Machinen Karabiner 42


 

Due parole, prima di tutto

di Frank Mancuso

 

 

Da tempo desideravo presentare su queste pagine l'arma oggetto di queste note, per il suo indubbio fascino e per le numerose richieste ricevute al riguardo dai visitatori del sito.

 

Non possedendone un esemplare, ho chiesto più volte la disponibilità di un paio di amici più fortunati di me, ricevendo molte promesse, ma solo sfiorando, senza mai centrare, l'opportunità per realizzarle.

 

Poi, una mattina, il Caso fa incrociare le strade giuste, e nel farlo si beffa di tanti piani fatti, e poi disfatti.

 

Entro quindi in contatto con Ordotempli, distinto collezionista, proprietario dell'arma fotografata, ispiratore dell'apertura del poligono "La Folce" che ci ha ospitato per le riprese fotografiche.

 

E' con squisita gentilezza che mette a mia disposizione sia l'arma, perché possa essere fotografata, sia le note storiche che seguono, che ha redatto e già pubblicato sul forum Italian Shooters, di cui è uno degli animatori.

 

 

Sono opera mia, nel bene e nel male, le immagini dell'arma, un po' più numerose del solito, ed il consueto commento che le accompagna.

 

Non mi resta quindi che ringraziare ancora due persone: Paricutìn, gestore di Italian Shooters, che a sua volta ha acconsentito ad utilizzare anche qui il testo di Ordotempli, e, infine, Tonino, perché senza il suo intervento questa scheda avrebbe dovuto aspettare ancora chissà quanto prima di essere pubblicata.

 

Concludo segnalando che presso La Folce è presente uno di quei punti di ristoro che tanto mi sono graditi, e che sono oggetto di una non-scheda piuttosto apprezzata; al momento non so dire se l'accesso è riservato agli iscritti al poligono e loro ospiti, ma sarà mia cura informarmi, ed eventualmente aggiornare di conseguenza la pagina detta.

 

 

 

Creazione del mito: Machine Karabine MKb42
di Ordotempli

 

Il substrato culturale che diede origine alla nostra storia fù un mixage di sentimenti che, seppur ravvivati dalla cocente sconfitta subita nella prima guerra mondiale, aveva, per il popolo germanico, radici ancestrali depositate nelle origini tribali delle popolazioni autoctone.

 

Il solo concetto di “gefoldschaft” (fedeltà al capo), tipico della struttura di quelle popolazioni, venne sapientemente ampliato e strumentalizzato. L’origine culturale del nazismo deve quindi porsi lontano nel tempo quantunque non sia da sottovalutare il fascino che sul suo leader esercitò il fascismo che ne procurò la struttura fondamentale.

 

Su queste basi, dunque, fu naturale compiere quella serie di passi che condusse il popolo tedesco verso l’obnubilazione dettata dalla fallace dottrina della pura razza ariana ed alla necessità di procurarsi spazio vitale a spese delle popolazioni via via definite “sottouomini”.

 

Dalla sua ascesa al potere, negli anni dal 1933 al 1939, cioè in soli sei anni, l’omologazione della intera società tedesco-austriaca al nazismo fu pressoché totale e condusse l’intero paese ad una massiccia e determinata volontà di preparazione all’azione bellica.
Tutti i mezzi produttivi e tutte le attività “culturali” erano esclusivamente tese alla propaganda, all’addestramento, alla eliminazione dei dissidenti.

 

In questo clima ci si pose il dilemma di migliorare l’armamento individuale della fanteria. Già nel 1923 un capitolato dello Stato Maggiore definì una specifica alla quale la nuova arma doveva attenersi : essa prevedeva la capacità di tiro a raffica, un serbatoio-caricatore della capienza di 20-30 colpi, una cadenza di tiro di circa 400 colpi al minuto, la resistenza al ghiaccio ed al fango ed al logorio. Ma il problema maggiore era la necessità di ridurre ingombri e pesi delle armi individuali nel rispetto della distanza utile di tiro.

