
La “Tipo 
Ruby”
Scheda di
Pat - 
arma fotografata e 
pubblicata con autorizzazione.
Una su 
un milione.
I 
numeri non sono esattamente quelli, ma il concetto è lo stesso: la pistola di 
cui parleremo in questa scheda, e che NON è quella della foto qui sopra, è un 
esemplare assolutamente unico (per più di un motivo, come vedremo) su una 
produzione sterminata. Ma manteniamo un po’ di
suspense, e cominciamo dall’inizio …
Come 
abbiamo già ricordato altre volte, la Grande Guerra fu un tipo di conflitto del 
tutto nuovo da molti punti di vista. Uno di questi fu la sua capacità di 
divorare come una fornace una quantità spropositata non solo di uomini, ma anche 
di mezzi e materiali, armi comprese. Il conflitto iniziò negli ultimi giorni del 
luglio 1914 e già alla fine dello stesso anno le nazioni coinvolte erano in 
forte difficoltà. Soprattutto la Francia, che pativa una grave carenza di 
pistole. L’unica fabbrica d’armi rimasta sul suo territorio, la
Manufacture d’Armes de Saint Etienne, 
era totalmente impegnata nella realizzazione dei fucili e non poteva destinare 
alcuna risorsa a quella del
revolver 
d’ordinanza modello 1892 in calibro 8 Lebel, che oltretutto risultava molto 
lungo, complesso e costoso da produrre. Inizialmente venne effettuato un 
tentativo di acquistare armi da Colt e Smith & Wesson, ma la soluzione risultò 
impraticabile sia per il prezzo dei loro revolver che per i costi e i tempi che 
gravavano sul trasporto da oltre oceano. Tradizionalmente, il fornitore di 
questo tipo di armamenti era il Belgio, che però al momento si trovava sotto 
occupazione tedesca. Occorreva trovare un’altra fonte di approvvigioramento. 
Questa venne individuata nella Spagna, una nazione confinante con il vantaggio 
di essere neutrale.
Nel 
Nord-est della penisola iberica esisteva ed esiste una zona che era storicamente 
dedita ad attività manifatturiere legate alla lavorazione del metallo, ed in 
particolare alla realizzazione di armi. Nel mondo sono molte le aree così, dove 
sin dall’antichità la presenza di foreste (cioè, combustibile), acqua e miniere 
ha favorito lo sviluppo della metallurgia. In Italia, è facile pensare al 
territorio di Gardone. In questa regione dei paesi baschi operava una miriade di 
piccole aziende, spesso a conduzione famigliare o con un numero di operai 
estremamente limitato (di norma inferiore a dieci, spesso solo due o tre) che in 
aperta violazione di qualsiasi brevetto produceva copie a basso costo (e di 
mediocre o scadente qualità) di famose armi americane ed europee, spesso 
coprendole di nomi e scritte in inglese, tedesco o francese nel tentativo di 
conferire loro, agli occhi di una clientela “ingenua” e a volte quasi 
analfabeta, una patente di nobiltà che non avevano. Fu una di queste ditte, la 
Gabilondo y Urresti, che all’inizio del 1915 stipulò con la Francia un contratto 
per la fornitura di una pistola semiautomatica di propria produzione, la modello 
“Ruby”, in calibro 7,65 Browning (7,65 Br. o .32 ACP, che all’epoca era una 
munizione relativamente “nuova”, ma già molto diffusa e apprezzata in Europa), 
basata su una versione semplificata della F.N. Browning 1903 e 1906. La qualità 
era quella che era e il progetto era estremamente semplice (a tutto vantaggio 
però della rapidità di realizzazione e del contenimento dei costi), ma la 
funzionalità e l’efficienza erano un'altra cosa e risultarono più che 
accettabili. I 10.000 pezzi al mese che secondo l’accordo iniziale avrebbero 
dovuto essere consegnati a partire dal maggio del 1915 divennero così 30.000 in 
agosto e 50.000 alla fine dell’anno. E il numero era destinato ad aumentare in 
modo esponenziale. 
