Al servizio di Sua Maestà Nicola II:

i Mosin-Nagant 1891 ”made in USA”

 

Scheda di Pikappa, armi fotografate dalla sua collezione.

 

Voler ancora una volta parlare del Mosin-Nagant su questo sito, dove già tale famiglia di fucili è stata presentata autorevolmente non risparmiando alcune rare varianti, mi fa sentire un piccolo rigattiere presuntuoso, che si accinge a spacciare della banale paccottiglia paragonandola nella presentazione a ben più nobili esemplari del genere.

Eppure, il piccolo rigattiere ha il coraggio di obiettare che poche altre armi oltre al venerabile fucilone dell’armata zarista possono vantare una vita di servizio così lunga da spingersi fino ai nostri giorni, in tutti o quasi gli angoli del globo, e con un profluvio di modiche e particolarità ognuna legata a eventi dal fascino storico incontestabile.

Senza dunque pretendere di rivelare nuove scoperte e varianti inaudite, ritengo che un piccolo tassello della storia di questi fucili possa ancora trovare spazio, e, magari, suscitare l’interesse che qualcosa di meno conosciuto stimola sempre negli appassionati.

 

Fin dal suo scoppio, il primo conflitto mondiale dovette far apparire al pensiero militare e politico più accorto che quanto a tattiche, tecnologie, ed esigenze logistiche, le guerre ottocentesche erano ormai un ricordo.

Uno dei primi problemi cui pressoché tutte le nazioni belligeranti dovettero far fronte fu l’imprevista carenza di armi lunghe necessarie alle masse degli eserciti, che fra coscritti, volontari, e professionisti, andavano assumendo proporzioni mai viste prima d’allora.

Fu forse la Russia il paese che più di tutti sofferse l’impreparazione a questa necessità: per armare il ciclopico “rullo compressore” di Nicola II, i cui soldati venivano chiamati a raccolta dalla Vistola alle coste dell’Oceano Pacifico, i fucili necessari non c’erano nemmeno lontanamente.

La produzione mensile dei tre arsenali di Ishevsk, Tula e Sestroryetsk non aveva mai brillato per copiosità neppure in tempo di pace, possiamo figurarci se avrebbe mai potuto sopperire alle esigenze della mobilitazione. Le strutture erano antiquate, arretrate le tecnologie produttive, e neppure si dimentichino l’instabilità sociale e la corruzione che avevano fatto del lavoro in Russia, e in ogni suo settore, un tragico miscuglio di inefficienze, intoppi burocratici, e mediocre qualità del prodotto finito.

Ingenti quantitativi di armi cominciarono ad andare regolarmente perduti fin dai primi sanguinosi scontri in Galizia e nella Prussia Orientale, e le carenze dell’apparato industriale si sommavano al marasma organizzativo in campo logistico: accadeva così che interi vagoni carichi d’armi uscite dagli arsenali fossero ritrovati “persi” in qualche isolata stazione ferroviaria di campagna, mentre gli ufficiali del reparto cui erano destinate preparavano gli assalti ordinando ai soldati della seconda ondata, disarmati, di raccogliere i fucili dei caduti della prima, immancabilmente decimata dalla mitragliatrici austro-tedesche.

Alla disperata ricerca di armi, e impossibilitata a migliorare la produzione nazionale in termini quantitativi, la Russia si rivolse all’estero. Oltre ad acquistare di seconda mano alcune centinaia di migliaia d’Arisaka modello 30 e 38, dei quali inglesi e giapponesi[1] furono ben lieti di liberarsi, il governo di Nicola II interpellò anche gli Stati Uniti, allora neutrali.

Nel novembre 1914 un primo contratto garantì la fornitura di 293.816[2] fucili Winchester modello 1895 camerati per la munizione russa calibro 7,62 x 54R, ma si trattava pur sempre di un’arma straniera, piuttosto costosa, e relativamente complessa.

Si pensò allora che alle industrie americane si sarebbe potuta affidare direttamente la produzione di quella che era l’ordinanza dell’armata zarista: il robusto e semplice Mosin-Nagant 1891, nella sua versione per la fanteria.