 

Il programma iniziò con lo studio di una cartuccia che oggi definiremmo intermedia.
Le prime fasi di sperimentazione della cartuccia passarono per successivi tentativi tra i quali ricorderemo un calibro 8x42,5 ad opera dell’Ing. Karl Heinemann della Rheinmetall, ed anche in 8x46, ed un 7x39 (DWM 581), giungendo intorno al giugno del 1939 alla cartuccia successivamente adottata 7,92x33 così come progettata dalla Polte con la successiva denominazione di “Pistolen Patrone 43 m.E. 7,92x33 mm Kurz Patrone“.

 

 

D'obbligo il confronto tra la 7,9x33 Kurz e la 7,9x57 JS, qui eseguito grazie a due cartucce commerciali.

 

Si iniziò dal calibro mantenendo il 7,92 probabilmente per non convertire l’apparato industriale della produzione delle canne (una analoga scelta venne compiuta dai russi nell’adozione del calibro per il successivo AK47). Il progetto per la nuova arma venne denominato Machine Karabine 42 successivamente distinto in MKb42(w) per l’arma della Walther (capocommessa) e MKb42(h) (sotto)per l’arma della Haenel.

 

Presso la Walther si proseguì quella serie di sperimentazioni che, iniziate nel 1935 con la sperimentazione di un prototipo di arma (Vollmer 1935 in cal 7,75x40) ad opera della Haenel il cui progettista era Hugo Schmeisser (autore anche del MP38) condusse nel 1941 al modello MKb 42 (W) che venne sperimentato, in una piccola serie di 40 esemplari, presso la scuola di fanteria di Dobernitz nel dicembre del 1942 risultando estremamente sensibile al ghiaccio ed al fango e notevolmente impreciso poiché, funzionava ad otturatore aperto per diminuire i pesi, venne pertanto escluso dalla gara.

 

Il primo modello presentato dalla Haenel ebbe la denominazione di MKb 42 (H) ottemperando non solo al primo requisito richiesto di resistenza al fango ed al ghiaccio ma era previsto che l’arma fosse prodotta con poche parti macchinate dal pieno o fresate (otturatore e canna) mentre la restante parte era costituita da parti in lamiera stampata da affidare per la produzione a piccole e molteplici officine distribuite sul territorio (questo consentiva che in caso di distruzione di una officina la produzione finale non ne fosse particolarmente coinvolta).

 

 

Una foto (non bella) che ritrae la fedele copia dello MKb 42 (H) attualmente distribuita dalla tedesca HZA.

Notare la notevole lunghezza del tubo di presa dei gas, l'impugnatura sagomata, l'attacco per la baionetta.

Visibile la sede per trattenere in sicurezza la manetta di armamento. Il ciclo di fuoco inizia ad otturatore aperto.

 

L’assemblaggio finale venne affidato a circa sette principale fornitori. E’ pertanto evidente che ciascuna parte di ogni singola arma rechi marchi diversi e, sovente, WaAmt diversi.
E’ da considerare che tanto la Haenel quanto la Walther utilizzarono per la produzione della lamiera la tecnologia della Merz Werche di Francoforte.

 

L’arma della Walther, anch’essa associata al progetto per la realizzazione della MaschinenKarabiner, nasceva da un prototipo ad opera dell’Ing. Brauning (strana e nota fonetica !) ebbe la denominazione di MKb 42 (W) per distinguerlo dall’analogo progetto MKb 42 (H) della Haenel.

 

Tuttavia le perplessità per l’adozione di tale arma ancora non erano superate, lo stesso Fuhrer (fantaccino nella Prima Guerra) ebbe ad esclamare in data 14 aprile 42 che “una arma in grado di assolvere a molte funzioni (oggi diremmo polivalente) finirà col non assolvere a nessuna delle necessità operative”. Venne elaborata una nuova direttiva per portare il tiro utile a 1200 metri … la Walther approntò esemplari con ottica facendo credere che ciò era possibile.