A 
questo punto, per la Gabilondo si poneva un problema: per le sue potenzialità 
(pare che fosse una ditta con cinque operai…) già 10.000 pistole erano un 
traguardo impossibile; figuriamoci 50.000. Il problema venne risolto stipulando 
una serie di contratti con altre fabbriche, che avrebbero dovuto assicurare la 
fornitura di un certo numero di pezzi (5000 al mese), pagando una penale per 
ogni pistola in meno e ricevendo un premio per ogni pistola in più, che sarebbe 
stata comunque ritirata. Inizialmente le aziende contattate furono quattro (la 
Armeria Elgoibaressa y Cia, la Echealaza y Vincinai y Cia, la Hijos de Angel 
Echeverria y Cia e la Iraola Salaverria y Cia), ma ben presto a queste se ne 
aggiunse una miriade di altre, che operavano in regime di sub-appalto, 
sub-sub-appalto e così via, a volte realizzando solo alcune parti e non armi 
complete. Altre fabbriche stipularono contratti diretti con la Francia. Inoltre, 
a quest’ultima si aggiunsero ben presto molti altri Paesi belligeranti (prima 
fra tutti l’Italia, che al termine del conflitto risulterà al secondo posto per 
numero di pistole acquistate, con circa 230.000 pezzi contro il milione circa 
dei francesi e seguita a distanza da Gran Bretagna e Romania, che ne ordineranno 
alcune decine di migliaia). Ciò portò ad un numero tuttora sconosciuto, ma 
comunque altissimo, di ditte coinvolte, che marcavano le proprie armi nei modi 
più diversi, come si può vedere in questa tabella, e a volte non li marcavano affatto.
Le armi 
di questa tipologia sono quindi tantissime, molto simili, ma non uguali fra 
loro. Per questo vengono collettivamente indicate come “Tipo Ruby”, utilizzando 
il nome di quella sviluppata dalla Gabilondo y Urresti nel 1914 e offerta alla 
Francia come oggetto del primo contratto. Gli spagnoli le chiamano invece 
genericamente “Eibarresas”, cioè “Tipo Eibar”, la città capofila del territorio.
In 
Italia, la situazione risultò ancora diversa. A parte gli esemplari acquistati 
privatamente da ufficiali e soldati, i modelli principali forniti dalla Spagna 
al nostro Paese furono due, entrambi comunemente indicati come Ruby, ma in 
realtà differenti. La “Ruby” propriamente detta era un’arma un po’ più grande, 
con l’impugnatura più lunga e in grado di contenere un caricatore da 9 colpi, ma 
esisteva anche una “Victoria”, più piccola e capace di 7 colpi. Queste ultime si 
trovano nel nostro Paese in numero molto più elevato delle altre. Probabilmente 
ciò è dovuto al fatto che durante il conflitto le pistole a 9 colpi vennero 
consegnate principalmente alla Francia (il cliente più importante) mentre a noi 
rimasero quelle a 7, meno richieste oltralpe. Va detto però che le vie seguite 
da queste armi spagnole per arrivare sul nostro suolo furono molteplici. Oltre a 
quelle acquistate privatamente dai militari ed a quelle acquisite dal Regio 
Esercito, vanno considerate quelle vendute ai civili prima e dopo la guerra (la 
produzione iniziò intorno al 1911 e continuò fino alla seconda metà degli anni 
Trenta), quelle fornite dall’alleato francese (spesso riconoscibili per la 
presenza del relativo marchio di accettazione, rappresentato da due stelle a 
cinque punte alla base dell’impugnatura, vicino all’ingresso del caricatore) e 
quelle che, anni dopo, seguirono sulla via del ritorno i reduci della guerra di 
Spagna. Se non recano punzoni di accettazione di sorta, in mancanza di una 
documentazione specifica è di solito impossibile stabilire se queste armi 
abbiano avuto un ruolo militare e/o bellico oppure no. L’adozione da parte del 
Regio Esercito è invece certa se si riscontrano impresse le lettere RP o TM in 
un ovale. Questo argomento è stato trattato approfonditamente in un articolo 
pubblicato su Armi e Tiro del 2015 (riportato in bibliografia) e non ne 
parleremo oltre in questa sede. 
Però… 
come abbiamo detto all’inizio, questa scheda è dedicata ad un’arma con 
caratteristiche esclusive (anche se è servita da spunto per parlare di quella 
che è comunque un’exordinanza) e finora abbiamo invece preso in considerazione 
la produzione ordinaria.