La Remington Arms Company, che già si era aggiudicata il contratto con la Gran Bretagna per la fornitura dei P-14, fu ben lieta di valutare la proposta russa, e parimenti interessata si dimostrò la New England Westinghouse Co.

Il contratto con la Remington, siglato il 3 novembre 1916[3], prevedeva la fornitura di 1.500.000 fucili 1891 e relative baionette, mentre la Westinghouse si impegnava per 1.800.000 pezzi.

La produzione di serie non era neppure entrata a regime, che tecnici, maestranze, e dirigenza della Remington piombarono nello sconforto più nero. I materiali e i documenti che la commissione ispettiva russa aveva portato con sé per avviare e soprintendere le lavorazioni agli stabilimenti di Bridgeport non erano, allo stato dei fatti, utilizzabili. Le quote sui disegni d’officina non corrispondevano alle reali dimensioni dei componenti delle armi-campione, mentre calibri e dime non rispecchiavano né le une né gli altri. Per gli americani, abituati fin da allora ad una rigorosa standardizzazione, la confusione non poteva essere più disperante: allo scopo di mettere ordine nel ginepraio dei disegni e delle attrezzature, innumerevoli ore andarono perdute in aggiustaggi manuali e controlli incrociati, col risultato che la produzione giornaliera risultò di 125 fucili contro i 2.000 contrattuali. Le perdite economiche furono da subito considerevoli, il tutto mentre gli ispettori russi imperversavano per i reparti ficcando il naso in ogni cosa col risultato di intralciarsi a vicenda e, peggio ancora, rallentare ulteriormente il lavoro degli operai.

La tenacia dei tecnici americani ebbe alla fine il sopravvento e la produzione raggiunse il ritmo previsto; in casa Westinghouse è probabile che le cose non fossero andate diversamente.

Agli inizi del 1917 la produzione aveva raggiunto un totale di circa 840.000 armi Remington e 770.000 Westinghouse, delle quali rispettivamente 131.400 e 225.260 spedite in Russia.

Nel marzo del 1917 lo zar Nicola II abdicò, si spalancarono le porte del caos, e il nuovo governo rifiutò di pagare quanto ricevuto dalle fabbriche americane, pretestuosamente lamentandone lo scarso livello qualitativo (!). I fucili ancora giacenti presso i due fabbricanti rimasero dunque nell’ombra dei magazzini in attesa di un pagamento, che nessuno, anche volendo, avrebbe potuto onorare.

Remington e Westinghouse erano alle lacrime, e solo il provvidenziale intervento del governo federale salvò le due società da conseguenze peggiori: si garantì infatti l’acquisto delle giacenze, ed anche un ulteriore lotto di 200.000 fucili Westinghouse e 600.000 Remington, al prezzo di 30$ cadauno.

Il danno finanziario era stato comunque notevolissimo, ma meglio questo accordo che nulla: la produzione per il governo iniziò il 4 gennaio 1918 e si chiuse, alla Westinghouse, entro il giugno successivo.

Se le cifre relative alla produzione per la Russia sono oggetto di discrepanze, parimenti non vi è sicurezza su quanti Mosin-Nagant furono in totale acquistati dallo Zio Sam. [4]  Certo è che anche gli Stati Uniti soffersero la carenza di armi lunghe per l’addestramento e le truppe di retrovia, e quelli destinati all’esercito, si parla di 280.050 pezzi, ricevettero da parte dell’Ordnance Corp la denominazione ufficiale di “Russian 3-Line Rifle”, nonché le punzonature della “Flaming Bomb” e della “Eagle Head”.

Cessata la guerra, si spense anche l’interesse dell’US Army per i Mosin-Nagant: moltissimi furono rivenduti a nazioni estere fra cui il Messico, mentre altri si dispersero nei mille rivoli del mercato interno, talvolta convertiti (pericolosamente!) al calibro 30-06.

Più variegata e affascinante appare invece la sorte di quei fucili che per ragioni diverse da quelle originarie presero comunque la via della Russia.

Un primo consistente quantitativo di armi fu inviato direttamente a Vladivostok per rinforzare l’armamento dei russi “bianchi”, che combattevano contro i bolscevichi.

