La “Tettoni”

 

 Scheda di Pat - arma fotografata della sua collezione privata.

 

Un piccolo mistero…

La Grande Guerra divorò sin da subito, e poi sempre di più e sempre più rapidamente, uomini, mezzi e materiali. Dopo pochi anni, tutte le nazioni partecipanti dovettero prendere atto del fatto che la propria produzione industriale non era in grado di tenere il passo imposto dai consumi. Per l’Italia, questo avvenne fra il 1916 e il 1917, quando si manifestò, fra le altre cose, una grave carenza di armi corte.

Si rese quindi necessario trovare un fornitore esterno. All’inizio del XX secolo, un Paese ampiamente accreditato come produttore ed esportatore di armi di buona qualità era il Belgio, che però all’epoca si trovava sotto l’occupazione tedesca ed era quindi ovviamente impossibilitato a sostenere le forze dell’Intesa. Ci si dovette pertanto rivolgere ad un’altra Nazione, la Spagna. Questa aveva iniziato già dal 1915 a fornire alla Francia un’enorme quantità di pistole modello “Ruby” (una piccola semiautomatica in calibro 7,65 Browning) prodotte dapprima dalla Llama Gabilondo y Cia S.A. e poi – attraverso una serie a cascata di contratti in subappalto – da una pletora di fabbriche e fabbrichette, alcune anche artigianali o decisamente “famigliari”, che realizzavano armi dalla qualità quanto mai disparata. Dopo la Francia, si rivolsero agli iberici sia i Britannici che – appunto – gli Italiani.

Gli inglesi si limitarono ad ordinare un revolver in .455 Webley che altro non era che la versione in calibro albionico di un’arma da 11 mm adottata dall’esercito spagnolo nel 1884, a sua volta clone dello Smith & Wesson Double Action First Model del 1880:

 

Il nostro Paese (che alla fine del conflitto si collocherà al secondo posto nella classifica dei clienti degli spagnoli, pur rimanendo molto al di sotto degli enormi quantitativi acquistati dai francesi) richiese invece la fornitura tanto di pistole Ruby che di revolver camerati per la cartuccia di ordinanza da 10,35 mm. Molti di questi furono copie della nostra Bodeo, come quella che si può vedere qui. Tuttavia, venne acquistato anche un numero non trascurabile di revolver che, a parte il calibro, erano del tutto identici a quelli forniti agli inglesi. La casa produttrice era la Orbea Hermanos, ma in Italia l’arma è da sempre nota con il nome della ditta che ne curò l’importazione: la “F. Tettoni – Brescia”.

Non è chiaro se la ditta bresciana (che ne ebbe comunque certo un buon tornaconto) abbia agito di propria iniziativa oppure su sollecitazione del governo. Questa, che costituisce l’ultima e più moderna rivoltella impiegata dall’Esercito Italiano, non fu mai considerata arma di ordinanza (anche se in una disposizione ministeriale dell’ottobre 1916 si parla genericamente di “pistole Smith & Wesson” da distribuire ai reparti), ma venne importata in quantità abbastanza notevoli, soprattutto considerando l’ampia disponibilità, all’epoca, di revolver modello ’74 e ’89 ritirati dalla cavalleria. Per cercare di spiegare questo acquisto di armi relativamente più moderne, certo costose e in numero abbastanza elevato, sono state formulate diverse teorie. La prima di esse ipotizza la necessità di dotare un reparto di élite con un armamento ad hoc. Tuttavia, di tale reparto (o anche solo della sua ideazione) non si trova traccia in alcun testo o documento. La tesi è quindi da scartare. La seconda ipotizza una sorta di “offerta promozionale” da parte della ditta spagnola, che avrebbe ceduto sottocosto una certa quantità dei suoi revolver per farli apprezzare ed ottenere così nuove ordinazioni, stavolta a prezzo di mercato. Ma quest’ultimo risultò proibitivo e non se ne fece nulla. La terza è che l’arma fosse destinata ad essere assegnata agli ufficiali, che però la trovarono troppo grossa e pesante, oltre che più costosa, rispetto alle semiautomatiche in 7,65 Browning che si andavano diffondendo all’epoca. Ci sarebbe anche una quarta ipotesi, assolutamente non suffragata da alcun riscontro, che però forse potrebbe sembrare più adatta all’Italia di oggi che a quella di inizio novecento (sebbene alcuni aspetti poco chiari dell’adozione della Glisenti paiano mettere in dubbio quest’ultima affermazione …). Certo è che avere degli amici può sempre tornare utile… :-)

