un pezzo a sé stante, in acciaio temprato e tenuto in sede da una vite. Già nel primo modello Mark I a polvere nera (1887) si era notato che il foro per il passaggio del percussore tendeva facilmente ad erodersi. La realizzazione separata dello scudo (introdotta quasi subito, dando origine al revolver Webley Mark I*) avrebbe permesso anche ai semplici armaioli di reparto di ripristinare immediatamente la funzionalità di un’arma danneggiata col il semplice montaggio di un ricambio.

Sempre ad arma aperta, si apprezzano le imponenti camerature del tamburo:




La grossa cartuccia .455 Webley, adottata ufficialmente nella versione a polvere nera nel 1891 (ma già utilizzata in precedenza) e in quella a cordite nel 1894, venne messa a punto per soddisfare le richieste dei reparti coloniali, che avevano estremo bisogno di “qualcosa” capace di fermare con un solo colpo l’assalto di un nativo esaltato. Se questa vi sembra una storia già sentita, magari in odore di Filippine, tenete presente che la munizione di ordinanza britannica fu una di quelle maggiormente studiate e tenute in considerazione nelle ricerche che portarono alla nascita del .45 ACP …

Per la Webley venne anche sviluppata una serie di accessori. Il sistema di espulsione contemporanea dei bossoli esplosi permetteva di scaricare quasi istantaneamente l’arma, semplicemente aprendola. Ma per ricaricarla era necessario introdurre uno alla volta i nuovi proiettili nelle camere. Proprio per ovviare a questo problema vennero studiati dei dispositivi, realizzati in lamierino stampato, che, svolgendo una funzione analoga a quella dei moderni speedloader, permettevano di caricare sei colpi con un unico, rapido gesto. Il primo di questi sistemi venne brevettato nel 1893 da William de Courty Prideaux, mentre nel 1896 il maggiore Arthur John Watson ne brevettò un secondo. Nel 1914 Prideaux brevettò un altro dispositivo con lo stesso scopo. Anche se tutti e tre i modelli furono apprezzati e usati, solo il terzo venne ufficialmente approvato e adottato nel settembre del 1918, a guerra praticamente finita.

L’arma corta è per sua natura destinata al combattimento ravvicinato. Ovvio che nel tempo qualcuno abbia pensato a come aumentarne il più possibile la letalità. Limitandosi alle sole Webley, già nel 1897 Richard Gordon-Smith aveva proposto di applicare alla base del calcio dei revolver Mark II un’acuminata punta metallica. Nelle trincee della Grande Guerra, gli scontri finivano spesso per trasformarsi in un furioso corpo a corpo. I combattenti di ogni esercito usarono di tutto: baionette e pugnali, certo, ma anche vanghette, picozzini, attrezzi vari, mazze e semplici clave più o meno chiodate, in un ritorno a un medioevo circondato di mitragliatrici. Proprio per questo, nel 1916 il Tenente Arthur Pritchard del 3rd Royal Berkshire Regiment progettò una baionetta da fissare sotto la canna del revolver d’ordinanza, tutelando la propria idea (non del tutto nuova, a dire il vero) con due brevetti, il numero 17143 del 29 novembre 1916 e il numero 111526 del 1917.




Allo scopo, venne utilizzata la parte terminale della lama della baionetta del fucile francese Gras, montata su una robusta impugnatura in ottone che si inseriva sulla canna e sulle alette situate davanti al tamburo. Era previsto anche un fodero. L’uso del revolver e le operazioni di caricamento/scaricamento non venivano ostacolate in alcun modo. Robusta ed efficace, con una lama lunga una ventina di centimetri, la baionetta venne apprezzata da coloro che la dovevano utilizzare, ma non fu mai adottata ufficialmente. Venne prodotta con livelli di lavorazione eccellenti dalla W. W. Greener di Birmingham, ma la tiratura complessiva non superò i circa duecento esemplari (acquistati privatamente), il che ne fa oggi un pezzo molto raro.

Un’altra soluzione utilizzata sulla base di iniziative personali, ma mai adottata ufficialmente, fu l’applicazione al revolver Mark VI del calciolo in legno della pistola da segnalazione Webley & Scott N. 1 Mk I, che si adattava perfettamente all’impugnatura sostituendolo alle guancette. In questa foto, trovata in rete tempo fa, è possibile vedere, insieme, baionetta e calciolo sullo stesso revolver. Una combinazione che, nell’uso reale, si deve essere verificata ben poche volte …




Infine, le fondine. Quella in uso nella prima guerra mondiale era in cuoio ben lavorato, da fissare al cinturone Sam Browne con un unico passante molto inclinato. Di solito sono presenti il marchio del produttore e l’anno di fabbricazione. In quelle realizzate dopo il 1915 (perché prima venivano acquistate privatamente) si trovano anche, in genere all’interno della patta, la broad arrow di presa in carico da parte dell’amministrazione e, spesso, un numero che indica l’unità di appartenenza.





Nel secondo conflitto, invece, per i Mark VI richiamati in servizio fu realizzata una fondina in tela uguale a quella del modello Pattern 37, solo più grande:

 




Non sono riuscito a trovare un esploso del Mark VI. Questo è di un Enfield in .38/200, sostanzialmente identico.

Qualche numero:

 

Calibro: .455 Webley
Numero di colpi: 6
Lunghezza canna: 153 mm (7 righe destrorse)
Lunghezza complessiva: 290 mm
Peso scarica: 1062 g



Abbiamo iniziato parlando dei revolver Webley come di un’icona dell’impero. Finiamo con uno “splendido anacronismo” che illustra bene questo concetto… Dopo la bibliografia, un’immagine tratta dal film “Zulu” del 1964, che narra gli eventi della battaglia di Rorke’s Drift. Il luogotenente Bromhead (Michael Caine) impugna un Webley Mark VI (perché la produzione non aveva trovato modelli coevi ai fatti) nel 1879, ma la potenza evocativa dell’immagine è inalterata.

 

 
Bibliografia:

 

Libri:


Gordon Bruce and Christian Reinhart (Revised from William Chipchase Dowell's The Webley Story) - Webley Revolvers - Verlag Stocker-Schmid AG, Dietikon-Zurich, 1988


Robert Maze – The Webley Service Revolver – Osprey Publishing Ltd., Oxford, 2012


Loriano Franceschini – Al servizio di Sua Maestà – Un secolo di revolver militari britannici – 1854-1957 – Ermanno Albertelli Editore, Parma, 2011, pag. 132-154


Edward Ezell – Armi leggere di tutto il mondo – Ermanno Albertelli Editore, Parma, 1997

 

Articoli:

Sergio Lorvik; Webley & Scott Mk IV Target .22; Armi Magazine; 2001; 09; 118


Roberto Allara; Al Servizio di Sua Maesta' Britannica; Armi e Munizioni; 2010; 08; 176


Loriano Franceschini; Webley & Scott Mark IV cal. .455; Armi Magazine; 2002; 04; 86


Livio Pierallini; Hms MkV: Per un Impero; Diana Armi - Classica; 2006; Suppl. 12; 8


Pierangelo Tendas; Matteo Brogi; Al Servizio di Sua Maesta'; Diana Armi; 2007; 12; 112


Marco Dell'acqua; Webley & Scott Mk VI cal. 455; Diana Armi; 2012; 02; 82


Andrea Turchi; Calibro .455 Webley al servizio dell'Impero; TAC Armi; 2005; 09; 82

 
Siti Internet:
http://www.imfdb.org/wiki/Zulu_(1964)