 

Ad una successiva presentazione dell’arma avvenuta il 1 giugno 1942 ormai con la fascinosa denominazione di Machinen Pistole, il Furher restò affascinato dalla estetica dell’arma consentendone la sperimentazione.

 

Nel corso dell’autunno furono sperimentate al fronte circa 200 armi prodotte dalla Haenel e 100 armi prodotte dalla Walther che furono inviate al 16° ed al 18° gruppo di armate Nord al Generaloberst Lindemann che il 12 giugno invia il seguente rapporto : “ il prototipo MKb 42 (H) ha dato buon risultato .. esso rimpiazza perfettamente l’MP38 e l’MP 40 ed in larga misura il fucile .. esso è particolarmente utile per le pattuglie, i colpi di mano e gli attacchi ..”

 

Abbandonato, dunque, il progetto della Wather si ci concentrò sulla produzione del MK 42 (H) e si decise, a seguito di tale rapporto, di approvvigionare di tale arma le pattuglie esploranti.

 

La divisione delle SS Viking aveva inviato un voluminoso rapporto in data 13 settembre 1942, a seguito della prima e citata sperimentazione, esprimendosi in tal modo : “ .. una tale arma fornisce al soldato la potenza di fuoco desiderata … in considerazione delle istruzioni ricevute e della effettiva necessità operativa il soldato tira ad obiettivi distanti circa 200 metri e talvolta a distanze che non superano i 400 metri. “

 

Il teatro operativo, dunque, corrisponde perfettamente alle potenzialità dell’arma. Le prime 25 armi di produzione ufficiale furono inviate (ottobre 42) allo Scherer Kampfgruppe nella sacca di Cholm (Fronte nord-est) dove la lotta era in quel momento feroce. Un poco di confusione, a tale riguardo, l’ha generata nella primavera del 2000 il Direttore del Museo della Grande Guerra Patriottica Sergei Monetchikow presentando un MK 42 (H) con matricola “ 503 “ dichiarando che lo stesso era stato catturato a Cholm. Ciò risulta impossibile poiché una arma con tale matricola può essere stata prodotta solo dopo tale battaglia, la data presunta di produzione è nei primi giorni del gennaio 1943.

 

La produzione dell’ MK 42 (H) durò dal Novembre 1942 al settembre 1943 per un totale di 11717 esemplari.

 

 Anno

Mese 

Esemplari 

1942

 Novembre

 25

"

 Dicembre

 91

1943

 Gennaio

500

"

 Febbraio

 1217

"

 Marzo

 900

"

 Aprile

 2179

"

 Maggio

 3044

"

 Giugno

 1898

"

 Luglio

 1423

"

 Agosto

 366

"

 Settembre

 190

 

 

Nel contempo, Luglio 43, era iniziata la produzione della stessa arma con la denominazione MP 43.
Inizialmente con la denominazione MP 43/1 provvista di un attacco per l’ottica ZF 41, successivamente con la denominazione MP 43 senza tale possibilità, poi MP 44 e, senza alcuna variazione, con la denominazione StG 44.

 Anno

Esemplari 

1943

 19501

 1944

 281500

1945 (*)

124616

(*) Da Gennaio a Marzo.

 

I dati relativi alla produzione sino al 8 maggio 1945 (data della resa) sono confusi e inattendibili.
La produzione totale ufficiale dunque si attesta su 11717 esemplari MK 42 (H) e 425617 MP + StG.
 

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Uno sguardo ravvicinato a questo esemplare

di Frank Mancuso

 

Si tratta di un esemplare di MP44, come recita la punzonatura sul lato sinistro dell'arma.

