Radom VIS
wz.1935 - M.35 - P35(p)
Scheda di Bondino
Aggiornamento di Frank Mancuso
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Comunemente,
in occidente questa pistola è conosciuta come Radom dal nome del produttore
polacco Fabrica Broni w Radom; il nome polacco corretto è WIS (pronuncia Vis)
dal nome dei progettisti Piotr Wilniewczyc e Jan Skrzypinski (non chiedetemi la
pronuncia).
Come molti
eserciti europei del post WWI , anche l’esercito polacco era armato , come
ordinanze corte, di una pletora di armi quali le Browning, le Colt, Mauser e
revolver Nagant russi. [a]
Per ovvi problemi logistici e per uniformare l’armamento su un unico modello
nel 1935 fu indetto un concorso. [b]
Vi
parteciparono la Mauser, la Skoda, la nostra Breda ed i due polacchi; la
competizione venne in seguito limitata alla Skoda ed alla Wis ma per motivi “patriottici”
il Ministero degli affari Militari acquistò i progetti dalla Wis la cui
produzione fu affidata alla fabbrica governativa di Radom da cui il nome. Il
prototipo, in 9 Parabellum, venne collaudato a lungo e l’arma entrò in
produzione nel ‘36.
Fu fabbricato
un unico modello che andò ad equipaggiare in particolare la cavalleria e la
produzione continuò sino alla sconfitta polacca del ‘39.
Poco dopo la
fabbrica venne riaperta sotto controllo tedesco per l’utilizzo da parte della
Wehrmacht che l’adottò con la denominazione di P35(p) ossia Pistole Model 35
Polnische (polacca).
La guancetta
destra porta stampato VIS, la sinistra FB; il significato del VIS è oscuro [c] dato che le iniziali
dei progettisti sono W ed S mentre la lettera V in polacco non esiste.
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Le pistole originali dell’esercito polacco portano sul
carrello la scritta F.B.RADOM VIS Mod.35 Pat. Nr.15567 e l’aquila polacca
mentre le armi tedesche hanno analoghe incisioni tranne l’aquila polacca e
nella parte inferiore vi è inciso meno profondamente P. 35 (p). [d]
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Su quest’arma troviamo i marchi del Waffenamt WaA77 e
l’aquila di accettazione in servizio su 623.
La P.35(p)
venne costruita fino al 1944 per la Wehrmacht divenendo un’arma molto
apprezzata , insieme alla Browning HP, in particolare dai parà. Esteticamente e
meccanicamente la Radom ricorda molto la Colt 1911, da cui in effetti è in gran
parte derivata, con le variazioni adottate per la Browning M35 [e]; come la sostituzione
con una camma dell’articolazione sotto la canna per abbassarla e sganciarla dal
carrello durante il rinculo.
Altre modifiche meccaniche cono l’asta portamolla sotto la camma eliminando la
guidamolla amovibile della Colt e modificando quindi lo smontaggio.
Caratteristica di quest’arma è, oltre la sicura
all’impugnatura, la leva abbatticane sul carrello che consente al dente
d’arresto di liberare il cane abbassandolo in sicurezza anche con il colpo in
canna, che può essere usato riarmando manualmente.
Altra
peculiarità è la guida nella parte posteriore dell’impugnatura per
l’inserimento di un calciolo fondina in legno che trasforma l’arma in una
piccola carabina per la cavalleria. Il calciolo non venne mai usato dai
tedeschi che però ne mantennero la guida nelle pistole prodotte sotto il loro
controllo.
Tale calciolo
era prototipale. Ne è noto un solo esemplare originale in possesso di un
collezionista polacco e su internet le repliche attuali vengono scambiate
attorno a 500 dollari; non male per un falso !!!
Gli ultimi esemplari prodotti per la Wehrmacht
differiscono poi dalle Radom originali per le guancette in legno liscio,
l’assenza dell’abbatticane e verso la fine della guerra pure della sicura
dorsale [f]: semplificazioni
dovute alle esigenze belliche ormai disperate.
Aggiornamento (Maggio 2012)
L'acquisto, avvenuto casualmente in tempi molto
ravvicinati, di un esemplare di P35(p) e di due testi che ne narrano le
vicende, mi spinge a riaprire il discorso su questa bella semiautomatica,
della quale da qualche anno viene proposta una moderna riproduzione realizzata
artigianalmente ma destinata a pochi, per il numero di esemplari prodotti e per
il prezzo richiesto (anche se è noto che un produttore, non saprei dire se lo
stesso, sta cercando di proporre una produzione numericamente più importante,
ad un prezzo più abbordabile).
