NAMBU modello 14

 

Scheda di Frank Mancuso, armi fotografate dalla sua collezione.

 

Ho ripreso l'immagine di apertura di questa scheda da un articolo del mese di Giugno del 1979 della rivista Diana ARMI.

Oltre a rappresentare la sezione dell'arma oggetto di queste note, mi è gradito riproporla come omaggio verso gli autori di quell'articolo, scritto da Giovanni Rosi, e completato, più ancora che illustrato, nella doppia pagina centrale della rivista dall'eclettico Luciano Salvatici.

Non so chi vanti attualmente i diritti su quell'immagine, ma, chiunque sia, mi auguro che non mi chieda di rimuoverla; provvederei senza meno, non sarebbe difficile sostituirla, ma con essa voglio anche ricordare che nel 1979 internet non c'era, gli scanner nemmeno, e come alternativa c'erano solo costosi testi specializzati, non facilmente reperibili, in lingua inglese e non sempre attendibili.

Il lettore vorrà essere comprensivo nei miei confronti per questa introduzione che fa passare in secondo piano l'oggetto della scheda, per dare risalto a ciò che per solito è relegato nelle note bibliografiche (quando ci sono).

Ma prima ancora di essere un appassionato di armi lo sono della carta stampata, e, quando posso, cerco di rivolgere ad essa, ed a chi ha dato origine ai contenuti con essa trasmessi, un pensiero riconoscente.

Grazie a quel disegno vedevo finalmente come era fatta dentro una Nambu 14, a me nota già da anni nella sua forma esterna, ma solo grazie a descrizioni, disegni e fotografie; l'avrei vista di persona solo in tempi relativamente recenti, che ne hanno portati a me, a distanza di pochi mesi, ben due esemplari, che rappresentano le principali varianti in cui l'arma fu prodotta.

Il loro ideatore, Kijiro Nambu, nasce a Saga, a Nord di Nagasaki, il 22 Settembre del 1869. Periodo "interessante" per la storia del Giappone, quello tra il 1866 ed il 1877, o della restaurazione Meiji, durante il quale lo Shogun rimette i suoi poteri esercitati per secoli nelle mani dell'Imperatore, e viene avviato un periodo di profondo rinnovamento del Paese ispirato dalle organizzazioni politiche e giuridiche degli Stati occidentali, che vede un rapido sviluppo industriale e profonde modifiche nel sistema educativo per avere giovani leve in grado di sostenerlo.

Orfano della madre dall'età di 6 anni, il giovane Kijiro non è uno studente modello, tanto che nel 1886 le autorità scolastiche ne suggeriscono il ritiro dagli studi. Il padre riesce a farlo accedere in una di quelle che potremmo tradurre come Scuole di Avviamento Militare dell'Esercito, perché sviluppi l'interesse dimostrato nelle armi (settore in cui il padre ha già operato), e perché impari un po' di disciplina.

Nel nuovo ambiente Kijiro raggiunge entrambi gli obiettivi, e nel 1888 si arruola volontariamente come allievo ufficiale. Dopo sei mesi di corso viene trasferito all'Accademia Militare di Tokyo, dove si licenzia nel 1892 col grado di Sottotenente. Nel 1901 lo troviamo, col grado di Capitano, nel ruolo di Istruttore presso la Scuola Militare di Toyama, a tenere lezioni su sviluppo, costruzione e manutenzione di armi individuali. Qui mette a punto una pistola semiautomatica in calibro 8 mm che nel 1902 è la prima, sia per lui che per il Giappone.

Immagine dal sito Rock Island Auction - Cliccare per ingrandirla

I collezionisti statunitensi, nel secondo dopoguerra, col senno di chi può avere davanti agli occhi l'intera opera progettuale di Kijiro Nambu, l'hanno battezzata "Grandpa", ovvero "Nonno". Inizialmente l'arma non ha un nome e modello, non viene adottata dall'Esercito e ci si riferisce ad essa semplicemente come "pistola semiautomatica tipo Nambu", ovviamente nella lingua locale, il che suona più o meno come "Nambu-shiki jido kenju".