 

 

 

La scritta ADLER ricorda che queste armi passarono per le mani di Armando Piscetta, che le fece iscrivere al Catalogo Nazionale come se egli non si fosse limitato a privarle della raffica, ma le avesse interamente prodotte, di fatto costringendo la concorrenza, grande e piccola, a ripercorrere la strada della catalogazione per poterne eventualmente importare altri esemplari.

 

Sempre sul lato sinistro, i comandi principali dell'arma.

 

 

In alto è visibile la manetta di armamento, che durante il ciclo di sparo segue il portaotturatore nel suo moto, sotto di essa il pulsante di svincolo dell'otturatore, subito dietro il grilletto la leva della sicura, e sopra questa leva, sempre a portata di pollice, il traversino di selezione del tiro.

 

O, meglio, quel che resta del traversino, poiché l'arma ha subito diverse modifiche al sistema di scatto per impedire che possa tornare a eseguire il tiro automatico.

Ed una delle modifiche apportate è proprio la saldatura del traversino, fatta in modo da lasciare perennemente visibile la lettera E, iniziale di "Einzel", che indica la modalità di tiro tiro semiautomatico, mentre la lettera D, iniziale di "Dauer", posta ad indicare il tiro automatico, nonostante sia stata altrettanto perennemente destinata a rimanere nascosta nella carcassa, è stata ribattuta.

 

 

La disposizione dei comandi, anche se ignora l'esistenza dei mancini, ha tenuto ben presente le indicazioni dell'ergonomia.

Per un'arma pensata oltre 70 anni fa non è poco, soprattutto considerando che altre armi, più recenti, non possono vantare tali sofisticazioni.

 

L'intero gruppo impugnatura - scatola di scatto è realizzato in lamiera stampata dello spessore di circa 12/10, e non è smontabile nei suoi componenti (guancette a parte, che in questo esemplare sono del tipo di più tarda produzione, in materiale sintetico).

 

 

Stabilmente incernierato al resto dell'arma, il gruppo in caso di guasto poteva essere sostituito in arsenale con uno analogo.

In prossimità del foro visibile posteriormente, destinato ad ospitare il perno di unione all'arma, è ripetuto il numero di matricola dell'arma.

 

 

Uso il verbo "ripetere" per sottolineare che i due numeri dovrebbero coincidere, come in questo caso, ma l'uso del condizionale è d'obbligo... e se nel vostro esemplare così non fosse, non prendetevela con i tedeschi, loro in questo non c'entrano.

 

Visto che per fare queste foto ho dovuto smontare l'arma, vediamo da vicino quello che solo apparentemente è il banale perno che deve essere rimosso per iniziare lo smontaggio.

 

 

La molla di cui si intravede sulla sinistra l'estremità lo trattiene in sede, senza bisogno di altri accorgimenti, e può essere sfilato solo dallo stesso lato in cui è stato infilato.

Il sistema, in una versione più sofisticata, è usato anche oggi da armi della categoria dei fucili d'assalto.

 

Sfilato il perno, il calcio può essere separato dall'arma, il gruppo di scatto può basculare, la molla di recupero, il porta-otturatore e l'otturatore possono essere sfilati dalla parte posteriore.

 

Il tutto assume questo aspetto:

 

 

Non c'è molto di più da smontare, fatta eccezione del dado anteriore quadrato e forato trasversalmente che altro non è che il tappo anteriore (realizzato per fusione e lavorato a macchina solo nei punti necessari) del tubo di presa dei gas, facilmente individuabile anche la presenza del piolo per realizzare il fascio d'armi che ne costituisce la sua estremità anteriore.

 

 

Il tubo di presa dei gas, qui sotto visto dall'alto, è realizzato in lamiera stampata, le costole che ne riducono il diametro interno fanno da guida al pistone durante il suo moto.