Passiamo quindi a esaminare la nostra “una su un milione” e i motivi che la 
rendono un pezzo assolutamente unico. Per una volta, cominciamo dall’interno e 
non dalla “figura intera”, in modo da rimandare ancora di qualche riga la 
sopresa …
Sulla 
canna, in corrispondenza della parte visibile attraverso la finestra 
d’espulsione, si trova un marchio costituito dalla scritta “Hope” seguita dalle 
lettere PG e da una corona. 
Questi 
tre elementi non vanno considerati separatamente, perché costituiscono un 
marchio unico che è stato utilizzato fino al 1927 circa. Tuttavia, come abbiamo 
ricordato più sopra, le ditte spagnole tendevano ad utilizzare termini inglesi 
per “nobilitarsi” agli occhi dei possibili acquirenti; e “Hope” in inglese 
significa “speranza”, che in spagnolo si traduce “Esperanza”. E la “Esperanza y 
Unceta” era proprio il nome della ditta che ha realizzato la pistola di cui ci 
occupiamo. Questa azienda nacque nel 1908 con la ragione sociale di “P. Unceta y 
J. Esperanza” allo scopo di vendere macchine e accessori di ogni genere di 
origine statunitense ed europea (in sostanza, una grossa ferramenta); il solo 
Unceta si occupava anche del commercio (ma non della fabbricazione) di armi, 
mentre Esperanza aveva un’officina meccanica. Solo nel 1911 i due soci iniziano 
a registrare a proprio nome alcuni brevetti  
relativi alle armi e nel 1913 la ditta si trasferisce a Guernica, dove 
avvia la produzione della pistola Campo Giro, appena adottata ufficialmente 
dall’esercito spagnolo. Già dal 1911, però, avevano brevettato e 
commercializzavano le pistole Victoria in calibro 7,65 mm e 6,35 mm. La 
conferma, se ce ne fosse bisogno, dell’identificazione del produttore si trova 
sul caricatore, dove sono chiaramente impresse le iniziali “E.U.” in un ovale. 
Queste 
sono le uniche indicazioni relative al produttore che si trovano sulla pistola; 
le scritte che si possono leggere normalmente sulla faccia sinistra del carrello 
di queste armi sono in questo caso ben diverse, come si può vedere nell’immagine 
qui sotto, che rivela per la prima volta il nostro esemplare “a figura intera”:
Nessuna 
dicitura in spagnolo; questa, ammesso che sia mai esistita, è stata cancellata e 
sostituita da un’indicazione in italiano piuttosto anonima. E questa è la prima 
delle particolarità che rendono il pezzo eccezionale. Un’altra, è ovviamente, il 
fatto che si tratta di un’arma in versione “lusso”, dorata ed incisa, con le 
guancette in avorio. A quanto se ne sa, è l’unica al mondo con queste 
caratteristiche. 
La 
pistola è priva di matricola, il che è normale visto che è antecedente al 1920 
(un dato che, come vedremo, può essere dimostrato con assoluta certezza). Le 
uniche altre scritte sono le indicazioni “safe” e “fire” relative alle posizioni 
della leva della sicura (in inglese, per i motivi già ricordati):
Sul 
lato destro, a parte il marchio sulla canna che si legge attraverso la finestra 
d’espulsione, non è visibile alcuna scritta: 
Tutta 
la superficie è coperta dal lavoro di incisione e doratura; vediamo ad esempio 
la faccia posteriore del carrello…
l’impugnatura, fra le due guancette…
e la parte superiore del carrello vicina alla finestra di espulsione:
Ma il 
meglio viene adesso! Sulla superficie dorsale del carrello, subito dietro al 
mirino, si trova lo stemma di Casa Savoia: 
E 
subito dietro ad esso, l’ultima caratteristica che rende assolutamente unica 
questa pistola: 
Già! 
Si tratta proprio di “quel” Filippo Tettoni, che probabilmente non ebbe mai una 
vera e propria fabbrica di armi, ma che fu uno dei principali importatori di 
armi spagnole per il Regio Esercito ed è noto per i revolver Modello 1916 che 
marcava con il suo nome, tanto da far sì che oggi siano noti come “la Tettoni” e 
di cui abbiamo parlato in questa scheda. 