Nella sua autobiografia, Nambu afferma che i suoi primi esperimenti risalgono al 1897, in corrispondenza al "Programma per Pistola Semiautomatica" di quell'anno. Non possiamo che credergli, e immaginare che abbia tenuto ben presente quanto appena realizzato al tempo; ritroviamo nel suo progetto l'essenza del blocchetto di chiusura e la scatola di culatta realizzata tutt'uno con la canna della C96, ed il caricatore ad astuccio della Borchardt.

L'Arsenale di Artiglieria di Tokyo ne produce 2400 esemplari tra il 1903 ed il 1906, che vengono ceduti sia ai militari (gli Ufficiali sono tenuti ad acquistare personalmente l'arma da fianco) sia ai civili.

Nel 1906 viene rimpiazzata da un modello leggermente differente, noto oltreoceano come "Papa" che nel 1909 viene adottato dalla Marina Imperiale, ma mai dall'Esercito, anche se la denominazione di "riku shiki Nambu kenju" (che letteralmente dovrebbe voler dire "esercito tipo Nambu pistola") e i caratteri kanji che recitano "Tipo Esercito" impressi su diversi esemplari (ma non su tutti) lo lascerebbero pensare. Ma le alte gerarchie dell'Esercito giapponese forse guardano ancora alla tradizionale arma bianca come all'arma da fianco adeguata per gli Ufficiali, e ritengono sufficiente continuare a tenere in servizio l'antiquato revolver modello 26.

Immagine dal sito Armi Corte - Cliccare per ingrandirla

Alla produzione totale stimata in poco più di 10.000 esemplari provvedono sia l'Arsenale di Tokyo che un'azienda privata, la Società per il Gas e l'Elettricità di Tokyo. Quest'ultima sviluppa un diverso metodo di realizzazione del castello, mediante unione saldata di due semigusci: non è molto, ma suggerisce che già si sta cercando di abbassare il costo dell'arma, elevato, e lo è particolarmente per l'ultima pistola della serie, versione in scala ridotta della "Papa", denominata "Baby" (ma solo per completare la famiglia, verosimilmente Nambu pensa a lei già mentre mette a punto la "Grandpa"), prodotta in non più di 6500 esemplari dal 1909 per più o meno venti anni, e destinata, oltre che al mercato civile, a quegli Ufficiali che vogliono completare l'uniforme con un accessorio moderno privilegiando la comodità rispetto all'efficacia.

Successivamente, Nambu continua a contribuire nello sviluppo di armi leggere per il suo Paese, proseguendo nella sua carriera e conseguendo alte onorificenze, conseguendo nel 1922 il grado di Tenente Generale insieme all'incarico di Direttore dell'Istituto Scientifico dell'Esercito.

Non potendo sperare in ulteriori avanzamenti di carriera nell'amministrazione militare, si congeda il 20 Dicembre 1924, all'età di 55 anni. Ma non resta con le mani in mano, poco dopo fonda una sua impresa (Nambu Seizosho, ovvero Officine Nambu), nella quale mantiene il controllo della parte tecnica, che gli è familiare, ed il cui simbolo è una stilizzazione dell'ideogramma "minami" (meridione) che, pronunciato come NAN, è il primo carattere del suo cognome.

Più o meno nello stesso periodo le gerarchie militari decidono che è arrivato il momento se non di rimpiazzare il già menzionato revolver Modello 26 (cosa che non avverrà), almeno di affiancargli qualcosa di più adeguato ai tempi. Kijiro Nambu fa in tempo a presiedere la commissione che sviluppa il nuovo modello di arma, ma l'adozione avviene quando lui è in congedo, nel 1925, ovvero nel 14-esimo anno del regno, detto Taisho, dell'Imperatore Yoshihito, salito al trono nel 1911. La produzione inizierà solo negli ultimi mesi del 1926.

Diverse sono le modifiche che semplificano la "Papa" trasformandola nel Modello 14. Il blocco canna-scatola di culatta è avvolto solo da una minima porzione del castello, in corrispondenza della tacca di mira. Le superfici laterali del castello sono piane e simmetriche, e sparisce il canale in cui passa la molla di recupero vincolata all'otturatore dal suo tirante. Le molle di recupero ora sono due, poste in due canali ricavati nell'otturatore, e sorrette ai lati direttamente dalla scatola di culatta. Il blocchetto di chiusura è stato completamente ridisegnato, come lo sono le superfici sulle quali poggia. Anche lo scatto è del tutto differente, ma il suo percussore lanciato tende a liberarsi con eccessiva facilità dall'estremità della lunga leva di scatto.