 

 

Nelle stesse immagini appaiono altri dettagli che è il caso di mettere in evidenza:

- il supporto anteriore del tubo di presa dei gas, realizzato per fusione;

- l'astina, realizzata in lamiera stampata e tenuta in sede a pressione, forata per disperdere il calore generato dalla canna;

- la maglietta anteriore, su lato destro dell'arma (sul sinistro c'è la manetta di armamento).

 

Uno sguardo più attento lo meritano la rampa del mirino ed i suoi dintorni.

 

 

Anche la rampa è realizzata per fusione, in questo caso dalla Sauer & Sohn, come da punzonatura riportata sulla sua superficie frontale.

 

 

Il coprimirino andava facilmente andava perduto, mentre la boccola avvitata sulla volata poteva essere rimossa ed essere sostituita da accessori destinati ad esercitazioni con munizioni a salve (dei quali non si ha traccia), o al lancio di granate (noti almeno allo stadio di prototipo).

 

Ad ogni buon conto, anche il lanciagranate che avrebbe potuto effettivamente essere stato utilizzato con queste armi, ovvero quello destinato al K98k, per poter essere fissato alla canna degli MP/StG per mezzo di una staffa a ganascia imponeva la rimozione della boccola, ma solo a causa dell'ingombro rappresantato da questa.

 

Nella foto appare un accessorio la cui esistenza è nota, ma che è di reperibilità più difficile della stessa arma, ovvero il salva-volata in materiale sintetico.

Eccolo nuovamente nell'immagine che che segue, sulla sinistra, insieme ad altri accessori dell'arma.

 

 

In alto, un guida-lastrine per facilitare il riempimento del serbatoio con lastrine da cinque colpi.

Ordotempli ha qualche dubbio sulla sua autenticità, peraltro io dubito che qualcuno si metta a realizzare dei falsi in lamiera stampata se non può sperare di produrne e venderne quantitativi importanti.

 

 

Un'estremità andava fissata alla costola presente sul dorso del caricatore, mentre l'altra era destinata ad ospitare le lastrine.

 

 

Lastrina dopo lastrina, si riempiva il caricatore con 30 colpi.

 

 

Oggi lo si può ancora fare, poiché qualche anno fa sono stati nuovamente prodotti dei lotti di munizioni, ancora reperibili fino a pochi mesi fa, in confezioni apprentemente diverse, ma contenenti lo stesso identico prodotto, come testimoniano le punzonature impresse sui fondelli dei bossoli (si veda il dettaglio a destra nella foto che segue).

 

 

Il serbatoio può essere riempito con una certa facilità anche con munizioni sciolte, essendo del tipo bifilare a presa alternata, come del resto ricordato anche sul manuale dell'arma.

 

 

Ben visibile sul dorso la costola già menzionata.

Per inserirlo nell'arma, come nella maggior parte delle armi semiautomatiche, è sufficiente spingerlo nel bocchettone, e superare la resistenza del dente di presa (purtroppo appena visibile nell'immagine che segue), fino ad udire lo scatto del dente che torna nella sua  posizione.

 

 

Il bocchettone presenta un invito solo nella sua parte anteriore, lateralmente non è necessario averne, a causa della sagoma arrotondata delle labbra che trattengono le munizione nel caricatore.

Sul fondo del bocchettone è visibile l'otturatore (in posizione di chiusura), è anche evidente la sede della costola presente sul dorso dei caricatori.

Con l'occasione diamo un'occhiata d'insieme al caricatore, il cui astuccio è realizzato completamente unendo con punti di saldatura degli elementi lamiera stampata.

 

 

ed un'occhiata più ravvicinata ai marchi punzonati sui due lati di esso.

 

 

I caricatori delle armi della famiglia MKb/MP/StG sono tutti intercambiabili tra loro, e solo quelli destinati ai primi MKb42 presentano un elevatore leggermente differente da quelli destinati alle armi successive: nonostante ciò, al cambiare della designazione dell'arma fece scrupolosamente seguito il cambio dell'indicazione punzonata sui caricatori.

