Webley & Scott Mark VI
Icona dell’Impero.
Scheda di Pat - arma fotografata della sua collezione privata.
Un revolver circondato dall’aura del “mito”, caratterizzato da una “linea di 
famiglia” inconfondibile. Un autentico simbolo dell’Impero Britannico. Quando 
venne adottato, rappresentò il culmine di un processo evolutivo incominciato 
molto, molto prima … 
La nostra storia inizia a Birmingham, un luogo molto noto a chi si occupa di 
armi, dal momento che fin dalla fine del XVIII secolo era uno dei principali 
centri di produzione del settore nel Regno Unito, se non il principale. Qui, nel 
1835 un giovane intraprendente e di belle speranze, un certo Phillip Webley, 
nato nel 1812, terminò il proprio apprendistato di sette anni presso l’officina 
dell’azzaliniere Benjamin Watson jr. e si unì al fratello James per costituire 
la ''Webley Brothers Percussioners, Gun Lock & C.” La neonata ditta si occupò 
inizialmente della produzione di attrezzature per fucili, ma a partire dal 1853 
si dedicò anche alla realizzazione di revolver. Si trattava di armi di buona 
qualità, che però inizialmente subirono la concorrenza dei molto più “rinomati” 
modelli d’oltreoceano. Tuttavia, in seguito alla chiusura della fabbrica Colt di 
Londra, avvenuta nel 1857, iniziarono a riscuotere un buon successo di vendite 
sia in Patria che all’estero. Sin dall’inizio, e per tutta la durata della loro 
produzione, i revolver Webley furono sempre apprezzati per la cura 
dell’esecuzione e l’affidabilità del funzionamento; nessuna critica venne mai 
mossa a questi due aspetti. Nel corso del decennio 1860-70 alla Webley vennero 
associati i due figli di Phillip, Henry e Thomas William e, dato che James era 
morto nel 1856, la ditta assunse il nome di “P. Webley & Sons”. Il 1887 fu un 
anno importante: oltre ad ampliarsi attraverso l’acquisizione di una valida 
azienda, la Tipping and Lawden, la Webley ottenne il primo di una lunga serie di 
contratti governativi per la fornitura di un revolver, in seguito noto come “Mk 
I Government model”, destinati a sostituire i deludenti Enfield in uso 
all’epoca. Phillip Webley morì nel 1888, riuscendo così a vedere una delle sue 
armi ufficialmente adottata dall’esercito britannico. Dieci anni dopo, nel 1897, 
la “P. Webley & Sons” si fuse con la Richard Ellis & Sons e acquistò la ditta dei 
fratelli William & Charles Scott & Sons, fondata nel 1832, che a partire dal 
1845 circa si era fatta una buona fama nel settore della produzione dei fucili 
di pregio. Nasceva così la “Webley and Scott Revolver and Arms Co. Ltd.” (che 
nel 1906 sintetizzò la propria denominazione in “Messrs Webley & Scott Ltd.”), 
destinata a produrre l’arma di cui ci occupiamo in questa scheda. 
Come abbiamo detto, il Mark VI fu il culmine di una lunga evoluzione. I primi 
revolver Webley furono ad avancarica, seguiti da altri con accensione a spillo o 
a percussione anulare. Nel 1867 venne immesso sul mercato il primo grande 
successo della casa: quel modello Royal Irish Constabulary (R.I.C.), a sei colpi 
calibro .450, con castello chiuso e doppia azione, destinato ad essere adottato, 
oltre che dalla polizia reale irlandese da cui prese il nome, anche dalla 
polizia coloniale in Sud Africa e in Australia e da diverse polizie locali in 
Inghilterra, per poi trovare una buona diffusione commerciale, sul mercato 
privato, in molti Paesi sui due lati dell’Atlantico. Furono prodotte anche 
alcune varianti in calibri minori.