Altri ancora vennero destinati alla cosiddetta “Legione cecoslovacca”, formata appunto da ex-prigionieri dell’esercito asburgico di quell’etnia, cui il governo bolscevico, dopo che il trattato di Brest-Litovsk aveva sancito l’uscita della Russia dalla scena della Grande Guerra, aveva promesso un salvacondotto fino a Vladivostok, da dove avrebbero potuto raggiungere l’Europa per  combattere contro gli austro-tedeschi sul fronte occidentale. Durante il tormentoso trasferimento lungo la ferrovia Transiberiana scoppiarono disordini fra cecoslovacchi e bolscevichi, e la legione rivolse apertamente le armi contro i “rossi”.

Rivelatasi l’unica forza armata consistente e ben strutturata ad est degli Urali, la legione attrasse l’interesse delle nazioni occidentali, che la cooptarono per la lotta ai sovietici.

 

 

Legionari cecoslovacchi  - Fonte: www.pamatnik.valka.cz

 

Trascinata nel calderone della guerra civile, ma poco interessata a combattere per altro che non fosse il suo rimpatrio, la legione fu respinta man mano fino a Vladivostok, dove riuscì finalmente ad imbarcarsi sotto la protezione del contingente americano giunto dalle Filippine nel quadro delle operazioni che le potenze dell’Intesa e i loro alleati avevano intrapreso per contenere ed eventualmente stroncare la montante marea del bolscevismo.

  

Truppe del contingente USA sfilano per Vladivostok ( notate gli Springfield 1903)

 

L’utilizzo fatto dagli Stati Uniti dei “loro”Mosin-Nagant fu ancor più diretto quando ne dotarono il contingente sbarcato ad Arcangelo nel settembre 1918. Armare i propri soldati con i Mosin-Nagant era nelle intenzioni americane un modo di semplificare la logistica dei rifornimenti, e risparmiare, contando sul fatto che le munizioni sarebbero state disponibili in gran quantità direttamente sul posto.

 

Presso Arcangelo: marinai americani dei reparti da sbarco. Notate i Mosin-Nagant e le cinghie!

Fonte: U.S. Army Signal Corps photograph collection presso Bentley Historical Library-University of Michigan

 

 

Altra bellissima immagine di un’ infreddolita pattuglia americana nella taigà

Fonte: U.S. Army Signal Corps photograph collection presso Bentley Historical Library-University of Michigan

 

Scopo ufficiale dell’operazione era evitare che i bolscevichi rivendessero agli Imperi Centrali gli enormi quantitativi di armi, munizioni ed equipaggiamenti che erano immagazzinati ad Arcangelo, o addirittura che l’avanzata del fronte tedesco vi giungesse, stabilendovi una presenza permanente.

Quando nel 1920 europei e americani si ritirarono dal devastato teatro russo, i “doughboys” semplicemente e senza rimpianti abbandonarono i loro Mosin-Nagant ad Arcangelo, e non diversa fu la sorte di quelli immagazzinati a Vladivostok, dei quali fecero strage l’incuria, gli incidenti fortuiti, e il deliberato sabotaggio.

A Vladivostok erano rimasti i soli giapponesi: prima che nel 1922 i bolscevichi riuscissero a prendere il controllo della zona e dei depositi d’armi, molte di quelle superstiti erano state accortamente ( e cinicamente) cedute ai vari “signori della guerra” cinesi, che in Manciuria seminarono il terrore per buona parte del successivo decennio.

E adesso guardiamoci i due fratelli dal Nord America.

Come si vede, nulla di strepitosamente diverso dal “solito” Mosin 1891 lungo!

 

 

Ma ecco le punzonature americane sulle culatte. I Mosin della Remington portano tutti la data “1917”, mentre quelli Westinghouse sfoggiano un altrettanto generico “1915”. Visto che il contratto Remington fu stipulato verso la fine del 1916, se ne potrebbe dedurre che la produzione Westinghouse sia cominciata prima.

 

La marcatura Westinghouse esiste in almeno quattro varianti: a grandi linee, quelle con la scritta New England arcuata appartengono ai primi lotti del contratto, mentre la scritta completamente orizzontale si ritrova sugli esemplari di produzione più tarda.

