Carcano mod. 1867

 

Scheda di Doctor Victor, arma fotograta dalla sua collezione privata.

 

Non possiamo descrivere il fucile “ridotto” Carcano 1867 se prima non lo inquadriamo nel suo contesto storico.
Per tutto il diciannovesimo secolo i fatti incalzanti sia da una parte che dall’altra dell’oceano finivano come spesso capita ancor oggi con l’esser regolati dal fuoco e dal cannone.
Le ragioni di una nazione spesso quindi erano demandate alla bontà delle loro armi.
Se, per secoli interi, non vi era stata una gran differenziazione nella tipologia delle armi da fuoco, queste, con l’invenzione dell’innesco col fulminato di potassio percorsero poi un rapido cammino che in pochi decenni ne modificò drasticamente efficienza e prestazoni.

Negli anni sessanta i fucili ad avancarica costituivano ancora lo standard dell’armamento delle fanterie. Lente da caricare, queste armi, grazie alla combinazione canna rigata e proiettile tipo Minié o simili, avevano acquistato in precisione e gittata tanto che il fucile ad avancarica di grosso calibro a canna rigata e palla cava era l’arma preferita dagli stati maggiori sia in Europa che in America.
Già da tempo, esistevano sistemi a retrocarica, o addirittura a ripetizione (il Dreyse prussiano adottato dal '48 era stato progettato ben prima), ma stranamente pochi strateghi ne intuirono immediatamente le potenzialità.

In America la sanguinosa guerra di secessione, che si protrasse fino al 1865, pur se è vero che vide sul campo di battaglia diverse rivoluzionarie armi a retrocarica come lo Spencer e l’Henry, fu però combattuta prevalentemente con i tradizionali fucili ad avancarica Enfield e Sprinfgfield.
I generali erano molto ancorati al concetto del fucile con una lunga gittata e che non sprecasse troppe munizioni. Per il combattimento ravvicinato veniva considerata piu che sufficiente la baionetta.

Solo i tedeschi ebbero con largo anticipo l’intuizione giusta, e questo grazie a Dreyse, che ideò un fucile a retrocarica munito di otturatore girevole scorrevole ( a catenaccio ) il cui percussore era un lungo ago che innescava la capsula posta alla base della palla, dopo aver percorso la cartuccia di carta che conteneva la polvere.
Nel 1866 pure i francesi fecero poi un fucile simile, lo Chassepot, che si differenziava dal Dreyse per il sistema di tenuta dei gas che era assicurata da un gommino di caucciù interposto fra otturatore e cartuccia, mentre nel Dreyse il sistema funzionava grazie a buone lavorazioni fra otturatore e culatta che si interponevano a tronco di cono.

Era ormai palese la superiorità tecnica e tattica che si aveva con queste armi a retrocarica, che permettevano cadenze di fuoco di 12 e più colpi al minuto.
La guerra del '66 mise in tutta la sua evidenza il divario fra i Lorenz ad avancarica austriaci e i fucili a retrocarica delle armate prussiane di Von Moltke.
Da quel momento tutte le nazioni si diedero da fare per dotare i propri eserciti di armi a retrocarica.
Ovviamente anche il novello stato unitario italiano ebbe a dover affrontare questo problema.

Il regno sardo in poco tempo ritrovatisi con le annessioni degli anni '60 a stato unitario era in quel periodo costretto a gestire una grande quantità di problemi compreso quel fronte interno che era il sud ancora alquanto turbolento.
E però dalla seconda metà del 1866 fu chiaro che non si poteva ancora far la guerra con fucili ad avancarica.
Fiorivano in tutto il mondo idee a volte ingegnose e altre bizarre per risolvere il problema.
Studi e prove inoppugnabili avevano ormai stabilito che la miglior resa balistica la si otteneva con un calibro che non superasse i 450 centesimi di pollice e con un proiettile del peso intorno ai 400 grani. Lo stesso quindi doveva essere abbastanza lungo e la rigatura della canna presentare un passo corto per poterlo stabilizzare.