Manca un avviso di arma scarica, l'otturatore dopo l'ultimo colpo resta aperto perché trattenuto dall'elevatore; per rimuovere un caricatore vuoto si impone uno sforzo maggiore, ed è necessario arretrare e rilasciare il carrello dopo averlo sostituito con uno pieno. E' però presente una sicura al caricatore, introdotta (a produzione già avviata) forse per prevenire spari accidentali avvenuti sostituendo il caricatore, che combinata con la sicura adottata (che vedremo tra breve) mi fa personalmente supporre che fosse preferibile portare l'arma con la camera vuota.

Passiamo a vedere i due esemplari più da vicino. 

Sulla destra della foto è punzonato il modello dell'arma denominata ufficialmente "Pistola Tipo 14" (kenju shiki 14) che, se non si è giapponesi, leggendo da sinistra i singoli caratteri, risulterebbe essere una cosa del genere "dieci quattro anno tipo". Ovviamente, dopo che glielo hanno spiegato, anche chi non è giapponese sarà in grado di leggere "Tipo Anno 14" da destra verso sinistra.

Sulla sinistra, la leva della sicura che può assumere due posizioni stabili ed opposte; in quella raffigurata la sicura è inserita, ed il simbolo sopra la leva ha il significato di "Sicura". In tale posizione non è possibile arretrare l'otturatore. Ruotando la leva di 180 gradi, con l'estremità rivolta in avanti, l'arma può sparare ed il simbolo corrispondente ha il significato di "Fuoco".

Già come sicura è tutto meno che ergonomica, ma, come se non bastasse ...

... la leva può ruotare completamente sia in senso orario che antiorario, e, se si trascura di farle seguire la direzione indicata dalla freccia impressa sul castello, si finisce per danneggiare, rigandola, la guancetta sinistra, come spesso si osserva su queste armi, e come è evidentemente accaduto anche all'esemplare in primo piano.

Ora bisogna mettersi seduti, e tirare un profondo respiro, dato che bisogna andare a collocare nel tempo e nello spazio la produzione di questi due esemplari.

Il Modello 14 è stato realizzato in un periodo relativamente breve (1926-1945) ma in quei pochi anni si sono succeduti due Imperatori, la produzione è stata affidata a cinque diversi stabilimenti, di cui uno civile, durante periodi che si sovrappongono parzialmente, apportando modifiche in corso di produzione e richiami su esemplari già realizzati. Il grafico qui sotto, che ho realizzato con i dati stimati di produzione contenuti nel testo di J.D. Brown indicato in bibliografia, forse può rendere meglio l'idea della complessità della situazione, e della necessità di vari marchi presenti su queste armi, se si considera anche la necessità di distinguere la provenienza dei singoli esemplari non solo per motivi politico-religiosi ed amministrativi ma anche operativi: l'intercambiabilità dei singoli componenti tra le varie produzioni non è assolutamente garantita, molle a parte quasi ogni componente è identificabile come appartenente ad una specifica arma.

Blu: Ars. Nagoya, Stab. Chigusa - Rosso: Ars. Tokyo e Kokura - Verde: Appalto privato - Viola: Ars. Nagoya, Stab. Toriimatsu 

Questo ha fatto la gioia dei collezionisti statunitensi, dato che le variabili possono essere combinate tra loro e dar vita a decine di possibili versioni dell'arma.

Da noi ... mi reputo fortunato di poter vantare il possesso di due esemplari, ad ognuno dei quali ai tempi del Catalogo Nazionale erano stati opportunamente attribuiti due numeri distinti (e di qui la possibilità di averli nella stessa collezione senza farsi venire dei mal di testa).

Le cifre 15.8 e 9.11 indicano l'anno ed il mese del Regno Showa in cui è avvenuta la produzione. In tutti e due gli esemplari la data è preceduta dal carattere kanji "aki" (splendente, brillante) che si legge SHO.