Attenzione! Fra la miriade di punzoni si notano i marchi “SA”di appartenenza all’esercito finlandese. Le vicissitudini di questi fucili possono essere solo oggetto di congetture, ma per un Mosin 1891 finire in mani finniche è forse il destino più facilmente immaginabile!

 Ed ecco i calci. Su quello Remington si nota una zona circolare accuratamente spianata: li avrebbe dovuto trovarsi il bollo tondo di accettazione della famigerata commissione russa, con la sua bella aquila bicipite (che i finlandesi vedevano come il fumo negli occhi !). Io non azzardo ipotesi, né sono convinto che questo calcio sia originale Remington: non vi sono infatti altri marchi che denuncino la provenienza da quel fabbricante, e il legno non sembra il noce usato dagli americani.

 

Sul Westinghouse il bollo è invece rimasto! Si notano l’aquila dei Romanov, il monogramma cirillico “ П К ” ( PK , “probnaya kommissija”,  commissione di prova) e in basso la data 1917. In realtà, per motivi che ignoro, la lettera “K” è stata pressoché cancellata sovrapponendovi un punzoncino che a prima vista potrebbe sembrare una T maiuscola, ma che è in realtà il martello simbolo dell’arsenale di Tula. Le mie doti di fotografo non riescono a dare conto di questo fatto abbastanza bizzarro!

 

 

 

Una particolarità dei Westinghouse si dovrebbe ritrovare sul lato sinistro della pala del calcio, e cioè la scritta cirillica “АНГІЛЙСКИ ЗАКАЗЪ”( “angliskij zakaz”, ordinazione inglese) anch’essa inscritta in un cerchio. La spiegazione risiederebbe nel fatto che, essendo i macchinari Westinghouse di proprietà inglese, il governo britannico rispondeva quale co-firmatario di quello russo a tutti gli effetti del contratto di fornitura.

Nel caso di quest’arma della scritta non v’è traccia. E’ pur possibile che questa non venisse più punzonata dopo l’abdicazione dello zar, ma anche nel caso di questo calcio non giurerei sulla sua provenienza dalla Westinghouse. Sul bocchino metallico all’estremità del fusto si notano due minuscoli marchi: una R maiuscola ( non cerchiata) e il solito martello di Tula. Per Lapin la R non cerchiata sarebbe un marchio Westinghouse, il Wrobel lo considera invece il punzone di un non meglio identificato ispettore americano. [5]

 

 

A titolo di confronto, ecco la R cerchiata, che nel caso dell’arma in mio possesso si ritrova sul solo pomello d’armamento, e viene concordemente identificata come marchio di fabbrica Remington.

 

 

A dire il vero, anche l’estrattore recava la minuscola R cerchiata, peccato fosse rotto! L’ho così sostituito a malincuore con un ricambio anonimo, ma ne ho conservate le…spoglie. Non solo: giusto sotto la manetta dell’otturatore quella stramba “E” maiuscola  con due frecce che puntano all’indietro è un marchio Westinghouse.

Le fascette montate sul Remington sono del tipo più vecchio, risalente alla prima produzione russa, e appaiono marchiate col simbolo di Tula.

 

Quelle del Westinghouse sono invece del secondo tipo.

 

In ambedue i casi i prudenti armaioli finlandesi hanno provveduto a bloccare le precarie fascette russe facendo uso di spine nel caso del Westinghouse, e addirittura di viti da legno in quello del Remington. Notate inoltre che le fascette del Westinghouse sono state ambedue forate per poter ospitare loro stesse una spina di fissaggio.

Non so voi, ma qualunque Mosin zarista passato in mani finniche io abbia visto fino ad oggi risulta una macedonia di numerazioni, simboli, e  componenti, che testimoniano come di questi fucili nulla venisse gettato se non del tutto inutilizzabile.  

Guardiamo poi l’otturatore del Westinghouse:

 

 

Senza contare il pomello di armamento ( marcato Ishevsk, e con una matricola molto bassa), il solo corpo dell’otturatore ha conosciuto tre numerazioni successive: sull’impugnatura della manetta, sbarrata, sulla faccia superiore della costola, cancellata con una serie di accurate crocette, e sulla faccia esterna. Quest’ultima corrisponde finalmente alla matricola della culatta, e speriamo sia opera dell’arsenale finnico!

