CARCANO ARISAKA TYPE I

Scheda di Bondino, aggiornamento di F.M.

 

Ecco un pezzo curioso che di primo acchito pare un nostro 91 lungo ma con la pala del calcio in due pezzi tipicamente giapponese.

Siamo nel 1938 ed il Giappone è in piena attività bellica contro la Cina; il patto tra Giappone Italia e Germania non è ancora stato sottoscritto (lo sarà nel 1940) ma già dal 1936 Giappone e Germania hanno stipulato il patto anti-komintern a cui un anno dopo aderisce anche l’Italia, l’Asse tripartito si va delineando e Tokio e Berlino iniziano un grande sforzo industriale in previsione delle guerre a venire.

In tale clima politico e militare e nel quadro di accordi per scambi industriali reciproci il governo giapponese passa a quello italiano una commessa per 60.000 fucile Carcano lungo adattati al calibro di ordinanza giapponese: il 6,5 Arisaka.

Tutti i disegni originali del Carcano Arisaka vengono eseguiti dalla Fabbrica d’Armi di Terni ma è logico supporre su specifiche giapponesi. Terni però non fabbrica direttamente le armi ma suddivide la produzione in 30.000 pezzi dalla la Sezione Fabbrica d’Armi Regio Esercito (SFARE) di Gardone Val Trompia  e altri 30.000 tra la Beretta di Gardone e la Fabbrica Nazionale d’Armi (FNA) di Brescia. I numeri sono molto approssimativi perché i documenti di produzione sono andati persi e le ripartizioni tra le tre fabbriche sono solo ipotesi, tra l’altro non è neppure noto se la cifra totale di armi sia stata effettivamente raggiunta. 

Ogni volta che una partita era pronta, veniva spedita allo SFARE per l’accettazione da parte di una commissione di ufficiali giapponesi; la produzione iniziò alla fine del '38 e terminata a metà '39, le armi vennero fornite complete di tutti i particolari meccanici, ma senza cinghie e baionette e con il calcio non trattato da verniciature o protettivi la cui applicazione sarebbe stata curata dai giapponesi.

Il fucile è quasi privo di contrassegni, a parte la matricola, mancando in particolare del classico crisantemo che probabilmente avrebbe dovuto essere impresso dall’arsenale giapponese di destinazione

Il Carcano Arisaka venne costruito in un'unica versione : non si conoscono né furono progettate versioni carabina o moschetto; invece la Beretta preparò un interessante prototipo del nostro moschetto 91/38 in 7,35 con caricatore a lastrina tipo Mauser del Carcano Arisaka anziché il classico pacchetto Mannlicher. Prototipo interessante ma che avrebbe causato ulteriori problemi logistici.

Meccanicamente il Carcano Arisaka utilizza la scatola di culatta, l’otturatore, il meccanismo di percussione, quello di scatto ed espulsione del nostro 91, peraltro gli otturatori non sono intercambiabili in quanto il taglio presente sulla testa dei due otturatori per il passaggio dell’espulsore non è esattamente nella stessa posizione (più centrale nel Carcano Arisaka).

 

La parte superiore della scatola di culatta è fresata per consentire l’introduzione della piastrina Mauser, piastrina oggi irreperibile ma non così particolare: si tratta semplicemente di una piastrina larga per contenere i fondelli della cartuccia 6,5 Arisaka che è della famiglia semi rimmed

Il meccanismo di alimentazione tipo Mauser ricalca quello dell’Arisaka 1905 (o modello 38, essendo il 1905 il 38-esimo anno di regno dell’imperatore Meij) che è il miglior fucile giapponese (il modello 99, in 7,7 mm Arisaka, è decisamente più rozzo)

Del 1905 il Carcano Arisaka ha anche il dispositivo di scaricamento: premendo un tasto zigrinato posto all’interno del ponticello sul lato anteriore, si sgancia la piastra di chiusura del serbatoio e le cartuccie cadono.

 

Anche l'alzo a cursore con tacca a V molto aperta, che una volta abbattuto mostra una tacca da battaglia, è quello dell’Arisaka.

