Roth Steyr 1907

Scheda di Pat; armi fotografate quasi tutte dalla sua collezione privata - Cliccare sulle foto per vederle ingrandite.

La nonna della Glock.

… e vedremo perché. Ma in realtà si tratta più di una bisnonna. Una figura di famiglia, ma lontana nel tempo, di cui magari si raccontano storie e aneddoti, ma che non abbiamo avuto modo di conoscere personalmente. Di lei, e dei sui tempi, restano alcuni ricordi. Come aprire i cassetti di un armadio polveroso nella soffitta di un’antica casa e trovare un fascio di lettere, scritte con una grafia minuta ed elegante, trattenute da un nastro; un fazzoletto ricamato con delle iniziali; una vecchia fotografia in bianco e nero virata seppia, da cui ci guarda un volto giovane e sorridente. Tutte cose che richiamano alla mente – e alla fantasia – un altro mondo, ormai scomparso: l’inizio del Novecento, e l’Austria felix; i valzer, e l’Impero; l’arte, la cultura, Vienna con i suoi caffè del centro, i viali e le passeggiate sul Danubio; i sogni e le speranze di una generazione che non sapeva quello che l’aspettava. Storia, ma ormai anche Mito, fatti che sfumano in lontananza… In mezzo a tutto questo, fra mille altre cose, un manufatto d’acciaio che racconta una storia interessante. Vediamola insieme.

All’inizio del nuovo secolo, l’arma corta di ordinanza dell’esercito austro-ungarico era il revolver Rast Gasser Mod. 1898 in calibro 8 mm. Un’arma adottata solo da pochi anni e con una caratteristica particolare: aveva un tamburo da otto colpi, mentre all’epoca lo standard si era fissato su sei. Ciò era dovuto al fatto che in quegli anni l’esercito imperiale era molto impegnato, anche con funzione di gendarmeria, nei balcani, ed in particolare nelle zone di confine slavo-turche, dove erano attivi gruppi di separatisti organizzati in vere e proprie unità di combattimento. In questo contesto gli scontri erano praticamente sempre corpo a corpo, ricorrendo al coltello o alla pistola. Per questo venne richiesta e ottenuta un’arma dotata di un superiore volume di fuoco. Nei primi anni del Novecento però questo revolver, benché non obsoleto, venne ritenuto non più sufficiente. Gli eserciti di tutto il mondo si stavano interessando alle “nuove” pistole semiautomatiche, e quello imperiale non era da meno. L’esigenza dell’elevato volume di fuoco era ancora considerata imprescindibile, se possibile aumentando ulteriormente il numero dei colpi a disposizione. Completavano l’elenco delle richieste la ricarica mediante lastrine (un metodo diffuso per i fucili, con cui i soldati avevano già una buona esperienza) e l’assenza o quasi di sistemi di sicura (in modo da ridurre le esigenze dell’addestramento).

La ricerca della nuova arma era stata avviata già alla fine dell’Ottocento (nel 1895), quando lo stato maggiore imperiale prese in considerazione la Borchardt; seguirono diversi altri modelli, più o meno noti, e il ciclo di valutazioni terminò nel 1902, senza giungere ad un’adozione. Poi, nel 1904, suscitò notevole interesse la proposta della “Roth-Steyr Modello 1904”, frutto della collaborazione fra la Georg Roth A.G. di Vienna (una fabbrica di munizioni in cui lavorava come capo ufficio grafico un famoso progettista di armi, Karel Krnka, al quale verosimilmente si deve il disegno dell'arma) e la OWG Steyr.

Karel Krnka

Le autorità militari suggerirono alcune modifiche che, una volta integrate nel progetto, portarono all’arma oggetto di questa scheda, che venne adottata nel 1907 col nome ufficiale di “Repetierpistole M.1907”. L’Impero austroungarico divenne così la terza nazione al mondo ad adottare per le proprie forze armate una pistola semiautomatica, dopo l’Italia con la Mauser 1899 per la propria Marina e la Svizzera, nel 1900, con la creatura di Georg Luger.