Iniziamo a
dare un cenno sui libri; il primo, di Robert J. Berger, edito nel 1981, è stato
per lungo tempo, ed è ancora, l'unica sorgente di dettagliate informazioni
storiche sull'origine dell'arma redatta in una lingua ampiamente diffusa.
L'unica critica che gli si può muovere è quella di essere un testo un po'
"povero", in brossura, di piccolo formato, con essenziali immagini in
bianco e nero.
Il secondo, di
William J. York, edito nel 2011, dopo uno studio dell'arma e del suo
sviluppo, presenta chiare immagini di oltre cento esemplari della pistola,
illustrandone la molteplicità delle varianti.
Varianti
presenti in numero tale da permettere di costruire una nutrita collezione
limitandosi a collezionare solo quelle, con buona pace di chi, soprattutto
oltreoceano, afferma che le versioni dell'arma sono quattro.
Rimandando ai
fondamentali testi citati (meglio specificati nelle note bibliografiche) per
avere un'idea delle suddette varianti, prima di esaminare da vicino questo
esemplare è opportuno accennare a come venivano realizzati al tempo i prodotti
industriali.
Il prodotto
finito (o un suo sottoinsieme) era ottenuto presso un posto di lavoro mettendo
insieme i suoi singoli componenti; presso ogni posto di lavoro vi erano diversi
"contenitori" (cassette, scatole, ma anche rastrelliere) ognuno
destinato a conservare un certo quantitativo di più componenti dello stesso
tipo.
Per evitare
intrerruzioni nella produzione, i "contenitori" dovevano essere riforniti
prima del loro completo svuotamento.
I componenti
rimasti nel "contenitore" erano quindi stati realizzati prima di
quelli che venivano aggiunti sopra o davanti ad essi, ma erano destinati ad
essere usati dopo di questi ultimi.
Poteva passare
anche molto tempo prima che i componenti di manifattura meno recente, rimasti
più volte in fondo al "contenitore", venissero montati sul
prodotto finito.
Se tra un
riempimento e l'altro veniva introdotta una modifica al componente, tale da non
pregiudicarne l'intercambiabilità, il prodotto finito funzionava ugualmente, ma
oggi fa venire il mal di testa a quei collezionisti che non sanno spiegarsi
come mai un componente di produzione più datata sia finito su di un esemplare
completato in tempi più recenti.
In sintesi, il
passaggio da una versione di un componente a quella successiva non è mai netto
e brusco, ma avviene percorrendo una transizione più o meno lunga.
Per questo
motivo, ad esempio, Scott Duff nei suoi testi sul Garand raccomanda di non
sostituire parti di disegno immediatamente precedente a quello apparentemente
coerente con la matricola dell'arma: si rischia di compromettere l'originalità
di un'arma nel tentativo, sempre censurabile, di taroccarla.
Nel caso delle
P35(p) le modifiche apportate durante la produzione avvenuta sotto il controllo
tedesco sono state diverse ed importanti, e trovarne di più recenti su armi con
numeri di matricola che lo sono meno in questo caso è la norma, e questo senza
tener conto della confusione inevitabilmente causata alle attività di
produzione ed assemblaggio dai molti traslochi che queste hanno subito.
Come esempio, questo esemplare, che è arrivato sino a noi
in ottime condizioni ed appartiene alla seconda delle serie della produzione
tedesca in cui la matricola ha un prefisso alfabetico, privo di leva di
smontaggio, è stato legittimamente [1] seguito, dopo
circa altri 800 numeri di matricola, da (almeno) un suo simile che invece la
leva la conserva, raffigurato sul testo di York.
Questa modifica, la più evidente tra quelle che ha
interessato la produzione dell'arma, inizia ad interessare esemplari
matricolati con la lettera Z della prima serie con prefisso alfabetico, e si completa
solo nel blocco A della seconda serie con prefisso alfabetico (riprederemo il
discorso delle matricole più avanti).
La brunitura, eseguita in bagno salino, non è più quella
delle armi di produzione polacca, ma a partire dalla metà della prima serie
matricolata con suffisso alfabetico essa appare opaca per la rozza finitura
della superficie metallica, che nulla toglie all'impeccabile funzionalità
dell'arma (e penso a certe odierne produzioni blasonate, ed osannate dalla
stampa, con serbatoi che non escono dalla, o non restano nella, loro sede, viti
che si allentano dopo i primi colpi, tamburi tagliati a fetta di salame, scatti
che manco un coltello "a tre scrocchi", componenti a
"frammentazione" inesorabilmente "prestabilita"...). Siamo
comunque ancora lontani dalla fosfatazione che caratterizzerà la produzione
effettuata dalla Steyr presso lo stabilimento di Znaim a partire dalla fine del
1944.