Praticamente l'ideale ormai consisteva nel progettare ex novo un fucile di piccolo calibro (rispetto alle avancarica del passato) con un caricamento a retrocarica che utilizzasse un bossolo metallico.
Il Dreyse, in servizio dal 1848 era quindi indubbiamente obsoleto, e cosi lo Chassepot che lo copiava, sia per il sistema ad ago che utilizzava una munizione a cartoccio, che per il calibro.
Eppure, per un mero motivo di contenimento dei costi un po' in tutta Europa in quel periodo ci si arrabattò con soluzioni tendenti a recuperare almeno parte dell'ingente mole di fucili ad avancarica di cui tutti avevano pieni gli arsenali.

In Italia questo problema era più sentito che mai e, dopo un attento esame dei numeri necessari per riarmare l'esercito (oltre 500.000 fucili), si dovette constatare che non era possibile investire più di 10 lire ad arma. Era quindi necessario trasformare in qualche modo i fucili in giacenza.
Il costo della costruzione ex novo di una carabina a retrocarica era stato stimato infatti intorno alle 55 lire.

Risolvere questo gravoso impegno con così poco non era certo tecnicamente semplice ma alla fine ci si riusci anche grazie a Salvatore Carcano, allora il più quotato tecnico che avessero i Savoia nei propri arsenali.
Nominata nell'agosto del 1866 la commissione preposta a valutare eventuali progetti o prototipi, ad un influente membro di questa alla fine dell'anno Carcano presentò per una sommaria informale valutazione quello che riteneva un interessante progetto, in cuor suo degno di realizzazione.

Sulla scrivania dell'alto ufficiale sabaudo, Carcano dispiegò i disegni tecnici di una nuova arma. Come suo carattere, con fare modesto ma preciso elencò le caratteristiche e i motivi tecnici delle scelte di quelle soluzioni: sistema a retrocarica girevole scorrevole tipo Dreyse ma con innovativo sistema di messa in sicura del percussore, munizione con bossolo metallico a innesco centrale recuperabile e quindi ricaricabile (sapeva che gli alti papaveri consideravano uno spreco la cartuccia metallica per cui recuperando il bossolo la sua scelta pensava risultasse incontestabile).

Calibro del proiettile portato a 11 mm con passo di rigatura della canna di 560 mm: portata di tiro stimata: oltre 800 metri utili e cadenza di fuoco di 20 colpi al minuto.
Carcano andava avanti, elencando dati e cifre al generale.
Questi, accarezzandosi l'ormai canuta folta barba alla fine, lo sguardo rivolto al ritratto di re Vittorio Emanuele, gli fece una domanda: "...e mi dica sig. Carcano, immagino abbia anche un preventivo di cosa possa costare questa meraviglia..."
Antonio Carcano sapeva bene che sarebbero arrivati a questo argomento, che poi alla fine era sempre il più importante e sul quale aveva quindi impostato tutto il suo lavoro.

"Considerando i nuovi macchinari per le canne recentemente aquistati in Belgio e molti dei legni riutilizzabili dei fucili mod 1856 e 1860, si riesce a costruire questa nuova carabina al prezzo di 50 lire, appena 5 in più di quanto sono costate gli ultimi avancarica mod. 1860."
Il generale fece solo un impercettibile gesto col dito in direzione di una carta geografica dell'Italia intera su cui campeggiava lo stemma sabaudo.

"Abbiamo ancora circa duecentomila soldati laggiù, e non c'è verso di venirne fuori o di farli ragionare quelle canaglie... Questa annessione del sud ci stà dissanguando, e poi ci sono gli austriaci e tutto il resto, le casse del tesoro sono vuote ed ora questa storia delle armi che sono ancora da cambiare...
Prima del 60 avevamo a ruolo solo 10 brigate di fanteria e altrettanti battaglioni di bersaglieri.
Quest'anno contro gli austriaci avevamo mobilitati tre corpi d'armata da quattro divisioni ciascuna, caro sig. Carcano, per non parlare dei battaglioni di riserva , dei reggimenti di cavalleria, artiglieria, pontieri eccetera.
In questo momento per poter riarmare solo i reparti di prima linea abbiamo bisogno di almeno 500.000 nuovi fucili.

Secondo la sua stima con 25 milioni di lire risolveremmo il problema...".
Prima di continuare il generale apri un cassetto e ne tirò fuori una scatola contenente dei sigari di gran marca, "lei gradisce, immagino...", e senza aspettar risposta ne porse uno al suo interlocutore.
Passò la scatola di fiammiferi al Carcano e quindi accese il suo.
L'acre fumo ammorbò presto l'aria della sala..
"...sig. Carcano, per risolvere tutta la faccenda possiamo al massimo recuperare cinque milioni di lire, mi creda è un brutto momento ed è già tanto se riusciamo a trovarli questi soldi...
Mica siamo la Francia o L'Austria...