Si dice che l’arma sia stata richiesta e progettata per essere destinata ai reparti di cavalleria. Anche se non esistono documenti che lo provino esplicitamente, la pistola è sicuramente adatta a questo tipo di impiego e ad esso venne assegnata. Abbiamo già ricordato come fra le specifiche richieste vi fosse l’assenza di sicure manuali da inserire e disinserire, in modo da semplificare il maneggio da parte dei soldati e, quindi, ridurre le necessità di addestramento. La cosa ha una sua logica: si voleva ottenere un’arma prettamente militare, cioè da usare in battaglia. E in battaglia, quando si deve sparare, le sicure sono controproducenti. Quando invece non si è in battaglia, non c’è motivo di tenere l’arma carica e pronta a sparare e, quindi, le sicure sono inutili. Altri impieghi, come il porto con il colpo in canna, erano assolutamente esclusi. Nella Roth-Steyr 1907 il problema venne risolto progettando un sistema di scatto inusuale e definibile come “in semi-doppia azione” con pre-armamento del cane al momento dell’inserimento del colpo in canna (ricorda qualcosa? È per questo che la pistola viene spesso indicata come “la nonna della Glock”…). Rispetto al progetto iniziale è stato eliminato il cane esterno, sostituito da un percussore lanciato interno, il cui armamento viene determinato solo in parte dal movimento del gruppo culatta-otturatore. Quindi, per provocarne lo sgancio è necessario esercitare una notevole pressione sul grilletto che, con una corsa relativamente lunga, arretra ulteriormente il percussore in modo che questo, una volta sganciato, possa acquisire una velocità sufficiente a colpire l’innesco della cartuccia con forza adeguata. In queste condizioni lo scatto è assolutamente sicuro, perfino immaginando che la pistola sia tenuta in mano, con il colpo in canna e il dito sul grilletto, da un cavaliere montato su un animale particolarmente agitato, che compia frequenti ed imprevisti scarti nella confusione che si ha prima e durante una battaglia o una mischia. Ovviamente, una simile organizzazione meccanica, se da un lato favoriva la sicurezza, dall’altro riduceva di molto la precisione del tiro, ed è un peccato perché grazie soprattutto al funzionamento basato su una canna rototraslante, che resta sempre sullo stesso asse durante lo sparo e fra un colpo e l’altro, l’arma è dotata di una buona precisione intrinseca. Sulle brevissime distanze di uno scontro fra truppe a cavallo il problema poteva anche non essere troppo sentito, ma per tutti gli altri reparti si trattava di un difetto non compensato da alcun vantaggio pratico. Questo sarà uno dei motivi per cui, nel volgere di pochissimi anni, si avrà la progettazione, realizzazione ed adozione da parte dell’esercito austro-ungarico di una pistola completamente nuova, la “Repetierpistole M.1912”, sempre di fabbricazione Steyr, di cui abbiamo parlato in questa scheda. Per completezza, a proposito di sistemi di sicurezza, va ricordato che l’arma è anche dotata di un meccanismo di sicura automatica al percussore che impedisce a quest’ultimo di arrivare a colpire l’innesco della cartuccia se l’otturatore non è completamente in chiusura.

Il percussore non è libero di avanzare se non ad otturatore chiuso, quando il dente visibile all'estremità della barretta imperniata all'otturatore può spostarsi verso l'esterno e lasciar libero il canale cilindrico in cui passa il percussore.

 

Non avendo alcuna autorizzazione alla produzione di armi (né attrezzature, personale e competenze per farlo) la Roth cedette il brevetto al Governo austriaco, che avviò la fabbricazione presso due stabilimenti, la Steyr (Osterreichische Waffenfabriks Gesellschaft Steyr) di Vienna e la Feg (Fegyver-és Gépgyar) di Budapest. La produzione (esclusivamente militare, non esistono esemplari destinati al mercato civile) iniziò nel 1908 e terminò nel 1914 e vide la realizzazione di poco meno di 100.000 esemplari, 59.334 prodotti dalla Steyr e 38.213 dalla Feg. In alcuni testi si trova indicato che la produzione sarebbe proseguita fino al 1927, ma in realtà non è così. È possibile solo che dopo la fine della Grande Guerra sia stato assemblato un numero estremamente ridotto di esemplari, con parti già realizzate. Alcune Mod. 07 furono reintrodotte in servizio in Austria dopo la fine della guerra; le prime, fino al 1925, furono identificate ribattendo le ultime due cifre dell’anno su quelle del punzone austroungarico (ad esempio, un 25 ribattuto su un 10), mentre quelle “arruolate” dopo il 1926 riportano un punzone Hv (Heeresverwaltung – Amministrazione dell’esercito) seguito da date variabili fra il 1927 e il 1938, e questo può aver ingenerato l’equivoco sulla durata del periodo di produzione. L’esercito ungherese ne mantenne molte in dotazione fino al 1939. Un gran numero giunse nel nostro Paese, come preda bellica o – soprattutto – cedute come compensazione dei danni di guerra. Tuttavia, non vennero mai utilizzate, se non in Africa per armare le nostre truppe coloniali di colore. Nella seconda guerra mondiale, l’uso da parte italiana fu limitato a quello effettuato dai reparti della RSI che diedero fondo ai magazzini per supplire alla loro grave carenza di armi corte. Inoltre, come sempre, sono segnalati utilizzi sporadici da reparti di altri Paesi (Finlandia, Polonia, Jugoslavia… quando serve, tutto fa brodo).