Oltre a perdere la leva di smontaggio, l'arma ha i perni
ribattuti in sede (non si tratta di spine elastiche, anche se potrebbero
sembrare tali, e la cosa che ne rende sconsigliabile l'estrazione).
Come noto la leva di smontaggio permette di trattenere il
carrello in posizione arretrata mentre viene sfilato il perno della leva di
avviso di arma scarica.
Senza la leva, si è affermato che lo smontaggio diventa
difficoltoso, ma le armi che ne sono prive sono dotate di un altro
accorgimento, ovvero di una tacca ricavata sul cane, tra la sua cresta ed il
suo petto.
La modifica è
un piccolo uovo di colombo; a carrello arretrato, nella suddetta tacca trova
saldo appiglio l'estremità inferiore della leva abbatticane, e si può fare a
meno di un componente.
L'aver fatto
ricorso alla leva abbatticane impone però un maggior arretramento del carrello
nella fase iniziale dello smontaggio, e quindi lo spostamento verso la bocca
dell'arma del vano semicircolare praticato nel carrello per permettere il
passaggio dell'estremità della leva che comanda l'avviso di arma scarica (nel
dettaglio qui sotto sono messi a confronto diretto i particolari delle due armi
raffigurate in questa scheda).
Per quanto già
detto, si comprende come mai esista almeno un esemplare che i vani di
passaggio... li ha tutti e due!
Si tratta evidentemente
di un carrello nato per essere usato in abbinamento alla leva di smontaggio
tradizionale, ma pronto ad essere utilizzato anche quando quelle leve non
fossero più state disponibili. L'arma che lo monta ha comunque la sua brava
leva di smontaggio, ed appare solo un vano in più, apparentemente inutile, che
è andato ad aggiungersi davanti a quello esistente, ed ai rodimenti già
presenti sul capo del collezionista, poiché nel caso della VIS l'eccezione
coincide con la regola.
Subito dietro
gli intagli di presa del carrello (che sono in questo esemplare sono già 11,
contro i 10 presenti sull'intera produzione polacca, e su quella tedesca fino
al prefisso R), sotto la leva abbatticane, ed evidente nella foto che segue, è
nascosto un numero di inventario introdotto durante la produzione avvenuta
sotto il controllo tedesco, verosimilmente per prevenire i furti di componenti
destinati al montaggio di armi clandestine per la Resistenza. [2]
Il numero di
inventario (presente anche sul fusto, ma, come regola generale, diverso da
quello presente sul carrello) non ha nulla a che vedere con la matricola
dell'arma, che resta ben visibile sul lato destro del fusto
sulla sicura
dorsale (nella sua parte numerica, spesso sul lato destro, talvolta su quello
sinistro).
in molti casi [3] sulla canna (ultime
tre cifre),
ed al di sotto
del carrello (oltre a quelle presenti sul cane, sulla sua leva di disarmamento
del cane, sulla sede della molla del cane, che non sono visibili con il normale
smontaggio da campagna).
La matricola
punzonata al di sotto del carrello si sposterà dalla posizione illustrata in
alto, quasi nascosta (che indica come il carrello sia stato prodotto nello
stabilimento di Radom), a quella sotto la guida di scorrimento destra (ben più
visibile e facilmente applicabile), che caratterizza la produzione più tarda,
realizzata a Znaim a partire dal Dicembre del 1944.
Prima di
vedere quale sia il significato delle altre punzonature presenti su questo
esemplare, bisogna ricordare che la produzione eseguita sotto il controllo
tedesco (ripresa tra la fine del 1940 e l'inizio del 1941) inizialmente è
costituita da un non sempre immediato assemblaggio [4] di componenti
catturati insieme allo stabilimento e realizzati prima dell'invasione. [5]
Le matricole
di queste armi vanno da 001 (una sorta di preserie con numeri di matricola a
tre cifre, di cui il primo è uno zero) a circa 12000 (partendo da 1), le canne
sono per lo più di produzione Steyr.
Ma non sono le
canne che dall'Austria vanno a Radom, bensì il contrario: per ridurre le
sottrazioni di cui si è già dato cenno, a Radom viene assemblato tutto ma non
la canna; fusti e slitte vengono accoppiati e spediti in Austria dove viene
ogni arma viene completata.