Nel 1878 comparve il modello Army Express, che incorporava due novità (il 
calibro di ordinanza .450/.455 e una meccanica a cane rimbalzante con blocco del 
tamburo), ma – a dispetto del nome beneaugurale che gli era stato attribuito – 
non venne adottato dall’esercito britannico e fu acquistato solo dal Libero 
Stato dell’Orange, in Sudafrica. Il vero scatto evolutivo avvenne quasi dieci 
anni dopo. In questo arco di tempo furono introdotte due importanti innovazioni, 
una di tipo meccanico e l’altra di tipo concettuale, relativa al processo 
produttivo. La prima fu la realizzazione di un revolver a telaio articolato ed 
espulsione simultanea dei bossoli, caratterizzato da un formidabile sistema di 
chiusura, in grado di reggere tranquillamente le sollecitazioni imposte dalla 
cartuccia d’ordinanza. Spesso viene riferito che l’idea di questa chiusura non 
fosse un progetto originale della Webley, ma di un armaiolo meno noto, un certo 
Edwinson Green, che, a seguito di una battaglia legale, riuscì a farsene 
riconoscere la paternità, tanto che al nuovo revolver, in commercio dal 1882, 
venne dato il nome di “Webley-Green”. In seguito la casa di Birmingham avrebbe 
rilevato il brevetto ed eliminato il nome dell’ideatore dai successivi modelli 
militari. In realtà, le cose sarebbero andate diversamente: su nessun revolver 
appare inciso il nome “Green”; si trova invece nelle registrazioni commerciali, 
a partire dal 1883, e poi sui revolver dal 1889, una dicitura “WG”, che però va 
intesa non come le iniziali dei due cognomi, ma come “Webley Government”; tra i 
due produttori risultano esserci stati dei contrasti, ma nessuna causa legale 
vera e propria; infine, non è registrato alcun brevetto per una chiusura di 
questo tipo a nome Green, mentre la Webley ne aveva uno del marzo 1885. In ogni 
caso, indipendentemente da chi ne fosse stato l’ideatore, il nuovo sistema 
costituiva un notevole progresso. L’altra novità fu l’applicazione rigorosa del 
concetto di intercambiabilità delle parti, un’idea che aveva già affascinato 
Phillip Webley (che aveva potuto apprezzare i moderni concetti industriali di 
Colt), ma venne sviluppata dai suoi eredi. Non si trattava di produrre pezzi 
“simili”, ma proprio “identici”, che permettessero ai vari armaioli di reparto 
(cioè ad operatori in genere di livello medio-basso) di sostituire una parte 
danneggiata con una di ricambio nelle loro semplici officine sparse in ogni 
remoto angolo dell’Impero, senza bisogno di attrezzature o competenze elevate. A 
dirlo oggi sembra facile, ma nella seconda metà dell’Ottocento, quando le armi 
(e non solo) venivano prodotte realizzando pezzi poco più che sbozzati destinati 
ad un successivo aggiustaggio manuale da parte di una manodopera specializzata, 
non era un problema da poco. I nuovi titolari dell’azienda, Henry e Thomas 
William Webley, studiarono a lungo la questione, recandosi anche a visitare 
diverse fabbriche in patria e all’estero, e finirono per farsi costruire 
appositamente a Birmingham i macchinari di cui avevano bisogno. A febbraio del 
1887 i primi prototipi erano pronti per essere presentati alla valutazione 
governativa ed a giugno dello stesso anno giunse un primo ordine per la consegna 
di 10.000 pezzi, anche se l’approvazione ufficiale arrivò solo l’8 novembre 
successivo, quando l’arma fu adottata dal War Department come “pistol, Webley Mk 
I”. I modelli militari mantennero sempre la cartuccia .455 d’ordinanza (dapprima 
a polvere nera e poi, a partire dal 1894, caricata a cordite), ma vennero 
prodotti anche diversi revolver commerciali in altri calibri (.442 e .476).
Dopo la prima adozione del 1887, il governo britannico utilizzò i revolver 
Webley per oltre sessant’anni; la radiazione ufficiale risale al 1947, ma il 
loro impiego proseguì ben oltre questa data. È naturale che in questo arco di 
tempo sia stato sviluppato un gran numero di varianti: si arriva fino a Mark VI, 
ma se si considerano quelli con uno o due “asterischi” (ad es., Mk I*, Mk I**, 
ecc.) il totale è molto più alto, giungendo ad almeno una dozzina. L’arma di cui 
ci occupiamo è il revolver Webley Mark VI, adottato il 24 maggio del 1915 (una 
data che per noi ha altri significati…) e differisce dai precedenti per la forma 
squadrata del calcio e alcune lievi modifiche interne, volte a velocizzare la 
produzione (si era in piena guerra) senza influire minimamente 
sull’intercambiabilità delle parti.