Possiamo a malapena permetterci di investire dieci lire a fucile, lo so è poca roba, ma sono certo lei riuscirà a tirarci qualcosa di buono, si vede che lei è uno che sa il fatto suo".
Carcano riprese i suoi fogli dal tavolo .
"Capisco, certo con dieci lire non so bene cosa potremmo fare, ma vedrò di fare il possibile... "
Era deluso e dispiaciuto quando stava per congedarsi ma il generale ancora lo volle trattenere.

"Un'altra cosa, sig. Carcano... lasci perdere la storia delle cartucce metalliche. Dio solo sa cosa ne farebbe la soldataglia... metà sono inetti e l'altra metà vigliacchi... probabilmente le sprecherebbero al primo rombo di cannone...
Mi ricordo che una volta in Crimea a metà assalto non sparavano già più e sa perchè ?
Quelle canaglie avevano usato la carta delle munizioni per arrotolare e fumarci dento il tabacco, buttando via la polvere, maledetti...solo a calci li ho costretti ad andar avanti alla baionetta, che è l'unica cosa poi che capiscono quelle bestie,.. per cui, solo iddio sa cosa riuscirebbero a fare con dei bossoli metallici..."
Il Carcano quindi, da buon capotecnico ligio al dovere e desideroso comunque di far al meglio la sua parte cominciò a pensare quali soluzioni escogitare.

Il governo aveva deliberato di aquistare o reperire quanto esistesse di meglio in fatto di nuove armi. Alla fabbrica d'armi perciò erano state fatte pervenire numerose realizzazioni estere e da queste ci cercò di trarne spunto.
Le migliori armi adottavano ovviamente una cartuccia metallica ed il calibro si aggirava perlopiù attorno agli 11 mm.
Il capitolato imposto escludeva a priori però sistemi come quello Remington, Werndl, Snider etc..
Dovendo tenere il vecchio calibro di 17,5 mm delle avancarica, la cartuccia metallica sarebbe risultata costosa ed oltrettutto pesante.
Giocoforza si dovette ripiegare sul sistema ad ago e bossolo di carta.

Il sistema Dreyse e lo chassepot non erano però utilizzabili sulle armi mod 1860 e 1856 a meno di non rifare completamente la culatta e i legni dell'arma da trasformare e a tal fine non sarebbe bastato l'esiguo capitolato di spesa risicato a dieci lire.
Rimaneva il misconosciuto sistema Doersch-Baumgarten sempre ad ago adottato dall'esercito dello Schaumburg-Lippe già dal 1861.
L'otturatore era simile a quello del Dreyse ma con opportuni accorgimenti si prestava ad essere ospitato nella culatta, opportunamente fresata dei fucili ad avancarica italiani.

Trovata la via da percorrere, il buon capotecnico Antonio Carcano lavorò sulla funzionalità dell'otturatore che rese semplice ed affidabile, inventando fra l'altro quella particolare sicura a tubetto che ritroveremo poi anche trent'anni dopo nei futuri fucili mod. 1891.
I problemi da risolvere all'inizio erano quasi sempre legati alla difficoltosa tenuta dei gas di combustione e all'ago che tendeva in tempi brevi ad imbrattarsi o rompersi nella sua lunga corsa dentro la munizione.
Si risolse, almeno in parte con l'adozione di una guarnizione di gomma posta direttamente nel fondello della cartuccia che era composta da bossolo e controbossolo di carta. Il tutto conteneva all'incirca 4,5 grammi di polvere nera e spingeva una palla da 35 grammi del diametro di 17,5 mm.

L'innesco era composto da clorato di potassio, solfuro di antimonio, zolfo e carbone, il tutto deposto alla base del proiettile di piombo.
Alle prove pratiche che si svolgevano in arsenale naturalmente erano sempre presenti alti ufficiali ed autorità sabaude che non finivano mai di subissare il Carcano di domande e di critiche nei riguardi di questa sua creatura.
Il solerte tecnico era poco avezzo alle pubbliche relazioni e pensava più a lavorare sodo.
Preferiva la compagnia dei suoi operai a quella di ufficiali e nobili d'alto rango.
Naturalmente era sempre disponibile a qualsiasi richiesta o domanda gli venisse rivolta, sempre con garbo e modestia nei propri riguardi.