Il punzone, aggiunto a partire dal 1930, indica che la produzione è avvenuta durante il Regno Showa, quello durante il quale Imperatore è Hirohito, periodo iniziato con la morte del padre e predecessore Yoshihito, evento che mette fine al Regno Taishō (25 Dicembre 1926).

Dal 1873, con la restaurazione Meiji, in Giappone viene introdotto in Giappone il calendario gregoriano, e le durate degli anni coincidono con quelle alle quali siamo abituati. 

Ma il primo anno di regno (gannen) di ogni Imperatore non dura necessariamente 12 mesi, poiché se inizia con la morte del precedente Imperatore, termina comunque con la fine dell'anno solare (così come l'ultimo anno di un periodo di regno, che pur iniziando sempre il 1° Gennaio, termina con la scomparsa del regnante).

Nel caso di Showa Tennō (al secolo: Hirohito) è durato solo 6 giorni, essendo terminato alla mezzanotte del 31 Dicembre 1926.

Quindi 15.8 corrisponde ad Agosto 1940, mentre 9.11 a Novembre 1934.

I due caratteri SHO hanno un aspetto leggermente diverso tra di loro: è una conseguenza della realizzazione avvenuta in due opifici diversi, ed in altri esemplari si riscontra anche su altri caratteri.

Andiamo avanti.

Vicino al mese di produzione, molto poco evidente, si vede il carattere kanji "higashi" (oriente), che si legge TO.

E' un punzone di ispezione dell'Arsenale di Tokyo, ma nessuno dei due esemplari è uscito dai suoi opifici. Approfondiamo questo aspetto.

L'esemplare del 1934

L'esemplare datato 9.11 subito prima del numero di matricola riporta un simbolo, una piramide fatta con quattro palle da cannone, tre alla base ed una in cima, vista dall'alto, utilizzato per identificare sia l'Arsenale di Tokyo, sia quello di Kokura.

L'Arsenale di Tokyo - Koishikawa, inaugurato nel 1871, in piena restaurazione Meiji, subisce gravissimi danni durante il grande terremoto che nel 1923 devasta la regione del Kantō. La sua completa ricostruzione è tanto onerosa che nel 1931 le Autorità decidono di trasferire tutte le attività, inclusa la produzione delle Modello 14, in una nuova sede sita a Kokura. La transizione richiede alcuni anni, e formalmente l'Arsenale di Kokura non diventa completamente autonomo prima del 1935.

La presenza del punzone kanji "TO" dopo la data 9.11, congiunta alla presenza della sillaba katakana "se", punzonata sul lato sinistro del castello (raffigurata nel riquadro della foto in alto, e riportato nel disegno qui sotto) dice che questo esemplare è stato realizzato in un momento in cui le componenti realizzate a Tokyo vengono successivamente assemblate a Kokura, sotto la supervisione dell'Arsenale di Tokyo.

Si tratta di una delle ultime armi assemblate a Kokura con parti prodotte a Tokyo ed accettata da ispettori di Tokyo, in un periodo di transizione che nello stesso mese di Novembre vede già accettare a Kokura armi ivi prodotte ed assemblate, e che terminerà insieme al successivo mese di Gennaio.

 

L'esemplare del 1940

Sull'altro esemplare, datato 15.8, due sono i simboli che precedono il numero di matricola.

Del primo abbiamo parlato nella scheda della Carabina Arisaka 44, rappresenta due mostri mitologici, gli Shachihoko, che simboleggiano, e proteggono, la città di Nagoya.

Del secondo abbiamo dato cenno in questa stessa scheda: è il simbolo della Ditta messa in piedi dallo stesso Kijiro Nambu un volta congedatosi, ovvero il carattere kanji "NAN" stilizzato.

Inizialmente, nel 1927, la Ditta si chiama "Nambu Seizosho"; nel 1936 a seguito di una fusione con altre due Società la ragione sociale cambia e diventa "Chuo Kogyo K.K." (ovvero "Chuo Kogyo S.p.A.").

La Ditta ottiene dall'Amministrazione Militare diversi contratti di appalto; uno è per la produzione della Modello 14, che viene avviata a partire dal 1933, come prosecuzione di quella già svolta ed appena terminata nello stabilimento di Chigusa dell'Arsenale di Nagoya, e continua anche dopo il cambio di ragione sociale. Della supervisione sarà responsabile sempre lo stesso Arsenale di Nagoya, che però ha l'organico del suo Ufficio Ispettivo costituito ... da personale dell'Arsenale di Tokio!