Benché affiancato ai modelli precedenti (ed in particolare al MK IV ed al MK V, 
adottato appena a dicembre del 1913), rimasti ampiamente in uso, il Mk VI fu il 
revolver d’ordinanza britannico per tutta la Grande Guerra e venne distribuito a 
tutti coloro che avevano bisogno di un’arma corta: ufficiali, marinai, reparti 
d’assalto, aviatori, mitraglieri e carristi, dai quali fu ampiamente apprezzato 
(anche) per la sua capacità di non patire le durissime condizioni ambientali 
delle trincee. Tuttavia, la storia del suo impiego operativo non finì lì. 
Sostituito nel 1928 dall’Enfield in calibro .38/200 (sostanzialmente una 
spudorata copia del modello in calibro maggiore, tanto che la Webley citò in 
giudizio l’arsenale, ottenendo anche un risarcimento, sia pure parziale) tornò 
in uso nella seconda guerra mondiale, per contribuire ad alleviare la tragica 
carenza di armi corte dell’esercito britannico; soprattutto dopo Dunkerque si 
usò di tutto, e la vecchia ordinanza non fu certo fra i peggiori …
Anche dopo la fine della guerra questi revolver rimasero in servizio sia in Gran 
Bretagna che nei Paesi del Commonwealth. La loro sostituzione con la pistola 
semiautomatica FN Browning High Power (HP35) fu completata solo nel 1963, 
permettendo ai Webley di vedere anche la guerra di Corea e altri eventi bellici 
minori. Parecchi esemplari in .38/200 risultavano ancora in servizio presso 
varie forze di polizia nel 1970.
Negli anni ’20 vennero realizzate delle conversioni che permettevano di 
utilizzare questi revolver per sparare il .22 L.R. e altri calibri .22. In 
seguito, alcuni furono direttamente modificati nel calibro ridotto.
A questo punto, passiamo ad esaminare nel dettaglio l’arma fotografata per 
questa scheda. Il lato sinistro l’abbiamo visto in apertura, osserviamo quindi 
il destro:
 
Già da questa prima visione di insieme si apprezzano la linea inconfondibile, la 
meccanica in doppia azione e la sicura “a cane rimbalzante” (riconoscibili, 
rispettivamente, dalla posizione a riposo del grilletto e del cane stesso). 
La vista dall’alto evidenzia invece altre caratteristiche:
 
si notano in particolare il profilo delle alette laterali, comparse per la prima 
volta sul Webley Mark III, che facilitano l’inserimento in fondina (un assurdità 
economica, considerando che venivano macchinate dal pieno durante la 
realizzazione del pezzo e che solo a partire dal modello in calibro .38/200 
saranno realizzate a parte e successivamente fissate all’arma) e la lunga linea 
di mira, forse esagerata per un’arma militare, ma in grado di dare ottimi 
risultati al tiro. Il Mk VI era dotato di una canna dalla sezione 
approssimativamente esagonale e di lunghezza fissa, pari a 6 pollici (come 
quella dell’arma raffigurata). In precedenza, si trovavano molte varianti; il 
Mark V ad esempio era prodotto con canne da 3, 4, 5 e 6 pollici, a scelta; ciò 
era dovuto al fatto che gli ufficiali, dovendo provvedere autonomamente al 
proprio equipaggiamento, acquistandolo con fondi personali, avevano il diritto 
di scegliere la variante che preferivano. Il Mark VI fu invece acquistato dal 
governo, che optò per un’unica lunghezza di canna. Ciò non significa però che 
sia impossibile trovare un revolver di questo tipo con una canna di misura 
differente. Anzi, proprio grazie alla caratteristica dell’intercambiabilità 
delle parti dei revolver di servizio realizzati dalla Webley, risultano prodotte 
molte diverse combinazioni di castelli e lunghezze di canna. Questa pratica 
venne attuata in modo particolare negli anni della guerra, dal 1914 al 1918, 
quando lo scopo primario dello sforzo bellico era quello di fornire un’elevata 
quantità di armi ai combattenti e quindi si fece ampio uso di vecchie parti 
giacenti in magazzino (per cui non è così raro, ad esempio, trovare dei revolver 
formati da un castello Mark I con una canna Mark VI, un tamburo Mark V e un cane 
Mark II, perfettamente funzionanti e già usciti così dalla fabbrica di 
produzione).
