Carabina Arisaka Modello 44

 

Scheda di Frank Mancuso - arma fotografata della sua collezione privata.

 

"Questo è un vecchio fucile, ed è per i giapponesi quello che per gli italiani è stato il Fucile 91": così inizia la scheda di Absolut dedicata al fucile Arisaka Modello 38.

 

 

A distanza di qualche anno da quella scheda, andiamo a presentare quello che dovrebbe essere stato per i Giapponesi ... il moschetto 91 cavalleria!

 

Nata nel 1911, sei anni dopo il fucile, ovvero nel quarantaquattresimo anno di regno dell'Imperatore Meiji, la Carabina modello 44 rappresenta la versione accorciata ed alleggerita del fucile dal quale deriva, con l'aggiunta di una baionetta fissata permanentemente all'arma e ripiegabile sotto la canna.

 

 

Le esperienze fatte in combattimento tra il 1904 ed il 1905 hanno suggerito ai Comandi dell'Esercito Imperiale di dotare la carabina per cavalleria di una baionetta (i primi esemplari di carabine modello 30 non erano nemmeno provviste di un attacco per essa); ma un uomo in groppa ad un cavallo difficilmente può trarsi dall'impaccio del porto contemporaneo di un metro di sciabola, di un altro metro di carabina, e di mezzo metro di baionetta, per non parlare di innestare la seconda sulla terza in caso di necessità.

Se poi la statura dell'uomo è un-metro-e-60-scarso, è meglio ammettere di avere scherzato, e finirla lì.

 

 

Di necessità in virtù, la baionetta finisce per essere adottata in forma di un robusto spiedo dalla sezione a V, incernierato alla carabina, che vediamo in posizione estesa...

 

 

... e ripiegata sotto la canna.

 

 

Nella "pancia" sotto la calciatura, evidenziata nella foto che segue, dietro la fascetta con maglietta, ...

 

 

... è ricavato una sede destinata ad ospitare l'estremità anteriore della baionetta.

 

 

Davanti alla maglietta uno dei due fori destinati a non far ristagnare della perniciosa umidità nella calciatura.

 

 

La baionetta è unita alla calciatura per mezzo di un attacco separato dalla canna.

 

Se ne conoscono tre tipi differenti, illustrati nell'immagine che segue, ordinati cronologicamente, ed in ordine di robustezza crescente, da sinistra a destra.

La caratteristica principale che differenzia i tre tipi è la distanza tra le due grosse viti che uniscono l'attacco alla calciatura.

 

 

Questo esemplare, prodotto presso lo stabilimento Chigusa dell'arsenale di Nagoya, presenta un attacco del terzo tipo, come tutte le Carabine 44 prodotte presso questo arsenale.

Per risolvere problemi di accuratezza del tiro, sia il secondo che il terzo tipo di attacco hanno il cannotto che circonda la canna di diametro maggiore rispetto al primo tipo, per non toccare la canna in nessun punto.

 

 

Sul lato sinistro dell'attacco è presente il grosso pulsante a molla necessario a disimpegnare la baionetta e a consentirne la rotazione.

 

 

Sul lato destro dell'attacco è presente il gancio che non è pensato per realizzare il fascio d'armi, ma per contrastare un attacco portato da una baionetta inastata su un fucile nemico.

 

 

Chiaramente visibili nelle due foto precedenti i due denti che trattengono la baionetta in posizione aperta e chiusa, grazie al poderoso scrocco, simmetrico, del quale uno dei lati è messo in evidenza nell'immagine che segue.

 

 

L'attacco con la carabina costituiscono un accessorio tanto massiccio da influire non poco sul peso finale della carabina, che risulta essere di quasi 4 chilogrammi!

 

La carabina mantiene ovviamente l'azione del modello 38, semplificazione di quella adottata col modello 35 ed ottenuta

dall'allora Capitano Kijiro Nambu (più noto per le armi corte di sua creazione) modificando (o, secondo alcuni attenti critici, perfezionando) l'azione con estrattore non rotante tipo Mauser.

Anche la munizione resta la stessa, quella 6,5x50 R tanto simile alle munizioni di pari calibro di Scotti e di Mannlicher.

 

 

La carabina mantiene il coperchio antipolvere: non so dire se sia vero che i militari se ne disfacessero perché rendeva rumoroso armare il fucile, ma posso testimoniare che rimontare l'otturatore e contemporaneamente il coperchio è cosa piuttosto scomoda, soprattutto se, come usa spesso capitare all'umano medio, invece di tenere in esercizio il cervello, si preferisce inveire contro la malasorte che ci ha messo tra le mani quell'accrocco.

 

Absolut affermava che gli Arisaka sono "tra i fucili ex ordinanza con l'otturatore più duro da azionare che mi sia capitato di provare, e richiedono una discreta forza fisica per essere armati"; l'osservazione è corretta, ed in parte si spiega notando che il percussore viene armato completamente solo in chiusura.