 

L'esistenza di caricatori per StG 44 di produzione cecoslovacca datati 1946 indica, nel dopoguerra, una buona disponibilità di tali armi all'Est, verosimilmente di cattura, comunque in numero tale da giustificare il desiderio di tenerle, almeno potenzialmente, pronte all'uso. [1]

Questo al di là della produzione postbellica della munizione, avvenuta senz'altro in Spagna Argentina e Belgio, ma non sempre destinata all'arma che ne ha fatto maggior uso [2] (la produzione FN era infatti destinata ad una carabina sviluppata più o meno in contemporanea con il SAFN49, e che poi, abbandonata in strada la munizione intermedia, sarebbe diventata il noto FAL belga).

 

Le lastrine usate per riempirlo non differiscono in nulla da quelle usate per riempire il serbatoio dei fucili della popolosa famiglia Mauser. Quella raffigurata qui ha il corpo realizzato in ottone, ovvero del tipo più ricercato perché meno diffuso.

 

 

La molla che trattiene il fondello delle munizioni è in acciaio lucido, e riflette benissimo, e senz'altro più di quanto non sia necessario, il colore verde del panno che uso come sfondo ormai dalla mia prima scheda...

 

Gli altri due accessori che sono stati raffigurati col salva-volata ed il guida-lastrine sono, dall'alto, un percussore di ricambio, di sezione triangolare, ed una asticciola metallica.

 

Come misura cautelare, un percussore di ricambio era contenuto, insieme ad un estrattore completo di molla e perno, in un sacchetto in canapa o tela gommata, e trasportato in una taschina unita alle giberne.

Un'altra taschina era destinata a contenere il guida lastrine.

 

L'asticciola torna utile per svitare il tappo anteriore del tubo di presa dei gas, e, facendo leva contro la canna, facendolo passare in uno dei fori di raffreddamento, separare l'astina dall'arma.

Un accessorio abbastanza umile, e senza particolari pretese, ma anch'esso soggetto alle meticolose pratiche di accettazione, come testimonia la punzonatura presente su di esso.

 

 

Questo piccolo accessorio trova tutt'ora posto nel calcio, in un vano appositamente realizzato e protetto da uno sportellino a molla.

 

 

Nel vano, profondo una decina di centimetri, avrebbero trovato posto, se fossero stati disponibili, anche il libretto di istruzioni, e lo scovolo per la pulizia del tubo di presa dei gas.

Qui sotto lo sportellino trattenuto in posizione semiaperta con un piccolo artificio, necessario poiché la molla che lo trattiene in posizione chiusa è ancora pienamente efficiente.

 

 

Anche la molla di recupero trova alloggio nel calcio, in un foro profondo una ventina di centimetri.

 

 

Le immagini del calcio ci permettono di apprezzarne la semplicità, in pratica si tratta di una tavola di legno (inizialmente pieno, poi, come in questo caso, laminato), dello spessore di poco più di 30 mm, lavorata quel tanto che basta per farle assumere un profilo vagamente familiare, ed adatto allo scopo di poggiare l'arma alla spalla e far trovare un appoggio alla guancia del tiratore.

Mutua dal K98k il taglio nella pala destinato a dare attacco posteriore alla cinghia, ed è assolutamente privo di fronzoli, includendo tra i fronzoli anche il calciolo: solo gli spigoli sono protetti da elementi stampati.

 

 

A riguardo della cinghia, essa è pressocché identica a quella dedicata al K98k, ma qualcuno ha comunque ritenuto opportuno di apporvi un marchio che la destina specificatamente a quest'arma.

 

 

Di quel che è dentro l'arma, e che ne è possibile estrarre, resta ancora poco da vedere da vicino.

 

Il cuore dell'arma, ovvero un blocchetto in acciaio che è stato ottenuto con metodi di lavoro tradizionali di asportazione di truciolo, trattato termicamente, che fornisce appoggio all'otturatore in chiusura ed al quale è fissata la canna è possibile infatti vederlo solo a condizione di distruggere l'arma.