 

In apertura abbiamo visto il lato sinistro della pistola, sul quale torneremo. Vediamo ora il destro:

 

Sulla guancetta è presente un dischetto di ottone su cui venivano riportate (non sempre) le sigle identificative del reparto di appartenenza. Come si può vedere, nell’arma in mio possesso non c’è nulla. Quindi, per illustrare questo aspetto dobbiamo ricorrere all’amico Frank Mancuso, che di Roth-Steyr 07 ne possiede più di una. Tra di esse una è ungherese, che è stata qui utilizzata sia per illustrare le differenze tra le punzonature che caratterizzano le due produzioni, sia per esporre particolari visibili solo dopo lo smontaggio.

 

Sui dischetti di ognuna di esse sono ben visibili i marchi di reparto:

   

 

L’interpretazione di tali marchi è una giungla in gran parte inesplorata.

Le abbreviazioni erano normate, anche se non furono usate dopo lo scoppio della guerra. Le direttive che le regolamentavano erano state emesse nel 1889, emendate poi nel 1909 e nel 1911, e quel che è peggio è che gli austriaci non furono estremamente rigorosi nel loro impiego.

Lo schema generale è noto: il primo numero è quello del reparto, le lettere contraddistinguono il reparto stesso e il numero in basso è quello progressivo della pistola. Così, dato che “L.R.” significa “Landwehr Regiment”, possiamo dire che il dischetto più a sinistra contraddistingue la pistola n° 10 del 2° Reggimento della Milizia Territoriale (Landwehr) e quello al centro la pistola n° 57 del 26° Reggimento della stessa Milizia.

Per quanto detto, però, un certo numero di punzonature è tuttora sconosciuto e non figura tra quelle ammesse, mentre un'altra consistente cifra è fuori standard, riconducibile cioè alle normative ma non conforme ad esse. I reparti erano moltissimi, le sigle che li identificavano anche, e di molte si ignora il significato. Così, cosa mai fosse il “1. T.A.E.” della terza arma, che è quella prodotta a Budapest e verosimilmente assegnata ad un reparto ungherese, al momento resta un mistero. [N.d.F.1]

Tornando al lato destro dell’arma, nella parte superiore, in corrispondenza della scatola di scatto, sono visibili la matricola (quasi sempre – ma non sempre – in questa posizione, a volte per trovarla è necessario rimuovere le guancette o smontare l’arma) e il perno del disconnettore.

 

Nei primissimi esemplari (sembra i primi 7500) il disconnettore era assente, la meccanica era più semplice e il perno, ovviamente, non era presente.

Esemplare di produzione Steyr con matricola numero 3 (tre!) privo di disconnettore. Dal sito www.lsbauction.com,

 

Venne però segnalato che, con questo tipo di catena di scatto, l’arma aveva manifestato un problema di sicurezza. Non è molto chiaro di che cosa si trattasse, ma pare che il rischio fosse che dopo il primo colpo ne potesse partire un secondo se il tiratore non esercitava sul grilletto una pressione assolutamente corretta. [N.d.F.2]

Nella catena di scatto venne quindi inserito un elemento volto ad eliminare questa eventualità ed il suo perno è visibile sulla superficie esterna. Il problema doveva essere particolarmente sentito, dato che molte pistole della prima produzione vennero in seguito modificate trasformandole nella seconda versione, per cui esemplari che in base al numero di matricola dovrebbero essere privi del disconnettore ne sono invece dotati.

Osservando la pistola dall’alto, l’unica scritta visibile è l’indicazione dello stabilimento di produzione sulla bindella.

 

Posteriormente, sotto al pomolo zigrinato da tirare per arretrare il blocco culatta/otturatore e sopra all’elsa sporgente che agevola l’impugnatura dell’arma, si trova il punzone di accettazione militare: “Wn o Lw  – aquila bicipite – anno di produzione”. Gli anni vanno da 9 a 14; il marchio Lw (che indica l’accettazione da parte della Landwher austriaca) si trova abbinato agli anni 12 e 13 e compare esclusivamente sulle pistole prodotte dalla Steyr; il Wn dell’arsenale di Vienna (Wiener-Neustadt) è presente sia su queste che su quelle della Feg.