Il revolver somiglia moltissimo (diciamo che ne è una copia non autorizzata) alle Smith & Wesson “top break”, con le quali condivide molte caratteristiche: cane rimbalzante, telaio incernierato, estrattore automatico, funzionamento in singola e doppia azione. La differenza (fondamentale!) è che nell’arma spagnola il fusto è in un sol pezzo e, quindi, manca della cartella sul lato sinistro che nella progenitrice americana consente di accedere agevolmente al meccanismo di scatto e scomporlo per interventi di riparazione o pulizia. Per questo motivo, l'unica operazione di smontaggio consentita nel corso della manutenzione ordinaria è la rimozione del tamburo, che si esegue facilmente, a telaio aperto, svitandolo (alcuni giri in senso antiorario) mentre si tiene sollevato il chiavistello di chiusura. 

Premesso che storicamente l’arma è senza dubbio interessante, il giudizio dal punto di vista funzionale fu ed è piuttosto controverso: in linea di massima si tratta di un buon progetto (non dimentichiamo che è uno Smith & Wesson), all’epoca più moderno di quello della sua diretta alternativa nel Regio Esercito, il modello 1889 Bodeo (basti pensare al sistema di espulsione più pratico e veloce), ma comunque ormai trentennale. Benché le due armi abbiano lo stesso calibro (e, sostanzialmente, la stessa resa balistica), la linea di quella spagnola dà una (falsa) impressione di maggiore potenza.

Tuttavia, l’impossibilità di accedere facilmente alla meccanica costituisce una grave penalizzazione. Se si tiene conto delle condizioni di emergenza imposte dal periodo in cui venne prodotto, la realizzazione è accettabile. Come già ricordato, all’epoca in Spagna operavano moltissime piccole officine che inondavano il mercato di armi di qualità spesso bassa, sovente scadente, a volte pessima. Solo poche grandi fabbriche facevano eccezione, e la Orbea Hermanos era una di queste. Le finiture esterne sono buone, mentre quelle interne sono spesso piuttosto grossolane, o peggio. Nonostante gli indubbi aspetti positivi, però, all’epoca l’arma non piacque. Questi revolver rimasero in servizio nell'Esercito Italiano fino ai primi anni del secondo dopoguerra, quando fu completata la distribuzione della Beretta 34. Durante la guerra erano in dotazione ad autieri, mitraglieri, carabinieri e reparti coloniali.

(Cliccare sulla foto per ingrandirla)

Come al solito, iniziamo la carrellata delle immagini con il lato destro della pistola:

La vista dall’alto evidenzia il sistema di chiusura, affidato a un chiavistello a forma di “T” con due estensioni  a contorno circolare che sporgono sui due lati (rendendo di fatto l’arma ambidestra) e sono zigrinate per facilitare la presa.

Dal chiavistello è anche ricavata, superiormente, una microscopica tacca di mira e, inferiormente, il dente che trattiene il tamburo.

L’arma è piuttosto avara di scritte. La prima è il nome dell’importatore:

Sulla bindella della canna si trova invece questa dicitura:

In proposito, è bene ricordare che il termine “MOD. 1916” non risulta avere mai avuto alcun valore ufficiale. E’ possibile che l’intera scritta servisse soprattutto al fabbricante per identificare gli esemplari destinati all’Italia, distinguendoli da quelli spagnoli e britannici.

Sulla faccia sinistra del telaio si trova la matricola. E’ un dato di scarso significato, perché questi revolver venivano consegnati senza matricolazione. Tuttavia, lo stesso numero è ripetuto sulla faccia anteriore del tamburo, a dimostrazione del fatto che, sia pure in un momento successivo, il lavoro è stato fatto con una certa cura:

 

In molti punti dell’arma si trovano, variamente combinati fra loro, dei punzoni "G", "G1", "571" e "771", che corrispondono probabilmente a numeri di lavorazione:

Nell’immagine del tamburo risultano chiaramente visibili, sulla stella dell’estrattore e sul corpo del cilindro, i due “punti” che fanno da riferimento per il rapido rimontaggio del tamburo stesso una volta disassemblato.

Sulla faccia anteriore del tamburo sono impressi i numeri "3" e "6", corrispondenti al conteggio delle camere.