Gli organi di mira sono il mirino, del tipo a lama e avvitato alla canna (mentre 
fino al Mark V era stato fuso con questa in un sol pezzo) e la tacca di mira, 
realizzata per fresatura sul margine superiore della leva di sblocco del telaio:
Questo meccanismo di chiusura, oltre ad essere quasi certamente il più robusto 
mai realizzato per i revolver basculanti, ha la caratteristica (molto apprezzata 
all’epoca) di non poter essere attivato inavvertitamente, ad esempio 
introducendo l’arma in fondina. A completare i sistemi di sicurezza, il revolver 
non può fare fuoco se il telaio non è completamente chiuso.
È un’arma britannica. Quindi, non deve affatto stupire che sia coperta di marchi 
e punzoni di ogni tipo …
Vediamoli un po’ più nel dettaglio: l’anno di produzione e il modello sono 
chiaramente riportati sulle due parti principali dell’incastellatura dell’arma:
sul top strap (il prolungamento della canna sopra il tamburo) si trovano, da 
sinistra a destra: l’anno di produzione (’17), il proof mark che indica la prova 
a fuoco, costituito dalla corona di Re Giorgio (G.R.) (1911-1936) sopra i 
pennoni incrociati e la lettera P, una broad arrow di accettazione militare, il 
punzone di ispezione di Birmingham (corona - lettera B - numero dell’ispettore, 
in questo caso 8), e infine, un po’ più indietro, il modello (MARK VI). Sul 
telaio invece, nella zona fra il tamburo e l’inserzione anteriore del ponte del 
grilletto, è visibile un punzone (ribattuto due volte, evidentemente per una 
lavorazione war finish che sarebbe stata considerata inaccettabile in tempo di 
pace) con il nome del produttore, il modello, l’indicazione dei brevetti e 
l’anno di produzione, su quattro righe, in modo da formare un ovale (WEBLEY - 
MARK VI - PATENTS – 1917).
Broad arrows e marchi di ispezione di Birmingham si trovano praticamente 
ovunque (cliccare sulle immagini che seguono per ingrandirle):
Un discorso a parte merita il tamburo: tutte le sei camere sono state punzonate 
(e quindi collaudate) singolarmente; poi, nel timore che qualcuno potesse avere 
dei dubbi, un punzone è stato apposto sulla faccia rivolta verso il tiratore…
Il “congedo” dell’arma, cioè la sua dismissione da parte dell’amministrazione 
militare, è attestato da un’altra serie di punzoni. Sul lato sinistro, sia sul 
supporto della canna, davanti alla cerniera di apertura, che sul telaio, in 
corrispondenza dell’inserzione posteriore del ponte del grilletto, si trova il 
Sale Mark, cioè il punzone (costituito da due broad arrow che si affrontano) che 
indica la destinazione alla vendita sul mercato civile …
… mentre sul lato destro, sempre sul supporto della canna, si trovano il Nitro 
proof del “braccio con la sciabola”, in uso dal 1904, che indica la prova 
definitiva presso il banco di Londra, e il punzone London Proof, espresso come 
LP/89. L’89 indica l’anno; questo punzone è in uso dal 1987. 
Infine, ci sono le matricole. Sono impresse in tre punti diversi, uno per ognuna 
delle parti principali dell’arma: sulla canna,
sul castello,
e sul tamburo.
Non esistono dati certi sulla matricolazione dei revolver Webley Mark VI e, se è 
per questo, neppure sulla loro produzione. Le informazioni disponibili sono 
frammentarie, discontinue e in parte mancanti. È abbastanza certo che la 
fabbricazione iniziò nel 1915 con numeri di matricola intorno al 153000. 