 

Infine, torniamo ad esaminare il lato sinistro, questa volta con il blocco culatta/otturatore completamente arretrato a fondo corsa:

 

La guancetta di sinistra è trattenuta in sede da una vite ed è solidale con la cartella amovibile che costituisce tutto il lato sinistro della scatola di scatto e presenta due aperture attraverso le quali sporgono i comandi dell’arma.

 

Attraverso la finestra quadrata in alto a destra fuoriesce il pulsante che, agendo su una leva elastica fissata per incastro all’interno della cartella, determina il blocco/sblocco manuale dell’otturatore a fondo corsa. Attraverso quella ovale, al centro in basso, sporge la leva che consente di determinare lo svuotamento rapido del serbatoio. Quest’ultimo non è costituito da un caricatore estraibile (all’epoca era diffusa l’idea che i militi se lo sarebbero perso) bensì da una struttura realizzata nello stesso modo e con le stesse funzioni, ma fissa all’interno del calcio.

Superiormente, il serbatoio termina con due labbra, destinate a trattenere in sede le cartucce al suo interno.

 

Il labbro sinistro è mobile e tenuto in posizione da una molla a V su cui agisce il pulsante che fuoriesce dalla finestra ovale: premendo su quest’ultimo in modo da abbassarlo le labbra vengono divaricate per cui, se l’otturatore è bloccato in apertura, le cartucce eventualmente presenti nel serbatoio vengono espulse, sotto la spinta della molla dell’elevatore. Dopo lo sparo dell’ultimo colpo l’otturatore viene mantenuto in apertura dalla suola del serbatoio, avvisando il tiratore che l’arma è scarica. Il pulsante del foro ovale determina anche l’abbassamento della suola, liberando l’otturatore ed agendo quindi come una sorta di hold open, anche se non ha principalmente questa funzione.

Sulla parte alta dell’arma risulta evidente la finestra di caricamento. Benché sia possibile introdurre le cartucce ad una ad una, di norma per questa operazione si utilizzava un’apposita lastrina, abbastanza elaborata, che conteneva i dieci colpi che il serbatoio poteva accogliere (per l’epoca, un numero piuttosto elevato).

 

Nella vista dall’alto sono visibili anche la sede di inserimento della lastrina e la tacca di mira. Se all’inizio delle operazioni di caricamento l’apertura della pistola era mantenuta dalla suola dell’elevatore, sfilando la lastrina l’otturatore avanza immediatamente, camerando la prima cartuccia e mandando l’arma in chiusura. Se invece è necessario liberarlo agendo sul pulsante quadrato, bisogna prima arretrarlo leggermente e poi rilasciarlo.

 

L’avanzamento del blocco culatta/otturatore determina anche il pre-armamento della pistola. In queste condizioni, dal centro del grosso elemento cilindrico che si osserva sulla faccia posteriore dell’arma sporge, in modo estremamente visibile e percepibile al tatto, la coda del lungo percussore, che in questo modo segnala che la pistola è armata e potrebbe avere il colpo in canna.

 

Su molti particolari, anche interni, è impresso il punzone di controllo della fabbrica, rappresentato da una lettera. Nelle armi prodotte dalla Feg si trova una “R”, mentre su quelle della Steyr si osserva una “K”. Mentre per la prima non ci sono commenti, per quest’ultima vengono fornite due diverse interpretazioni. Secondo alcuni starebbe solo per “Kontroll”, ad indicare l’avvenuta ispezione; secondo altri sarebbe invece l’iniziale del cognome di un ispettore, Josef Kogler, attivo per molti anni in azienda, anche dopo la fine della produzione della Mod. 07. L’ipotesi è molto accreditata in rete, ma potrebbe anche essere che tutti non facciano altro che citarsi reciprocamente. Non si trova una documentazione originale a sostegno di questa affermazione.

 

Abbiamo visto che la tacca di mira è semplicemente un’incisura ricavata sul castello. Il mirino invece è inserito a coda di rondine su una base che contiene anche un chiavistello elastico su cui agire durante lo smontaggio.

 

Quest’ultimo inizia (ad arma scarica), tirando indietro il complesso culatta/otturatore fino a bloccarlo in apertura. Quindi, tenendo premuta verso il basso la parte posteriore dell’estrattore (quella zigrinata, che funge da blocco) si svita il pomo di armamento, per poi estrarre il percussore e la sua molla. Ora, agendo sul pulsante quadrato, bisogna liberare il complesso culatta/otturatore e lasciarlo andare in avanti. A questo punto, agendo sul chiavistello sotto il mirino, si libera il tappo di volata, che avanza e fuoriesce. Si sfilano quindi la canna, la molla di recupero e il complesso culatta/otturatore. La guancetta e la cartella di sinistra (che formano un pezzo unico) ora sono libere e possono essere rimosse. Infine, estraendo il serbatoio, si mette allo scoperto il sistema di scatto. Per il rimontaggio si procede in senso inverso. Se la descrizione non è sufficiente, è possibile vedere l’intera procedura di smontaggio e rimontaggio qui o qui.