Ma quando uno dei più alti in grado della commissione gli obiettò che dalle prove che si stavano effettuando l'arma risultava si funzionale ma poco precisa nel tiro rispetto ad altri modelli esteri esaminati il nostro Carcano non potè che rispondergli a mezzavoce:
“Con rispetto Eccellenza... ma con 10 lire di spesa massima a disposizione speravate che sparasse pure dritto?”
L'alto ufficiale annui con un gesto del capo.
“... si tratta di piccolezze trascurabili, non è il caso di darsene pena, e poi se veramente si vuol colpire con sicurezza, c'è sempre la baionetta, quella l'avrete lasciata, spero...”

Ad ogni modo, fatto il nuovo fucile a retrocarica si cercò di studiargli la miglior munizione possibile.
Molti problemi di inceppamenti, fughe di gas ed incertezza nel tiro furono ridimensionati facendo meglio la cartuccia e questa, alla fine, costruita con bossolo e controbossolo in cartone più robusti, cominciò a funzionare a dovere. Con il fondello guarnito da un disco di caucciù, poi, le fughe di gas posteriori furono risolte definitivamente ed inoltre l'ago risultava sempre pulito.
Le prime prove pratiche prima dei miglioramenti della cartuccia erano state subito sospese ma, rifatta la munizione, 12 carabine furono affidate ad una squadra di altrettanti bersaglieri esperti tiratori. Questi spararono circa 1.000 colpi a testa e il solo incoveniente riscontrato fu la rottura di un unico spillo.

In particolare era stato constatato che mirando con cura era possibile tirare otto colpi al minuto. Anche la precisione era accettabile: a cento metri il 90% dei proiettili stava dentro una sagoma larga un metro ed alta due.
E' anche vero che per raggiungere questo risultato fu necessario rifare delle nuove tacche di mira, già starate anche negli originali avancarica, ma grazie alla bravura di Salvatore Carcano anche questa modifica rientrò nel capitolato di spesa imposto sul tetto delle 10 lire.
Grazie a questi risultati soddisfacenti iniziò quindi nel settembre del 1867 la trasformazione a retrocarica di circa 20.000 carabine destinate ai bersaglieri e poi via via si mise mano anche ai fucili per la fanteria.

Nel 1870 si iniziarono a trasformare a retrocarica i due modelli di moschetti da carabinieri reali e nel 1871 anche i moschetti d'artiglieria e da pontieri, questi ultimi derivati dai modelli 1844 a cui vennero rifatte ex novo anche le calciature che infatti non presentano le sedi di alloggio delle cartelle tipiche degli avancarica.

La carriera militare del Carcano.
L'unico fatto storico in cui furono utilizzati i Carcano ad ago fu la presa di porta Pia.
Gli eventi maturati nell'estate del 1870 sono drammatici per la Francia ed in particolar modo per Napoleone terzo. Sconfitto pesantemente a Sedan dai Prussiani ed imprigionato, non può più proteggere il potere temporale del papa così come in passato.
Le truppe di presidio a Roma sono state richiamate urgentemente in madrepatria, dove Parigi è sotto assedio ed è stata intanto proclamata una nuova repubblica.
 

In mezzo a questa girandola di eventi il novello stato unitario italiano prima nicchia e prende tempo poi, senza voler attender oltre, a Settembre circa 50.000 bersaglieri agli ordini di Cadorna prima si dispongono ai confini dello stato pontificio con la scusa ipocrita di impedire eventuali attacchi di terzi contro il Papa, quindi vi penetrano e a metà Settembre sono sotto le mura di Roma.
Pio IX ormai non può che prenderne atto. Ha capito che non potrà resistere contro tale forza, ed ai suoi militari, circa 15. 000, fra cui 1.500 guardie svizzere, dà l'ordine categorico di fare solo una resistenza simbolica, per dimostrare così al mondo intero che comunque quella dello stato Italiano era un'aggressione in armi e non una spedizione “di soccorso”, come cercavano invece di dipingerla i Savoia.
 