 

I numeri 571 e 771 sono anche riportati, a matita, sulla faccia interna della guancetta sinistra:

Sul lato destro dell’attacco della canna si trovano le lettere TM in un ovale, corrispondenti al marchio di un ispettore (Mario Turani):

Sul lato destro del fusto si trova il logo del produttore:       

L’immagine è pessima, ma nell’arma oggetto di questa scheda (e in parecchie altre, forse volutamente) l’incisione è tale che non si riesce a fare di meglio.  Il disegno comunque è questo:     

 

Appaiono immediatamente evidenti la scritta “trade mark” e la somiglianza (anzi, la “notevole” somiglianza) con il logo della Smith & Wesson. La cosa non è casuale, ma si inserisce in una politica aziendale all’epoca molto diffusa fra i fabbricanti spagnoli di armi. Questi conoscevano molto bene la pessima fama che accompagnava i loro prodotti e cercavano di mimetizzarsi con nomi, scritte o loghi di assonanza tedesca, francese o americana. Se si tiene conto del fatto che, almeno per quanto riguarda il mercato civile, ci si rivolgeva ad una clientela che comprendeva anche un discreto numero di analfabeti, si comprende come la cosa potesse anche funzionare…

Infine, le guancette:

Sono in bachelite nera, trattenute da un'unica vite passante. Sulla loro sommità è impresso il marchio della ditta produttrice, giustamente costituito dalle iniziali della casa spagnola (una “O” e una “H”), ma realizzato utilizzando gli stessi caratteri impiegati Smith & Wesson; anche in questo caso, appare evidente l’intenzione di “mimetizzarsi” cercando di dare un'impressione visiva quanto più possibile vicina a quella della celebre ditta americana, dalla quale viene ripreso anche il tipico contorno che delimita la parte zigrinata e il medaglione tondo col monogramma.

Va notato che, stranamente, le guancette non copiano perfettamente il profilo inferiore dell’impugnatura ma ne lasciano scoperto un tratto. Una caratteristica che si riscontra, peraltro, anche in molte armi destinate alla Gran Bretagna. Sul fondo dell’impugnatura si trova l’anello portacorreggiolo.

Esistono poi delle Tettoni con le guancette in legno. Non si tratta di armi con parti sostituite, ma di una variante nata con questa caratteristica, dal momento che i punti di attacco sono diversi e i due tipi di guancette non sono intercambiabili. Se ne è parlato nel nostro meraviglioso Forum, dove si possono trovare tutte le notizie e le immagini su questo argomento.

Per concludere, vediamo l’esploso e la tabella dei dati numerici:

Marca:

Orbea Hermanos

Modello:

Tettoni – 1916

Calibro:

10,35 Ordinanza Italiana

Numero di colpi:

6

Lunghezza canna:

125 mm    (4 righe destrorse)

Lunghezza complessiva:

253 mm

Peso scarica:

1052 g

 

Un’ultima curiosità: esiste almeno una Ruby in 7,65 Br prodotta dalla Esperanza y Unceta inequivocabilmente marcata “f. tettoni – brescia”.

 Quale sia il suo significato è del tutto sconosciuto.

 Questo è l’unico esemplare che abbia mai visto in vita mia (anche solo in fotografia) e ve lo presento come tale. Però… a chi fosse interessato all’argomento suggerisco la lettura di questa scheda.

 

Bibliografia:

Articoli:

Giuseppe Belogi; La Tettoni – Ultima ordinanza a tamburo; Diana Armi; 1972; 04; 25

Luciano Salvatici; Orbea Hermanos alias Tettoni; Diana Armi; 1985; 06; 32

Luciano Salvatici; Una “Tettoni” automatica; Diana Armi; 1993;11; 48

Sergio Lorvik; Una quasi ordinanza italiana; Armi Magazine; 2001; 01; 72

Loriano Franceschini; Pistole spagnole per l’intesa 1915-18; Armi Magazine; 2003; 11; 126

Nello Ciampitti; Pistola a rotazione Tettoni modello 1916 – Un’ordinanza dalle origini e dall’adozione nebulose; Quaderni di Oplologia; 1995; 01; 27

 

Libri:

Luciano Salvatici – Pistole militari italiane – Regno di Sardegna e Regno d’Italia – 1814-1940 – Editoriale Olimpia, Firenze, 1985, p. 225-227

Gianrodolfo Rotasso e Maurizio Ruffo – L’armamento individuale dell’Esercito Italiano dal 1861 al 1943 – SME Ufficio Storico, Roma, 1997, pag. 92

Gene Gangarosa jr.; Spanish Handguns; Stoeger Publishing Company, Accokeek, Maryland, 2001, p 37

 

Siti Internet:

http://exordinanza.yuku.com/topic/1381/Riordinando-le-italiane?page=1