ESSERCI Sfogliando una rivista, leggo che il nostro Paese "sembra invaso dalle orde di Attila ... e al cittadino viene chiesto di consegnare le armi, farsi il segno della croce e raccomandarsi a Dio". Continua l'autore "se non abbiamo abbastanza quattrini nel portafogli il rapinatore ci gonfia di botte in modo che si va nel pallone e vi si resta per il resto dei nostri giorni", ed osserva che ai "carabinieri e poliziotti impiombati grandi corone e solenni esequie ma se gli stessi misurano una pedata a questi 'disadattati' allora per il tutore dell'ordine c'è la galera". E conclude amaramente osservando che "c'è la giustificata sensazione che di questa sanguinaria malvivenza tutti noi possiamo essere le vittime e questa sensazione è inquietante perché abbiamo l'impressione che in forza della morale permissiva il delitto non è più delitto ma l'espressione di uno sbandamento sociale di cui il delinquente è l'inconsapevole ed incolpevole espressione. Insomma se ci danno una martellata in testa, se ci violentano la figlia, se ci svuotano la casa, non ci sono responsabili". Nulla di strano, dirà il visitatore. Nulla, se non fosse che questi commenti portano la firma di Pietro Colombano, e sono stati pubblicati sul numero di Diana ARMI del Gennaio 1976. Più di 40 anni fa, poco dopo l'entrata in vigore della 110/75; eppure sembrano parole fin troppo attuali. Molte cose sono però cambiate da allora, e non tutte in meglio. Dei reati di tipo predatorio che pure lamentava Colombano si sente parlare sempre meno. Forse non perché siano diminuiti, ma perché chi ne rimane vittima, se può, si risparmia il tempo necessario a denunciarli; tanto, pensa, ormai non vale più la pena di farlo. A sentire gli organi di informazione sembra che i crimini si siano spostati nell'ambito familiare, quasi che, a modello di una comunità ormai sempre più inetta e sterile, anche la criminalità abbia perso quella grinta necessaria a trovare la sua espressione oltre i confini di un ambiente circoscritto ma confortevole.
In tempi molto vicini vedremo modificare la Direttiva europea sulle armi
che pure è stata recepita di recente. Già ci ripensano? Ovviamente "lo vuole l'Europa". Peccato che
anche questa locuzione si presta ad essere stirata a piacimento a
coprire un po' tutto, come una certa porzione di epidermide.
Modifiche che già sembrano tanto contorte da sembrare partorite dove chi
può è uso a gestire il potere come monopolio personale, più che come
servizio alla comunità che lo mantiene.
Unica certezza nell'immediato futuro è che noi c'eravamo più di 40 anni
fa, e che ancora ci siamo.
Per seguire la nostra passione abbiamo fatto i conti col
portafogli, accettato compromessi in famiglia, progettato sfruttamenti dei
mai sufficienti spazi
disponibili spinti a limiti solo teorizzati da matematiche
superiori.
Obbedire alle mutevoli Leggi, ed al modo
frammentato e tutto nostrano di farle applicare, è certo un vincolo
fondamentale ed irrinunciabile della nostra passione, ma non è certamente l'unico.
E se siamo arrivati fino ad oggi, fino a qui, vale assolutamente la pena
fare di tutto per continuare ad esserci.
Chiudo rapidamente passando ad introdurre le schede di questo aggiornamento.
Alla "Enciclopedia delle Diottre per
Armi tipo Lee-Enfield" di
Tappo
si aggiunge
un altro
capitolo, il sesto.
Quindi una nuova firma, ben nota ai frequentatori del forum, per
un vecchio fucile;
anzi, due vecchi fucili, poiché due, da altrettante collezioni, ne
sono stati fotografati per realizzare questa scheda.
La pagina delle
Segnalazioni librarie è stata aggiornata con la breve recensione
del testo di Gianluigi Usai, così come in occasione dello scorso aggiornamento
era stata aggiornata con quella del
testo di Giovanni Chegia.
Non mi resta che augurare a tutti una buona lettura. |