Ecco spiegata la molteplicità di punzoni di questo esemplare.

Il luogo dove vengono materialmente prodotte queste Nambu-che-più-Nambu-non-si-può è sempre lo stesso, ovvero lo stabilimento di Kokubunji; appositamente costruito nel 1929, storicamente è il secondo opificio che entra a far parte della Ditta, affiancando quello originario di Nakano.

 

I due esemplari sono pressoché identici ...

... e disporre di due armi con identico mirino permette di riprendere ... due mirini con uno scatto!

La differenza che salta agli occhi riguarda le due guardie del grilletto, una tondeggiante e l'altra, introdotta nel Settembre del 1939, di dimensioni maggiorate. La modifica permette di utilizzare l'arma anche calzando dei guanti, necessità sorta già durante l'invasione della Manciuria, sul finire del 1931. Non è l'unica modifica dovuta ai -30° affrontati in Cina, anche il percussore e la sua guida ne subiscono, ma senza meno è la più evidente. Una parte delle armi già in servizio viene richiamata per essere dotata della nuova guardia.

La stessa foto mette in evidenza la differenza tra le guancette dei due esemplari. Mentre sulle prime le righe per facilitare la presa sono 25 ed arrivano ad avvolgere il pulsante di svincolo del caricatore, su quelle adottate successivamente esse sono solo 17 e si fermano all'altezza della guardia. A togliere 8 righe non è che si risparmi chissà che cosa, e personalmente sono portato a pensare che la modifica irrobustisca il bordo della guancetta dove questa potrebbe essere danneggiata durante un poco accorto smontaggio "di campagna", ma è solo una mia supposizione.

A partire dal mese di Novembre del 1944 le righe spariranno del tutto, e questo è certamente una semplificazione conseguente allo sforzo bellico richiesto.

Un'altra differenza tra le due versioni dell'arma, forse meno evidente, è la molla a lamina sinusoidale con le due estremità spinate al castello, aggiunta all'inizio del 1940. Come è evidente dal disegno pubblicato in apertura, mentre l'ansa esterna ha solo una funzione ... elastica, quella interna va ad alloggiarsi in un'asola realizzata nel caricatore e lo trattiene saldamente in posizione anche se si preme accidentalmente il pulsante di svincolo. Ovvio che il cambio rapido ce lo possiamo scordare, ma tendo ad escludere che il fortunato possessore del secondo caricatore che veniva fornito con l'arma abbia vaghezza di provare l'emozione di eseguire cotal essercizio ... 

Questa modifica è successiva all'adozione della guardia "invernale", esiste quindi una versione con guardia maggiorata  priva di molla al caricatore, prodotta da Settembre a Dicembre del 1940.

Sulle armi prodotte dopo il 1940 la molla in questione dovrebbe assolvere anche ad un'altra funzione, della quale posso solo riferire quel che ho letto. I caricatori di queste armi hanno elevatori che possono essere bloccati in posizione abbassata, con la molla compressa, per facilitarne il riempimento con nuove munizioni. Al reinserimento nel castello, la molla provvede anche a sbloccare l'elevatore nel caso in cui il militare si fosse scordato di farlo.

Qui sotto, dai fori che attraversano il castello appaiono i blocchetti di chiusura. Perché i fori passanti? Forse una necessità di lavorazione? Una precauzione per poter verificare, ad arma montata di aver effettivamente rimesso al suo posto il blocchetto di chiusura? Non saprei dire.

Notare sulla destra di ognuno dei fusti la lunga leva di scatto, che piega a 90 gradi sotto il tappo posteriore dell'otturatore per raggiungere e trattenere armato il percussore fino al momento dello sparo.

I tappi posteriori degli otturatori con le loro tre flange separate da profonde gole offrono una buona presa, ma un tappo simile ci vuol tempo a realizzarlo e tra le fine del 1943 e l'inizio del 1944 un semplice tappo cilindrico godronato ne prende il posto, al principio con una godronatura fine, prontamente sostituita da una più grossolana per assicurare una presa sufficiente.