La Roth-Steyr M07 è una pistola a corto rinculo, chiusura stabile, canna rototraslante e semi-doppia azione (non doppia azione completa, perché per ribattere il colpo non è sufficiente premere di nuovo il grilletto, ma occorre riarmare l’elemento culatta/otturatore). È costruita con materiali ottimi e con lavorazioni, sia interne che esterne, di qualità a dir poco elevata, come richiesto dalla sua stessa organizzazione meccanica, piuttosto complessa e molto precisa. Costruita specificamente intorno alla sua cartuccia, non particolarmente eccelsa, ma nella media per gli standard dell’epoca e mai utilizzata in alcuna altra arma, si rivela una perfetta figlia dei suoi tempi, sia per quanto riguarda l’epoca in generale che per il particolare momento del percorso evolutivo delle armi da fuoco e della nascita delle pistole semiautomatiche: un progetto raffinato, una meccanica di alto livello, una realizzazione tecnicamente ottima (tutta in acciaio, ottenuta per fresatura dal pieno), che la rendevano un’arma in sé magnifica, ma assolutamente inadatta all’impiego militare nel nuovo secolo, che avrebbe visto emergere invece progetti molto più essenziali e spartani, anche se altrettanto geniali. Era stata adottata in origine per le truppe di cavalleria, ma con il progredire della guerra queste vennero gradualmente appiedate e impiegate in trincea insieme ai reparti di fanteria, di cui ricevettero anche l’armamento. La Mod. 07 fu quindi ritirata e distribuita a militari meno impegnati nei combattimenti diretti: dapprima ai sottufficiali dei mitraglieri e dell’artiglieria e poi alle truppe di seconda linea e – sembra – agli aviatori. E anche questa parabola di impiego riflette, nel bene e nel male, le sue caratteristiche.

Marinai austriaci armati di Roth Steyr M07

 

Concludiamo con l’esploso, con un disegno dell’arma in sezione, in chiusura e in apertura, tratto dal manuale originale Steyr (si tratta della prima versione, senza disconnettore, che sarà aggiunto in seguito) e con i dati tecnici dell’esemplare esaminato:

Calibro:

8 mm Steyr

Numero di colpi:

10

Lunghezza canna:

128 mm             (4 righe destrorse)

Lunghezza complessiva:

233 mm

Peso scarica:

1002 g

 

[N.d.F.1] Un amico collezionista contattato al riguardo, dopo un esame ai suoi "Sacri Testi", suggerisce che l'acronimo 1TAE possa indicare il 1°reggimento Honvèd (ungherese) di artiglieria campale ( m.k.1 honvèd tàbori àgyùs ezred ) con sede di comando reggimentale a Budapest.

[N.d.F.2] Un altro rischio potrebbe essere quello di trovarsi con l'arma inservibile, col percussore completamente avanzato su una camera piena, situazione rimediabile solo arretrando il carrello, dopo aver tirato invano il grilletto. Ad ogni buon conto l'elemento aggiunto alla catena di scatto impedisce ogni movimento al grilletto ad otturatore in apertura, e ogni situazione anomala è evitata.

 

Bibliografia:

Libri:

Marco Morin – Le armi portatili dell’Impero austro-ungarico – Editoriale Olimpia, Firenze, 1981 – Pagg. 193 – 211


Siro Offelli – Le armi e gli equipaggiamenti dell’esercito austro-ungarico dal 1914 al 1918 – Volume Secondo – Gino Rossato Editore, Valdagno (VI), 2002 – Pagg. 127-129 e 134-135

Attilio Selvini - Meccanica delle armi corte - Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna (RN), 2019 - Pagg. 110-112

Articoli:

Wolfdieter Hufnagl – Le strane pistole "made in Austria"; Armi Magazine; 2004; 10; 152

Oscar Groppo – Una capostipite dalla meccanica interessante; Diana Armi; 2013; 09; 74

Sergio Lorvik – Antenata della Glock; Armi e Balistica; 2017; 10; 102

Mario A. Cremasco – Roth Steyr mod. 1907 ; Diana Armi; 1968; 06; 16

Internet:

http://www.hungariae.com/RothStey.htm

https://www.tapatalk.com/groups/exordinanza/viewtopic.php?p=35439#p35439