L’ordine iniziale prevedeva un contratto aperto per la fornitura di circa 2.500 
pezzi alla settimana, ma già in precedenza erano stati acquistati alcuni 
revolver dalla produzione commerciale. Alla fine della guerra, nel 1918, si era 
oltre il 430000. Durante il conflitto, nei due stabilimenti della Webley, a 
Birmingham e Stourbridge, furono realizzati 300-330.000 revolver (che non furono 
ritenuti sufficienti, per cui le forze armate di Sua Maestà acquistarono anche, 
nello stesso periodo, revolver Colt e Smith e Wesson, pistole Colt e revolver 
spagnoli Orbea Hermanos uguali alla nostra “Tettoni”, il tutto in calibro .455 e 
.45 ACP). Dopo la fine del conflitto la produzione continuò, solo presso la 
fabbrica di Birmingham, fino al 1928, quando le forniture terminarono in seguito 
all’adozione dell’Enfield in .38/200. Oltre che dalla Webley, il Mark VI fu 
costruito anche dal Royal Small Arms Factory (RSAF) di Enfield, l’arsenale 
governativo che, guardacaso, avrebbe poi presentato il nuovo modello. Per questa 
produzione, avvenuta fra il 1921 e il 1926, vengono accreditati, a seconda delle 
fonti (che non concordano assolutamente), numeri pari a 9.000, 15-16.000 o 
27.600 pezzi complessivi. Qualcuno parla anche di una produzione Webley & Scott 
durante la seconda guerra mondiale, ma probabilmente si trattò solo di una 
revisione di un certo numero di pezzi e non di una nuova fabbricazione.
Lo studio dei dati matricolari/produttivi di questi revolver, oltre che 
dall’incompletezza dei dati disponibili, è ostacolato anche dal fatto che, 
apparentemente, i numeri vennero applicati con estrema irregolarità. Come 
abbiamo visto più sopra, sul lato sinistro del castello dei MARK VI, e anche su 
quello dei Mark V realizzati nel 1914 e 1915, veniva impresso l’anno di 
produzione (che può essere considerato un dato certo e affidabile). Sono stati 
quindi rilevati il più basso e il più alto numero di matricola riscontrati sui 
revolver di ogni singolo anno: il risultato evidenzia una notevole 
sovrapposizione dei blocchi numerici, come si può apprezzare in questa tabella:
 
 
| Anno impresso sul castello | Più basso numero di matricola riscontrato | Più alto numero di matricola riscontrato | 
| 1915 | 153000 | 228393 | 
| 1916 | 185436 | 411854 | 
| 1917 | 231978 | 399242 | 
| 1918 | 260657 | 429050 | 
Una delle caratteristiche distintive del Mark VI, che lo differenzia da tutti i 
modelli precedenti, è la linea del calcio. Fino al Mark V questo era infatti del 
tipo “a becco d’uccello”, ritenuto più elegante, ma sicuramente meno adatto 
all’impiego pratico. Nell’ultima versione del revolver Webley, invece, il 
profilo è squadrato.
Le guancette non sono in legno, come nella maggior parte dei revolver del tempo, 
ma in vulcanite, un materiale ottenuto riscaldando ad alta pressione in uno 
stampo metallico una miscela di gomma indiana e zolfo secondo una metodica 
brevettata da un certo Charles Cowper nel 1853. Dopo la fine della Grande 
Guerra, la scuola di tiro di Bisley richiese la realizzazione di guancette di 
dimensioni differenti, che si potessero adattare più facilmente alle mani dei 
tiratori. Questi nuovi modelli vennero adottati nel 1919 e a partire dal 1921 
furono contrassegnati con una lettera, corrispondente alla taglia: S, M e L (small, 
medium e large). In quegli anni la Webley aveva già cessato la produzione, che 
era stata spostata al RSAF di Enfield. Le guancette così marcate si dovrebbero 
quindi trovare solo sui revolver prodotti da questo arsenale; tuttavia, si 
possono riscontrare anche in esemplari fabbricati dalla Webley, perché furono 
utilizzate anche come pezzi di ricambio per armi danneggiate.