Il mirino, invece, privo di ripari, si differenzia da quello del 1905, che sovente era protetto da due alette.

La bacchetta di pulizia (qui purtroppo mancante) è la stessa del 1905.

 

La canna del Carcano-Arisaka è 2 cm più corta del 1905 ed ha rigatura a passo progressivo con quattro solcature rotonde Metford, tale tipo di lavorazione diede origine a problemi ma una volta raggiunta la messa a punto si verificò che precisione e velocità alla bocca erano superiori alle specifiche richieste.

Il calcio è molto simile al 1905 con il becco del calcio incastrato a coda di rondine ed incollato al resto della calciatura; il motivo di tale lavorazione è controverso, normalmente lo si ritiene uno metodo per economizzare legname, personalmente ritengo che sia per dare maggiore stabilità alla calciatura di armi destinate ad essere utilizzate in climi caldi e umidi come la jungla.

 

Purtroppo non sono riuscito a trovare documenti che comprovino l’utilizzo bellico di tale arma: chi avesse maggiori informazioni è pregato di comunicarmele. 

Infine l’arma non è ancora stata utilizzata in poligono poiché cerco di ricreare la cartuccia originale che era una FMJ mentre le commerciali (pochissime) e le palle sciolte che riesco a trovare sono tutte SP.

----

Aggiornamento Maggio, Giugno e Settembre 2010

Fin qui la scheda di Bondino.

Quello che segue è materiale gentilmente fornito dal Dott. Venturoli, ed in origine era destinato ad accompagnare un suo articolo apparso sulla stampa statunitense nel 1971, e più precisamente su American Rifleman. [1]

Iniziamo con una riproduzione, sino ad ora inedita, di un disegno originale dell'arma, che ne illustra una sezione trasversale ed una vista in pianta. Cliccando qui, oppure sull'immagine, è possibile far apparire un'illustrazione a maggiore risoluzione.

Appare evidente che i due elementi che costituiscono la pala del calcio sono uniti in modo meno elementare di quanto l'aspetto esterno dell'arma non faccia supporre.

Seguono le riproduzioni in formato elettronico di due fotografie che verosimilmente ritraggono membri della commissione incaricata di collaudare le armi presso gli opifici in Italia.

La didascalia della prima immagine (l'unica, sino ad oggi, ad essere stata pubblicata) recitava: "Japanese officers somewhere in Gardone in 1939. The place can be the banco di prova or the arsenal either. Note the white uniforms: are they from the Navy?".

Se fosse per me, del tutto digiuno di uniformi, il dubbio sarebbe destinato a rimanere tale. Ma Internet ha permesso all'immagine di giungere anche a chi, sapendone di più, ha identificato a quale Arma appartenevano i due ufficiali con l'uniforme bianca ritratti al centro della foto: il suo contributo è qui, ed io lo ringrazio per averlo fornito.

 

Segue una seconda immagine, inedita, in cui le pose assunte, se non meno spontanee, sono senz'altro sono più formali. L'ambientazione è la stessa, ma la finestra sulla destra della foto ora è chiusa, il soggetto al centro della foto è un diverso ospite orientale, e non indossa un'uniforme, anche tra i volti italiani ve ne sono solo alcuni che presentano analogie con quelli ritratti nella foto precedente, e tra quelli uno sembra avere decorazioni che differiscono tra le due foto.

Due foto ricordo fatte in momenti diversi? O a breve distanza di tempo, con diversi soggetti?

Anche per questo la parola passa ai visitatori del sito, che di ognuna di queste due foto possono vedere una versione di maggiori dimensioni cliccando sull'immagine.

E per farle apprezzare ancora di più, aggiungo che esse sono state letteralmente recuperate in condizioni estreme: i negativi furono realizzati fotografando delle stampe in positivo, mancando i negativi originali...

Ma il contributo di altri collezionisti non è finito qui.

L'Avv. Fabio Sacco mi ha inviato delle foto da lui realizzate ad un esemplare in eccellenti condizioni di fucile Type I in suo possesso, messo a diretto confronto con un esemplare di produzione Beretta (dal punzone PB applicato sulla radice del manubrio dell'otturatore) appartenente a Vincenzo Fortunati (autore de "La Mauser 1899 e la Regia Marina Italiana", Ed. Olimpia).