 

Non potendo fotografarlo, invito i lettori ad indovinarne la sagoma seguendo le tre costole realizzate nella lamiera (una, lunga ed orizzontale, sotto la finestra di espulsione, e le altre due, corte parallele e verticali, davanti alla prima) destinate a tenerlo in posizione nella carcassa, e le pieghe della lamiera a cui è unito mediante spine e punti di saldatura, e che ho evidenziato in rosso sull'immagine seguente.

 

 

E' invece visibile l'otturatore, e quindi non mi sono trattenuto dal ritrarlo un po' da tutti i lati.

 

Qui sotto ne vediamo la faccia, sulla quale risalta la forte unghia dell'estrattore, ed il suo lato sinistro, dove si distingue, in basso, il robusto spigolo destinato a tenere l'otturatore chiuso contro il blocchetto "nascosto" di cui si è già parlato, ed in alto il profilo inclinato destinato a sollevarsi, ed a liberare l'otturatore, sotto la spinta di un simile profilo realizzato su quello che potremo chiamare porta-otturatore.

 

 

Poi la faccia posteriore dell'otturatore, nella quale è evidente l'estremità del percussore, apparentemente libero di uscire dalla sua sede (vedremo tra breve perché non è affatto libero), ed il suo fianco destro, sul quale l'estrattore risalta ancora di più.

Subito dietro l'estrattore, una profonda unghiatura.

 

 

Nell'unghiatura trova posto il corpo del dispositivo di ritegno dello sportellino anti-polvere (un pistoncino spinto da una molla).

L'unghiatura non ha la funzione di ottimizzare gli spazi: dopo lo sparo, quando l'otturatore arretra, il corpo del dispositivo di ritegno è spinto in fuori dal pieno dell'otturatore, e lo sportellino, sotto l'azione della sua molla a spirale, è costretto ad aprirsi di scatto, liberando la finestra di espulsione dei bossoli.

Nelle foto che seguono, che ritraggono lo sportellino in posizione chiusa ed aperta, si può notare come lo sportellino sia incernierato alla base della mira posteriore, anch'essa realizzata in lamiera e rivettata (o, come altre volte, saldata) alla carcassa.

 

 

In quest'ultima foto ed in quella immediatamente successiva appare evidente una caratteristica dovuta allo sviluppo dell'arma, ed assente sulle produzioni più remote (ad esempio nelle armi MP 43).

 

 

Sotto l'estrattore è visibile una profonda gola di scarico, destinata a raccogliere i residui di lacca e metallo lasciati dai bossoli in acciaio, convogliati nella gola dalla forma particolare della parte inferiore dello stesso estrattore, che ricorda quella di un vomere.

La gola termina sulla faccia inferiore dell'otturatore.

 

 

Ecco il pistone, solidale con l'asta d'armamento, comandato dai gas spillati dalla canna, alla cui testa fanno seguito diversi anelli raschiatoi.

 

 

All'estremità opposta dell'asta di armamento c'è la manetta di armamento (immediatamente sotto di essa i piani inclinati che sollevano l'otturatore liberandolo dalla posizione di chiusura), ancora più indietro un elemento disassato rispetto all'asta, e della cui esistenza si sarebbe portati a chiedere ragione.

 

 

Tutto è chiaro quando si viene a conoscenza del fatto che il disegno dell'insieme deriva con minime modifiche dal progetto originale dell'arma, che prevedeva di iniziare il ciclo di fuoco ad otturatore aperto.

Quello che potremmo chiamare carrello porta-otturatore, in tale prima versione, somiglia molto di più a quello che appare nel riquadro in basso a destra della foto seguente.

 

 

Nell'arma, l'appendice verticale aveva lo scopo di dare appoggio alla molla di recupero, di spingere quindi l'otturatore nuovamente in batteria, ed infine, al termine del percorso, colpire il percussore e per mezzo di quello l'innesco di una nuova munizione.