Come è noto, il Mark VI, come i modelli precedenti, è un revolver ad apertura 
basculante. Il meccanismo fa sì che al culmine dell’escursione l’estrattore a 
stella, fuoriuscendo dal tamburo, determini l’espulsione dei bossoli esplosi, 
facilitando notevolmente il ricaricamento dell’arma. 
In questa condizione, il revolver mostra un’altra caratteristica interessante:
lo scudo di culatta è costituito da un pezzo a sé stante, in acciaio temprato e 
tenuto in sede da una vite. Già nel primo modello Mark I a polvere nera (1887) 
si era notato che il foro per il passaggio del percussore tendeva facilmente ad 
erodersi. La realizzazione separata dello scudo (introdotta quasi subito, dando 
origine al revolver Webley Mark I*) avrebbe permesso anche ai semplici armaioli 
di reparto di ripristinare immediatamente la funzionalità di un’arma danneggiata 
col il semplice montaggio di un ricambio.
Sempre ad arma aperta, si apprezzano le imponenti camerature del tamburo:
La grossa cartuccia .455 Webley, adottata ufficialmente nella versione a polvere 
nera nel 1891 (ma già utilizzata in precedenza) e in quella a cordite nel 1894, 
venne messa a punto per soddisfare le richieste dei reparti coloniali, che 
avevano estremo bisogno di “qualcosa” capace di fermare con un solo colpo 
l’assalto di un nativo esaltato. Se questa vi sembra una storia già sentita, 
magari in odore di Filippine, tenete presente che la munizione di ordinanza 
britannica fu una di quelle maggiormente studiate e tenute in considerazione 
nelle ricerche che portarono alla nascita del .45 ACP …
Per la Webley venne anche sviluppata una serie di accessori. Il sistema di 
espulsione contemporanea dei bossoli esplosi permetteva di scaricare quasi 
istantaneamente l’arma, semplicemente aprendola. Ma per ricaricarla era 
necessario introdurre uno alla volta i nuovi proiettili nelle camere. Proprio 
per ovviare a questo problema vennero studiati dei dispositivi, realizzati in 
lamierino stampato, che, svolgendo una funzione analoga a quella dei moderni 
speedloader, permettevano di caricare sei colpi con un unico, rapido gesto. Il 
primo di questi sistemi venne brevettato nel 1893 da William de Courty Prideaux, 
mentre nel 1896 il maggiore Arthur John Watson ne brevettò un secondo. Nel 1914 
Prideaux brevettò un altro dispositivo con lo stesso scopo. Anche se tutti e tre 
i modelli furono apprezzati e usati, solo il terzo venne ufficialmente approvato 
e adottato nel settembre del 1918, a guerra praticamente finita.
L’arma corta è per sua natura destinata al combattimento ravvicinato. Ovvio che 
nel tempo qualcuno abbia pensato a come aumentarne il più possibile la letalità. 
Limitandosi alle sole Webley, già nel 1897 Richard Gordon-Smith aveva proposto 
di applicare alla base del calcio dei revolver Mark II un’acuminata punta 
metallica. Nelle trincee della Grande Guerra, gli scontri finivano spesso per 
trasformarsi in un furioso corpo a corpo. I combattenti di ogni esercito usarono 
di tutto: baionette e pugnali, certo, ma anche vanghette, picozzini, attrezzi 
vari, mazze e semplici clave più o meno chiodate, in un ritorno a un medioevo 
circondato di mitragliatrici. Proprio per questo, nel 1916 il Tenente Arthur 
Pritchard del 3rd Royal Berkshire Regiment progettò una baionetta da fissare 
sotto la canna del revolver d’ordinanza, tutelando la propria idea (non del 
tutto nuova, a dire il vero) con due brevetti, il numero 17143 del 29 novembre 
1916 e il numero 111526 del 1917. 

Allo scopo, venne utilizzata la parte terminale della lama della baionetta del 
fucile francese Gras, montata su una robusta impugnatura in ottone che si 
inseriva sulla canna e sulle alette situate davanti al tamburo. Era previsto 
anche un fodero. L’uso del revolver e le operazioni di caricamento/scaricamento 
non venivano ostacolate in alcun modo. Robusta ed efficace, con una lama lunga 
una ventina di centimetri, la baionetta venne apprezzata da coloro che la 
dovevano utilizzare, ma non fu mai adottata ufficialmente. Venne prodotta con 
livelli di lavorazione eccellenti dalla W. W. Greener di Birmingham, ma la 
tiratura complessiva non superò i circa duecento esemplari (acquistati 
privatamente), il che ne fa oggi un pezzo molto raro.