Osservando la piastra metallica sulla pala del calcio, notiamo inoltre che per ambedue i fucili la matricola vi è riportata, ma solo nel caso del Remington essa è identica a quella presente su culatta e otturatore:

 

 

La piastra del Remington è punzonata col simbolo dell’arsenale di Ishevsk nella sua variante più vecchia, mentre su quella del Westinghouse appare sia il martello di Tula che, un po’ incerta, appena sopra la testa della vite di fissaggio, la “ E ”del fabbricante americano appena vista.

La numerazione del Remington è  punzonata accuratamente, mentre per il  Westinghouse è stata ribattuta su quella precedente, in apparenza identica e altrettanto sbilenca (!). Se può darsi che la piastra del Westinghouse sia originale e nata con questa calciatura (ma per un’arma di matricola diversa), posso solo supporre che i finlandesi abbiano usato una piastra di provenienza Ishevsk accoppiandola alla meccanica Remington, e numerandola in accordo alla culatta, nonché al suo otturatore, che abbiamo visto essere almeno in parte di manifattura Westinghouse. E poi cerchiamo i pezzi monomatricola…

 

Che altro dire? Armi simili, e questi due esemplari in particolare, non possono costituire certo l’oggetto del desiderio di chi ricerchi lo strumento di precisione per le gare d’ex-ordinanze, o il pezzo dall’assoluta coerenza rispetto al suo fabbricante originario. Ma per me, che da un fucile mi illudo sempre di udire le voci e le storie degli uomini che l’hanno avuto in mano, due vecchi Mosin Nagant che con tutta probabilità hanno attraversato oceani e steppe giungendo fino in Italia dopo un viaggio di quasi un secolo, non possono che essere fra gli ospiti più  graditi e benvoluti!

 

 

Calibro

 7.62 x 54 R

Produzione

 Dal  1915 al 1918 ( per la sola produzione Westinghouse e Remington)

Meccanismo di ripetizione

 Otturatore manuale

Lunghezza totale

 1.303 mm

Lunghezza canna

 802 mm

Canna

 4 righe sinistrorse

Velocità alla bocca

 855 m/sec con palla spitzer da 147 grs (palla “L”)

Caricatore

 esterno, 5 colpi, caricamento a lastrina

Peso (modello 1891)

 ~ 4 Kg

 

 

Bibliografia consultata e fonti Internet:
 

 

Ringraziamenti:
 

 


 

[1] I giapponesi smerciarono ai russi all’incirca 600.000 Arisaka modello 30 in calibro 6.5x50, e 30.000 Arisaka in calibro 7x57 originariamente destinati al Messico, che aveva annullato l’ordine. Gli inglesi, che nel 1915 avevano acquistato dal Giappone circa 128.000 Arisaka 38 per la marina e l’aviazione, li dichiararono obsoleti un anno dopo, rivendendoli ai russi. Sembra quasi che la carenza d’armi e la loro febbrile ricerca portassero a decisioni frettolose e contrarie alla buona organizzazione logistica!

[2] Le cifre che riporto sono tratta dall’opera di Terence Lapin citata nella bibliografia.

[3] Non ho dati circa la decorrenza del contratto con la Westinghouse, ma sembra lecito supporre che la produzione iniziasse prima del 1916, per i motivi che vedremo in seguito.

[4] Nell’articolo citato Canfield fa ammontare ad 1.000.000 di pezzi il totale stipulato con la Remington,  dei quali 750.000 risulterebbero essere stati prodotti alla cessazione del contratto con la Russia. Un quantitativo pari a 469.951 fucili fra Remington e Westinghouse è quanto Canfield stima essere stato consegnato prima della rivoluzione bolscevica; 280.000 pezzi sarebbero poi quelli “comperati” dal governo federale -  Canfield non specifica se facenti parte delle giacenze od ordinati ex-novo - a un prezzo di  20$ cadauno ( e non 30$ , come dice il Lapin).

[5] Anche sul bollo con l’aquila imperiale Lapin e Wrobel sembrano discordare: Lapin lo attribuisce sia alle armi Remington che a quelle Westinghouse, Wrobel solo alle prime.