Per iniziare il ciclo con l'otturatore chiuso è stato necessario aggiungere un cane al quale affidare il compito di colpire il percussore ad otturatore chiuso.

 

Un elemento a forcella aggiunto al precedente tipo di carrello porta-otturatore permette il passaggio del cane, e sposta posteriormente solo di pochi centimetri il punto sul quale spinge la molla di recupero.

 

 

Il cane, libero di ruotare, può colpire il percussore, anche se lo fa solo indirettamente, attraverso il pistoncino visibile in tutte e due le foto precedenti, e particolarmente evidente in quella di destra.

 

Qui sotto, la scansione di tre delle 16 pagine del manualetto di istruzione (largo poco più di 10 centimetri, ed alto 7) che accompagnava l'arma (in questo caso uno StG 44).

 

 

Una copia del manualetto viene oggi ristampata a cura della DWJ Verlags - GMBH, ovvero la casa editrice dell'autorevole rivista Deutsche Waffen Journal, in assoluto il costo è irrisorio, ma in assoluto anche il manuale lo è.

 

 

Inoltre, sia in versione originale, sia ristampato, ha il difetto di essere scritto in una lingua non facilmente accessibile, e per questo mi sono preso la libertà di tradurlo e metterlo a disposizione dei visitatori in lungua italiana.

 

 

Nonostante l'arma abbia dato sempre ottime prove in tutti i teatri operativi, nell'Aprile del 1945, "Tactical and Technical Trends" (bollettino dello U.S. Military Intelligence Service pubblicato dal Giugno 1942 fino al Giugno 1945, inizialmente con cadenza quindicinale, poi mensile) proponeva un articolo intitolato ironicamente "Hanno promosso la carabina automatica - La MP 43 adesso si chiama Fucile d'Assalto 44", intendendo sottolineare il valore eminentemente propagandistico del cambio di denominazione dell'arma da MP 44 a StG 44.

 

Dopo una lunga dissertazione in cui i tutti pregi dell'arma vengono sistematicamente descritti come difetti, in un improponibile e costante confronto con la pur incolpevole Carabina M1, il redattore dell'articolo conclude scrivendo:

 

"Tutto sommato, lo Sturmgewehr resta un'arma ingombrante e poco maneggevole, relativamente pesante e priva dell'equilibrio e dell'affidabilità della Carabina M1. Sembra che le considerazioni che hanno avuto maggior peso sul suo progetto siano di natura produttiva, invece che militare.

Sebbene sia lontana dall'essere un'arma soddisfacente, è evidente che le sfavorevoli condizioni militari in cui si trova la Germania rendano necessario il ricorso alla sua produzione di massa, invece di quella di una carabina automatica di modello soddisfacente."

 

Non conosco il nome dell'estensore di tanta lungimiranza, e non lo posso riportare, ma credo che anche l'ignoto profeta, alla luce dei successivi eventi, preferirebbe oggi mantenere l'anonimato.

 

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[1] Inutile dire che l'arma ha partecipato a buon parte dei conflitti locali che hanno caratterizzato il periodo della Guerra Fredda, facendo la sua comparsa nel Sud-Est Asiatico, nel Medio Oriente, in Africa e nel Sud America.

 

[2] Non è il caso qui di elencare le armi pensate attorno alla munzione 8x33, basti citare, oltre agli sviluppi paralleli e successivi della famiglia di armi qui esaminata, le versioni sperimentali del Gewehr 43, i "fucili del popolo" a ripetizione ordinaria, ed il semiautomatico VG 1-5 sviluppato dal gruppo di lavoro di Karl Barnetzke della Gustloff Werke di Suhl.

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Bibliografia

 

§ P. R. Senich - The German Assault Rifle 1935-1945 - Paladin Press, 1987