Un’altra soluzione utilizzata sulla base di iniziative personali, ma mai 
adottata ufficialmente, fu l’applicazione al revolver Mark VI del calciolo in 
legno della pistola da segnalazione Webley & Scott N. 1 Mk I, che si adattava 
perfettamente all’impugnatura sostituendolo alle guancette. In questa foto, 
trovata in rete tempo fa, è possibile vedere, insieme, baionetta e calciolo 
sullo stesso revolver. Una combinazione che, nell’uso reale, si deve essere 
verificata ben poche volte …

Infine, le fondine. Quella in uso nella prima guerra mondiale era in cuoio ben 
lavorato, da fissare al cinturone Sam Browne con un unico passante molto 
inclinato. Di solito sono presenti il marchio del produttore e l’anno di 
fabbricazione. In quelle realizzate dopo il 1915 (perché prima venivano 
acquistate privatamente) si trovano anche, in genere all’interno della patta, la 
broad arrow di presa in carico da parte dell’amministrazione e, spesso, un 
numero che indica l’unità di appartenenza. 
Nel secondo conflitto, invece, per i Mark VI richiamati in servizio fu 
realizzata una fondina in tela uguale a quella del modello Pattern 37, solo più 
grande:
Non sono riuscito a trovare un esploso del Mark VI.
Questo è di un Enfield in .38/200, 
sostanzialmente identico.
Qualche numero:
| Calibro: | .455 Webley | 
| Numero di colpi: | 6 | 
| Lunghezza canna: | 153 mm (7 righe destrorse) | 
| Lunghezza complessiva: | 290 mm | 
| Peso scarica: | 1062 g | 
Abbiamo iniziato parlando dei revolver Webley come di un’icona dell’impero. 
Finiamo con uno “splendido anacronismo” che illustra bene questo concetto… Dopo 
la bibliografia, un’immagine tratta dal film “Zulu” del 1964, che narra gli 
eventi della
battaglia di Rorke’s Drift. Il luogotenente Bromhead (Michael Caine) impugna un Webley Mark VI (perché la 
produzione non aveva trovato modelli coevi ai fatti) nel 1879, ma la potenza 
evocativa dell’immagine è inalterata.
 
Bibliografia:
Libri:
Gordon Bruce and Christian Reinhart (Revised from William Chipchase Dowell's The 
Webley Story) - Webley Revolvers - Verlag Stocker-Schmid AG, Dietikon-Zurich, 
1988
Robert Maze – The Webley Service Revolver – Osprey Publishing Ltd., Oxford, 2012
Loriano Franceschini – Al servizio di Sua Maestà – Un secolo di revolver 
militari britannici – 1854-1957 – Ermanno Albertelli Editore, Parma, 2011, pag. 
132-154
Edward Ezell – Armi leggere di tutto il mondo – Ermanno Albertelli Editore, 
Parma, 1997
Articoli: 
Sergio Lorvik; Webley & Scott Mk IV Target .22; Armi Magazine; 2001; 09; 118
Roberto Allara; Al Servizio di Sua Maesta' Britannica; Armi e Munizioni; 2010; 
08; 176
Loriano Franceschini; Webley & Scott Mark IV cal. .455; Armi Magazine; 2002; 04; 
86
Livio Pierallini; Hms MkV: Per un Impero; Diana Armi - Classica; 2006; Suppl. 
12; 8
Pierangelo Tendas; Matteo Brogi; Al Servizio di Sua Maesta'; Diana Armi; 2007; 
12; 112
Marco Dell'acqua; Webley & Scott Mk VI cal. 455; Diana Armi; 2012; 02; 82
Andrea Turchi; Calibro .455 Webley al servizio dell'Impero; TAC Armi; 2005; 09; 
82
 
Siti Internet: 
http://www.imfdb.org/wiki/Zulu_(1964) 