 

Oltre alla tacca di combattimento, tipica delle prime armi modello 38, c'è un ritto con un cursore che permette di regolare il tiro fino ad un massimo di 2000 metri, che deve essere considerato l'alzo di tipo standard sia sulle armi tipo 38 che sulle Carabine 44.

 

 

Per la Carabina 44, a differenza della Carabina 38, non è mai stata adottata la diottra che caratterizza l'arma da cui essa deriva.

 

Il robusto tappo posteriore dell'otturatore come viene visto dal tiratore, con la particolare zigrinatura abbandonata sulle armi prodotte verso la fine del conflitto.

L'incavo orientato a sinistra indica che l'arma, se il percussore è armato, è in posizione di fuoco.

Sempre se il percussore è armato, è possibile spingere il tappo in avanti e farlo ruotare fino ad avere l'incavo in verticale, e così facendo si mette l'arma in sicura e l'otturatore non può essere aperto.

 

 

Chi conosce i caratteri della scrittura giapponese può leggere dall'alto in basso i punzoni presenti in alto nella parte anteriore dell'azione, dietro la camera di cartuccia, ed apprendere che l'arma è un "44 Modello".

 

 

Il crisantemo (noto tra i collezionisti come "mum"), simbolo di consacrazione all'Imperatore, è ancora oggi intatto.

 

L'arma al momento del suo ritiro dalle attività belliche faceva quindi ancora parte dell'Esercito, ed al momento della sua cattura non si è avuto il tempo o il modo di cancellare il simbolo.

 

Il crisantemo intatto fa giustamente ritenere al collezionista di trovarsi davanti ad un fucile giapponese più appetibile di quegli altri con il crisantemo danneggiato o abraso, in tutto o in parte.

 

Il che è vero, ma una Carabina 44 me la sarei portata a casa anche con il crisantemo abraso!

E' un'arma che non si vede tutti i giorni, ne sono state prodotte verosimilmente meno di 100.000, contro i circa 3 milioni di esemplari di Mod. 38 ed i 2,5 milioni di Mod. 99.

Nel caso specifico, poi, si tratta di un esemplare prodotto presso l'Arsenale di Nagoya, che produsse in totale solo circa 13.000 esemplari sul totale della produzione.

Infine, la produzione delle carabine modello 44 cessò nel 1942 (nel 1939 venne adottato il fucile corto modello 99, che nel 1941 divenne di fatto l'arma standard dell'Esercito Giapponese), quindi nessuna carabina 44 è andata incontro al drammatico decadimento della qualità produttiva tipico delle armi realizzate sul finire delle ostilità.

 

Un pezzo simile lo vogliamo lasciare sullo scaffale se non ha più il "crisantemo" integro?

"Ma mi faccia il piacere!" (A. De Curtis).

 

Vediamo comunque in dettaglio il significato delle altre punzonature presenti sulla scatola di culatta

 

 

Per comprendere il primo carattere, che è parte integrante della matricola, è necessario fare una pausa, e chiedere un po' di pazienza al lettore.

 

Inizialmente, presso i vari arsenali nipponici, i numeri di matricola sulle armi lunghe vengono apposti consecutivamente.

In breve tempo si raggiungono numeri di matricola di 7 cifre, che vengono punzonate singolarmente a mano!

Per semplificare la vita alle maestranze, si cerca, e si trova, un metodo che riduce il numero di matricola a non più di 5 caratteri, che si fonda sul metodo di scrittura in uso in Giappone.

 

Andando giù con l'accetta, e senza entrare in dettagli (quello giapponese è il metodo di scrittura più complicato che si conosca), in Giappone, oltre agli oltre 10.000 ideogrammi kanji di origine cinese (tranquilli, ne bastano 2000 per leggere un quotidiano) esiste anche un alfabeto sillabico (in realtà quelli tradizionali rimasti in uso oggidì sarebbero due, ma sono equivalenti dal punto di vista fonetico, anche se vanno usati in contesti differenti) il cui insegnamento ai bambini viene completato durante le scuole elementari.

 

 

Caratteri fondamentali dei due alfabeti sillabici giapponesi, lo Hiragana a sinistra ed il Katakana a destra.

Cliccare sulle immagini per vederle ingrandite. La grafica è differente, ma la fonetica resta immutata.

Le frecce indicano il verso in cui vanno tracciati i tratti che compongono i caratteri.

I caratteri sono ordinati secondo il metodo gojūon, dall'alto in basso e da destra a sinistra. Da Wikipedia. 

 

Se non si sa come rappresentare una locuzione con il giusto ideogramma (o, meglio, logogramma, ma non chiedetemi quale sia la differenza), si può usare l'alfabeto sillabico più adatto alla bisogna per trascrivere la pronuncia della stessa cosa.

 

L'alfabeto sillabico conta poco meno di 50 caratteri fondamentali, per i nostri fini 48 sarà il numero magico da tenere presente.