Evidentemente, pur non marcandole abitualmente (ne 
era infatti nota solo una con 
questa caratteristica), deve aver importato un numero considerevole di queste 
semiautomatiche, tanto da fargli ritenere giustificata la realizzazione e il 
dono di questo esemplare. Che è conservato a Torino, nelle sale dell’Armeria 
Reale (più esattamente: Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del 
Turismo- Musei Reali di Torino, Armeria Reale), 
che qui ringrazio sentitamente per la collaborazione. La pistola venne infatti 
fatta realizzare da Filippo Tettoni, probabilmente a partire da una delle tante 
da lui importate, e donata “A S. M. Vittorio Emanuele III Re d’Italia”, 
che la ricevette all’inizio del 1919 (circa 3-4 mesi dopo la fine della guerra) 
e la fece trasmettere all’Armeria
con questa lettera 
del Ministero della Real Casa il 3 marzo dello stesso anno (Musei Reali di 
Torino, Armeria Reale, Archivio storico, fascicolo 460). A Torino, l’arma venne iscritta nei registri 
dell’epoca inserendola nella “Serie 
R. Oggetti mandatici da S.M. il Re Vittorio Emanuele III”, accompagnata da 
questa descrizione: 
R. 51 Pisola 
automatica, calibro 7, impugnatura avorio, canna e montatura placcati in oro a 
fiori, foglie e filettini, arma reale presso il mirino, scritta: F. Tettoni 
Fabbrica d'armi Brescia. Custodia con esterno foderato pelle nera, corona 
dorata; interno foderata seta verde, ed internamente sul coperchio fra i colori 
nazionali e la scritta A. S. M. Vittorio Emanuele III Re d'Italia offre l'umile 
Devoto Suddito Filippo Tettoni Brescia. Minis. 3 Marzo 1919 N. 1881
Per il 
resto, la pistola è uguale a tutte le Victoria “normali”. Dopo aver tolto il 
caricatore ed essersi assicurati che non vi siano colpi in canna, lo smontaggio 
inizia bloccando il carrello in posizione arretrata facendo agganciare 
l’apposito intaglio nel dente della leva della sicura:
Utilizzando come punti di presa per le dita gli intagli praticati a livello dell’estremità 
anteriore della canna, quest’ultima viene fatta ruotare in senso orario fino a 
che non è possibile estrarla esercitando su di essa una trazione in avanti. 
Quindi si sfila tutto il resto. Lo smontaggio da campo termina così:
Si possono apprezzare i risalti sotto la canna che, secondo il progetto originale 
di Browning, una volta ruotati si inseriscono in altrettante scanalature 
praticate nell’incastellatura assicurando la chiusura dell’intero sistema.
| 
		Calibro: | 
		7,65 mm Browning 
		(.32 ACP) | 
| 
		Numero di colpi: | 
		7 | 
| 
		Lunghezza canna: | 
		82 mm | 
| 
		Lunghezza 
		complessiva: | 
		148 mm | 
| 
		Peso scarica: | 
		620 g | 
| 
		Desidero rivolgere ancora una volta espressamente i miei ringraziamenti 
		al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo- Musei 
		Reali di Torino, Armeria Reale per la collaborazione offerta: non 
		solo perché la disponibilità è stata superiore a ogni aspettativa, ma 
		anche perché la cordialità e la simpatia con cui hanno accolto le mie 
		richieste sono state eccezionali. | 
Bibliografia: 
Articoli:
Juan L. Calvò; Esperanza y Unceta; Diana Armi; 1990; 01; 40
Luciano Salvatici; Una “Tettoni” automatica; Diana Armi; 1993;11; 48
Loriano Franceschini; Pistole spagnole per l’intesa 1915-18; Armi Magazine; 2003; 11; 126
Marco Garavaglia, Ruggero Pettinelli; Arriba 
Espaňa; Armi e Tiro; 2015; 06; 116
Libri:
Gene Gangarosa jr.; 
Spanish Handguns; Stoeger 
Publishing Company, Accokeek, Maryland, 2001, Chapter 2 - pp 25-35 e Appendix I 
pp 243-255
 
Siti 
Internet:
http://9mmlargo.com/proofs/proofs.htm