La foto qui sopra permette di apprezzare le minime differenze dimensionali dei due tappi, e la forma inconsueta ma efficace della tacca di mira. Cliccando sulla foto se ne potrà osservare una versione con maggiore risoluzione.

Anche cliccando sulla foto qui sotto se ne potrà apprezzare una versione con miglior risoluzione.

Per ridurre una povera Nambu 14 in quelle condizioni si può procedere iniziando a spingere in avanti con un'asticella la guida del percussore che sporge dal tappo zigrinato, svitare il tappo, sfilare la guida con la molla del percussore, puntare la canna in alto e premere il grilletto per far scivolare in basso il percussore.

Poi si svitano le due viti della guancette, che è prudente rimuovere per non rovinarle con le manovre successive.

Rimosso il caricatore, si mantiene arretrato il gruppo canna-scatola di culatta (ad esempio tenendo la volata premuta su una superficie di legno), si tiene premuto il pulsante di svincolo del caricatore e si sfila verso il basso il gruppo guardia-grilletto. Avendo tolto le guancette, anche il pulsante di svincolo del serbatoio può essere estratto dal fusto con la sua molla.

Il gruppo canna-scatola di culatta contenente ancora l'otturatore può essere sfilato dalla parte anteriore del fusto, trascinando via il blocchetto di chiusura e liberando le due molle di recupero.

Mantenere la volata verso l'alto aiuterà a non perdere la molla del blocchetto di chiusura, che idealmente dovrebbe rimanere nella sua sede ma che di solito ha la tendenza ad andarsene per i fatti suoi, cadendo in terra per rotolare in modo evidente, ma ad una velocità appena superiore alle nostre capacità di intercettazione, diretta immancabilmente verso il posto a noi più irraggiungibile della stanza.

Un'altra osservazione della stessa natura, ovvero della natura delle molle, che è quella dell'infamia: la molla del percussore tende a schizzare via durante il montaggio, badando bene di non dare alcun indizio sul sito prescelto per l'atterraggio, e come diversivo per distrarre i più attenti lancia davanti a sé la guida del percussore. Se si ha l'accortezza di chiudere la porta della stanza in cui avvengono le operazioni di manutenzione, si può limitare l'interdizione all'ingresso di scope ed aspirapolvere fino a rinvenimento della molla in quella stanza, e quella sola. Dovrete ugualmente sostenere la vostra tesi davanti alle donne con voi conviventi, ma dove la trovate un'altra molla del percussore? Altrimenti si posiziona la coda della guida del percussore nella sua sede ricavata nel tappo zigrinato, si pone il tappo sul fondo dell'otturatore, e solo ora si preme la guida con un'asticella, fino ad azzeccare la sua via di corsa (più facile a dirsi che a farsi), e si avvita a fondo il tappo.

In questa pagina ho inserito un esploso dell'arma, scaricato non ricordo da dove, che ho integrato con una legenda in italiano.

Ed infine, prima della bibliografia, la tradizionale tabellina con le misure

Produttore:

Arsenale di Nagoya (fabbriche Chigusa e Toriimatsu), Arsenale di Tokyo, Arsenale di Kokura, Ditta Nambu Seizosho (poi Chuo Kogyo K.K.), per un totale di circa 280.000 esemplari.

Modello:

14

Calibro:

8 mm Nambu

Alimentazione: Caricatore amovibile, unifilare, capacità 8 colpi.

Lunghezza canna:

120 mm, 6 righe destrorse con passo di 275 mm

Lunghezza complessiva:

230 mm

Altezza complessiva: 155 mm

Peso scarica:

910 g

 

Bibliografia

- J. D. Brown: "Collector's Guide to Imperial Japanese Handguns 1893-1945" - Schiffer Publishing Ltd. - 2007;

- G. Bruce: The Evolution of Military Automatic Pistols - Mowbray Publishing - 2012;

- J. Walter: The Handgun Story - Frontline Books - 2008

- G. Rosi, L. Salvatici: Le Pistole della Seconda Guerra Mondiale - Nambu mod. 14 - Diana ARMI, Giugno 1979;

 

Siti Internet

www.nambuworld.com

www.wikictionary.org