 

Come ogni alfabeto che si rispetti, le sillabe non sono messe giù a casaccio ma seguono un ordine utile a chi volesse recitarle a memoria.

Per ordinare le sillabe i giapponesi usano almeno due metodi (con uno solo dove sarebbe il divertimento?): il "gojūon" e lo "iroha".

Il secondo risale almeno al 1079, e passa per essere di vecchio stile, essendo ormai in disuso, anche se è il primo ad essere ancora più datato (vi avevo detto che i Giapponesi sono complicati?).

 

Lo "iroha" deve il suo nome ad una composizione poetica nella quale ogni sillaba viene pronunciata una sola volta (con una eccezione).

La composizione inizia appunto con le sillabe i-ro-ha.

 

 

Una versione dello IROHA, scritta con caratteri Hiragana, dall'alto in basso, e destra a sinistra.

Cliccare sull'immagine per vederla ingrandita. 

 

Associando un numero progressivo alla posizione della sillaba nella composizione si può contare fino a 48 con un solo carattere, scavalcando il limite di 10 imposto dall'uso dei numeri arabi.

 

Il metodo adottato poco dopo il 1920 e fino al 1945 per immatricolare le armi lunghe tipo 38 e derivate prevede quindi che la matricola in ogni blocco di 9.999 esemplari inizi con un carattere dello "iroha", seguito da un numero compreso tra 1 e 9999.

Terminato il blocco si ricomincia con il carattere "iroha" successivo.

 

L'immagine che segue riepiloga i caratteri sillabici "katakana" ordinati secondo l'iroha, cliccando su di essa se ne potrà scaricare una versione più facilmente leggibile.

 

 

Tornando quindi alla matricola dell'esemplare in oggetto, il simbolo racchiuso in un cerchietto alla sinistra del numero di matricola indica (era ora!) il secondo blocco di matricole.

 

Alla destra del numero di matricola è impresso il simbolo detto Shachihoko che rappresenta dal 1923 al 1945 l'Arsenale dell'Esercito di Nagoya, e che ancor oggi è il simbolo della stessa città.

 

 

Esso raffigura, in forma stilizzata, due creature mitologiche, presenti su sculture che ornano il tetto del castello della città, col corpo di pesce e la testa di serpente, poste una davanti all'altra, a bocca spalancata, testa contro testa e coda contro coda.

Creature associate all'acqua, la loro presenza ha anche lo scopo di propiziare la protezione del castello contro gli incendi.

 

A destra del numero di matricola si completa la punzonatura con i marchi di accettazione.

 

Ancora alcuni dettagli prima di concludere.

 

All'interno della guardia, il pulsante per liberare il fondo della scatola del serbatoio, che non è da criticare, poiché il modesto rinculo della munizione giapponese non deve far temere aperture accidentali al momento dello sparo

 

 

ed il fondello del serbatoio suddetto, anch'esso con gli ultimi tre numeri di matricola dell'arma, ma applicati in modo nipponicamente molto discreto, e non visibili ad arma montata.

 

 

La pala del calcio denuncia la tipica costruzione in due pezzi che caratterizza le armi lunghe giapponesi.

 

 

In prossimità del calciolo metallico, un sofisticato bottone rotante permette di esporre l'accesso ad un vano realizzato nella pala del calcio e destinato a contenere la bacchetta di pulizia in tre pezzi (due elementi per la bacchetta lunghi poco più di 20 cm, più un terzo elemento con portastracci in bronzo, lungo circa 12 cm).

 

 

Cosa altro aggiungere?

 

L'abbiamo definita scherzosamente in apertura "il 91 Cavalleria giapponese", ma mentre il nostro schioppo è stato accorciato ed alleggerito fino a farne un'arma maneggevole, la sua controparte asiatica, oltre a pesare quasi un chilogrammo in più è estremamente sbilanciata in avanti, e non viene spontaneamente in mira.

 

Nonostante ciò, la Carabina 44, distribuita un po' a tutte le specialità dell'Esercito Imperiale Giapponese, sembra sia stata generalmente apprezzata dalle truppe che ne furono armate, e questo è quel che conta!

 

Qui di seguito, la solita tabellina riepilogativa delle caratteristiche dell'arma:

 

Calibro 6,5 x 50 mm Japanese Arisaka
Ripetizione manuale
Lunghezza totale 968 mm (1308 mm con la baionetta estesa)
Lunghezza canna 480 mm
Peso 3,9 Kg.
Velocità della palla alla bocca 765 m/s
Caricatore interno, 5 colpi
Anni di produzione 1911-1942
Quantità di pezzi prodotti 100.000

 

Bibliografia

§ F. L. Honeycutt jr., F. Patt Anthony - Military Rifles of Japan - Julin Books, 1996

§ D. O. McCollum - Japanese Rifles of World War II - Excalibur Publications, 1996

§ F.C. Allan, H. W. Macy - BANZAI Special Project #8: The Type 38 Arisaka - F.C. Allan, 2007