L'arma di Fabio Sacco ha la pala del calcio di lunghezza inferiore di quelle di Vincenzo Fortunati e di Bondino.

La differenza appare più marcata osservando delle foto di dettaglio, come quelle che seguono.

Nell'arma più corta la misura della "lunghezza" (che in un'arma lunga è la distanza tra la mezzeria del calciolo e la parte anteriore del grilletto) è di circa 33 cm  (pari a quella che ho rilevato sul mio Arisaka 38), e paragonabile alla lunghezza (di poco superiore) rilevabile su un Carcano 91/41.

La stessa dimensione nel caso dell'arma più lunga arriva a misurare almeno 36,5 cm, misura superiore persino a quella rilevabile su di un Modello 91 (35,5 cm).

Il calciolo metallico della versione "corta" è simile ma non identico a quello della versione "lunga": è più corto (10,8 cm contro 12,0 cm), ed i fori per le viti sono più vicini tra loro.

Quest'ultima caratteristica, abbinata alla presenza di una costolatura lungo tutto il suo perimetro, nella zona a contatto con il legno, permette di affermare che il calciolo di dimensioni minori non è stato ricavato per modifica di un calciolo di dimensioni maggiori.

Anche quest'arma non presenta marchi, a parte il numero di matricola (E1920, presente sulla sola scatola di culatta) e, ovviamente, i banchi di prova moderni.

La radice del manubrio dell'otturatore reca impresso il marchio "45" inscritto in un rombo (che riconduce la fabbricazione alla FAG, di Gardone Val Trompia).

La calciatura "corta" fu senz'altro quella più adatta all'altezza media del soldato giapponese; come spiegare quindi la calciatura "lunga"?

Nelle loro recenti rispettive pubblicazioni, Hobbs smentisce che la versione corta sia stata una modifica eseguita in Giappone, Pettinelli e Di Giorgio si limitano a dire che "esistevano calciature di diversa lunghezza", mentre Riepe non ne parla affatto.

Un errore di valutazione del progettista, abituato a dimensionare le calciature sull'altezza media del soldato italiano, e quindi una successiva "inversione di rotta" dopo l'inizio della produzione?

Due produzioni parallele, con due destinazioni diverse?

Purtroppo non sono in condizione di poter pronunciare una parola definitiva sull'argomento.

Qui di seguito, il contributo di un collezionista statunitense, Roy McLeod, col quale sono stato messo in contatto grazie al forum annesso al noto sito www.surplusrifle.com.

Il primo dei quattro fucili raffigurati non presenta alcuna finitura. Il secondo presenta la tipica finitura militare. La finitura del terzo non è senz'altro originale, l'ultima arma in basso, in calibro 257 Roberts, è stata realizzata artigianalmente partendo da un'azione Type I (ed il serbatoio di tipo Mauser deve aver contribuito non poco a rendere efficiente la trasformazione).

Concentrando l'attenzione alle armi militari, Richard Hobbs, scrivendo dei Type I, ricorda di aver visto aprire, presso la sede della Interarms (la ditta del leggendario Samuel Cummings) una cassa piena di fucili con i calci privi di finitura.

Quello raffigurato è uno di quei fucili?

Quel che è certo è che la finitura dell'arma qui raffigurata sembra ancor meno sofisticata della più semplice delle finiture applicate alle armi italiane (un'immersione in olio di lino caldo, seguita da una asciugatura, e quindi da una seconda immersione), come testimonia il legno più scuro attorno all'impugnatura.

 

[1] Il Dott. Venturoli ha cortesemente fornito anche una scansione del suo articolo qui citato, essa è disponibile cliccando sul link indicato nella bibliografia, qui sotto.

Bibliografia

§ U. Venturoli - Type I not "Made in Japan" - American Rifleman, Vol. 119, No. 12, Dicembre 1971

§ R. J. Hobbs - The Carcano Italy's Military Rifle - R. J. Hobbs, 1997