Il 20 settembre, dopo un lungo cannoneggiamento, sulle mura poco alla destra di Porta Pia viene aperto un varco e di li passarono le squadre di bersaglieri, con i Carcano in mano.
Le guardie svizzere comunque andarono ben oltre la resistenza simbolica tant'è che una cinquantina di bersaglieri furono uccisi, e probabilmente diverse centinaia feriti o storpiati.
E non c'era da meravigliarsi.
I difensori avevano a disposizione un migliaio di temibili Rolling Block, carabine di ultima generazione di calibro ridotto e cartuccia metallica. Erano state donate allo stato pontificio tramite una raccolta fra fedeli cattolici italiani ed esteri.
 

Furono immediatamente confiscate e distribuite ad alcune compagnie di bersaglieri.
Ormai i tempi imponevano armi più moderne e quell'anno stesso, il 1870, iniziò lo studio e la realizzazione del progetto Vetterli, di cui furono pagate le royalty.
Questa nuova arma, al passo coi tempi, accompagnerà le vicende militari italiane divenendo l'ordinanza di prima linea fino all'avvento nel mod. 1891.
E rimarrà comunque in servizio ben oltre la fine del secolo.
Nonostante l'avvento del Vetterli, i vecchi avancarica continuarono ad essere trasformati a retrocarica con il sistema ad ago per tutta la prima metà degli anni 70.
 

Ovviamente queste armi, nate per risparmiare, venivano sostituite man mano si rendevano disponibili i nuovi Vetterli, ma comunque per funzioni come il mantenimento dell'ordine pubblico e per corpi della riserva tornavano sempre buone.
Tant'è che in seguito fu messa a punto una cartuccia a munizione spezzata, definita a “metraglia“, che altro non era che una cartuccia caricata a pallettoni ( 10 pallettoni da 8 mm di diametro ).
Era in dotazione ai carabinieri e sicuramente faceva bene il suo lavoro.
Alla fine degli anni 90, il nuovo fucile a polvere infume mod. 1891 era ormai operativo in molti reparti e relegato come seconda arma ci finì il Vetterli.
Il vecchio fucile ad ago, dopo un trentennio di utilizzo, finì quindi del tutto la sua carriera militare.
 

Diverse centinaia di migliaia di pezzi finirono negli arsenali.
Che fine ha fatto questa non indifferente quantità di armi ?
All'inizio del secolo un tale Angelo Belotti pensò di aquistarne dei lotti da spedire in Belgio, dove opportunamente lavorate ( alesata la rigatura e modificato l'otturatore ) potevano esere trasformate e quindi vendute come armi da caccia cal. 12.
Poi addirittura le acquistò in toto ( seicentomila pezzi ) con l'obiettivo di rivenderle ai cinesi i quali però per sua sfortuna optarono poi per i dismessi ma ben più performanti Mauser 71 dell'esercito prussiano .
Svanito l'affare, Belotti pensò nuovamente all'idea di trasformarle in armi da caccia, e, dopo diverse traversie finanziarie, fece con altri una società con lo scopo d aprire uno stabilimento appositamente predisposto per poter lavorare un così ingente numero di armi.
 

Belotti uscì di scena poco dopo, lasciando i soci della Nuova Fabbrica Bresciana di Armi (così si chiamava la società) i quali tentarono questa via imprenditoriale.
Ma con scarsi risultati.
Il vecchio fucile, ancora una volta trasformato, non era gran che appetibile anche se venduto a poco prezzo.
Ormai erano alla portata dei cacciatori le ben più performanti doppiette di nuova fattura che potevano utilizzare cartucce caricate con le nuove polveri infumi.
Cosa preclusa invece alle canne dei vecchi fucili ad ago fatte in ferro, non poche risalenti addirittura al 1844 .
Nel 1911 la società fallì e fu liquidata. La fabbrica fu rilevata da uno dei vecchi soci, Giovanni Sabatti, che continuò fra alti e bassi nella costruzione di armi da caccia fino a che un incendio, nel 1927, distrusse tutto.
Vecchi Carcano compresi.

 

Bibliografia
E. Marcianò, M. Morin - Dal Carcano al FAL - Editoriale Olimpia, 1974
G. Rotasso, M. Ruffo - L'armamento individuale dell'Esercito Italiano dal 1861 al 1943 - Uff. Storico S.M. Esercito, 1997
Riviste
Storia Illustrata - fascicolo n. 154, Settembre 1970 - Arnoldo Mondadori Editore