Dopo questa
produzione iniziale, in Austria si continuerà ad assemblare dei "kit"
prodotti a Radom con canne di esclusiva produzione Steyr, ed a matricolarle in
blocchi di 9999 esemplari, la matricola è preceduta da una lettera
dell'alfabeto da A a Z (escluse I, O, Q, V, X ed Y).
Ad una prima
serie completa da A a Z farà seguito una seconda serie che arriva certamente al
blocco K (non sono note armi della seconda serie con prefisso L, o successivi).
Quando le
truppe sovietiche occupano Radom, la produzione dei "kit" è già stata
spostata, inizialmente presso uno degli stabilimenti assorbiti dalla Steyr
(forse quello collocato del campo di concentramento di St. Georgen an der
Gusen, un campo satellite di quello ben più noto di Mauthausen), e, poi, definitivamente,
a causa dei bombardamenti alleati, in quello della città cecoslovacca di Znaim,
a 200 km da quella di Steyr.
E ora possiamo
finalmente spiegare il significato dei punzoni.
L'aquila sul
77 indica che fusto e carrello sono stati prodotti a Radom.
Quella sopra
il 623, punzonata tra gli intagli di presa ed il punzone di superamento della
prova di sparo, indica che l'assemblaggio è stato effettuato a Steyr: in realtà
sarebbe stato corretto trovare (come infatti si trova) un WaA623 e non la sola
aquila 623, come sui kit prodotti a Radom non dovrebbe trovarsi WaA77 ma solo
l'aquila 77, ma anche questo fa parte delle particolarità della produzione di
queste belle armi. :-)
In totale la
produzione complessiva effettuata sotto il controllo tedesco deve essere
contenuta nel numero di 312.000 esemplari.
Nella foto
appena vista non appare evidente, ma in quella che segue, effettuata con una
diversa illuminazione, si nota come la punzonatura apposta sul fusto ha
deformato la superficie, rendendola concava.
Chi di P35(p)
ne ha viste ben più di me afferma che quelle tedesche "sono tutte
così", verosimilmente perché la punzonatura veniva eseguita senza
sostenere posteriormente il metallo (forse ad arma montata?), più che per una
semplificazione (comunque nota) dei trattamenti termici cui esso era
sottoposto.
Non deteriora
nulla la semplificazione illustrata qui di seguito, adottata a partire dalle
matricole con prefisso T.
Dietro la
tacca di mira è presente una porzione di bindella zigrinata che nelle prime
produzioni era fresata via. Su questo esemplare è rimasta, e se non è di alcun
aiuto nella mira, nemmeno la impedisce. :-)
Un'altra
semplificazione introdotta già nella prima serie con prefisso alfabetico W
riguarda il grilletto, che non è più fresato ma è realizzato unendo con due
rivetti le due aste che trasmettono la pressione del dito alla leva di scatto.
Nella foto che
segue si indovina il profilo dei rivetti, e del ramo sinistro delle aste di
rinvio.
Le fresature
che facilitano l'accesso del dito indice al grilletto sono già state eliminate
da tempo, a partire dalle matricole con prefisso J e K della prima serie.
L'estremità
anteriore del carrello non è ancora stata oggetto di semplificazioni. La
porzione che va ad accogliere la canna è in realtà un boccola filettata,
avvitata e spinata al carrello.
Una
caratteristica che non risulta sia mai venuta meno è lo sguscio praticato sul
fronte dell'impugnatura, in corrispondenza della suola del caricatore,
certamente utile per favorire l'estrazione di un caricatore incastrato nella
sua sede (sporco? deformato?).
Nella foto qui
sotto si intravede soltanto il marchio di accettazione rappresentato da
un'aquila sul numero 189 apposto nella parte anteriore della suola del
caricatore e che indica che esso è stato prodotto nello stabilimento Steyr di
Varsavia.
Si può almeno
notare la presenza dell'anello per il correggiolo, e l'assenza della guida per
il montaggio del calcio-fondina.
Ecco l'arma
dopo essere stata smontata per la normale manutenzione.
Cliccare sulla foto per ingrandirla.
Se avessi
fotografato l'arma con le guancette rimosse, sarebbe stato evidente che le viti
impegnano direttamente il fusto, e non due boccole filettate internamente ed
esternamente a questo avvitate, come avviene invece nelle armi delle prime
produzioni (e nella Colt 1911, che tra l'altro ha trasmesso all'arma polacca
anche le quattro viti di fissaggio, di uguali dimensioni e passo).
Non è invece
necessario smontare altro per notare come la molla di recupero sia vincolata
permanentemente all'asta guida-molla.
L'asta
guida-molla è però telescopica, e contiene al suo interno un ammortizzatore a
molla voluto per prevenire lo sparo in caso di caduta ed avanzamento del
percussore inerziale, un dettaglio assente nei prototipi dell'arma, e che
tornerà a sparire negli ultimissimi esemplari realizzati.
Calibro: |
Per chi può, 9 mm Parabellum, per noi 9x21 IMI... :-( |
Velocità iniziale: |
345 m/s - 445
J (con palla da 115 grani) |
Capacità del serbatoio: |
8 colpi |
Lunghezza canna: |
120 mm (6 righe sinistrorse) |
Lunghezza complessiva: |
205 mm |
Peso (scarica): |
1030 g |
NOTE
[a] Un elenco delle armi in
dotazione all'Esercito Polacco redatto nel 1922 comprende: Mauser 1896, Mauser
1910, Frommer 1911, Luger 1908, Roth-Steyr 1907, Steyr 1911, Ruby 1916. Agli
ufficiali era consentito acquistare un'arma personale, il minimo calibro
consentito era il 7,65 Browning. Molto diffuse le Browning 1910 e 1922, nonché
le Beretta 1923. Nel manuale pubblicato nel 1931, il Ministero della Difesa
sentì la necessità di dare istruzioni, oltre che sulle armi suddette, anche
sulle seguenti: Gasser 1898, Lebel 1892, Smith & Wesson 1905, Pieper 1889,
Nagant 1895, un revolver Orbea in 8 Lebel, Dreyse 1907, Pieper 1909, Ortgies,
Browning 1900 e 1906, Bayard 1908.
[b] La versione non coincide con
quella raccontata dallo stesso Wilniewczyc nel 1959, poco prima della sua
scomparsa avvenuta nel 1960. Secondo il suo racconto, nel 1929 le Autorità
militari avevano manifestato l'intenzione di stringere un accordo per la
fornitura di una versione leggermente modificata della CZ 24 (già un accordo
era stato sottoscritto dal Ministero del Tesoro per la fornitura di 1700
esemplari della stessa arma). Intuendo l'opportunità per la sua Ditta (la PWU,
o "Società Nazionale Armi" di Varsavia), Piotr Wilniewczyc, certo di
poter produrre un'arma migliore ad un costo competitivo, d'accordo col direttore
tecnico della stessa Ditta, Andrej Dowkontt, suo diretto superiore, sottopose
al Ministero una proposta in forma di dettagliata descrizione di un'arma di
fatto inesistente, furbescamente battezzata per l'occasione "PWU wzor
1928", della quale si affermava, giocando consapevolmente d'azzardo, di
poter fornire in tempi brevi dei prototipi, avendo già investito notevoli
risorse nel suo sviluppo. Ottenuta una dilazione di tre mesi sulla decisione
finale, Wilniewczyc iniziò a lavorare al progetto con l'aiuto di Jan Skrzypinski,
esperto di produzione della FKW, "Fabbrica Carabine di Varsavia".
L'intesa tra i due fu da subito tale che un contratto tra le due Società non fu
mai sottoscritto. L'ingegnerizzazione del progetto fu affidata a Feliks
Modzelewski, della FKW, e alla fine del 1930 i disegni erano pronti per la
produzione dei prototipi, affidata al responsabile dell'utensileria della FKW,
Sig. Olszanski, ed al suo capo-operaio, Leon Nastula. Il primo test a fuoco fu
tenuto nel 1932 a Zielonka, vicino Varsavia, e condusse all'adozione dell'asta
guidamolla con ammortizzatore incorporato, il secondo a Rembertow, e condusse
all'adozione della leva abbatticane, per rispondere ai dubbi dell'esponente
dell'arma della Cavalleria sul maneggio di un'arma carica con una mano impegnata
nel tenere le redini del cavallo. L'accordo per la cessione del brevetto fu
firmato per conto del Ministero degli Armamenti dal Colonnello Kulwiec il 16
marzo del 1933.
[c] La sigla WIS, proposta da
Jan Skrzypinski, fu sostituita con il termine latino VIS (forza) su richiesta
delle Autorità militari polacche.
[d] La leggera incisione della
denominazione tedesca dell'arma inizierà a sparire con le matricole col primo
prefisso K (si veda il testo dell'aggiornamento per i dettagli sulle
matricole), ed impiegherà molto tempo per sparire del tutto.
[e] Wilniewczyc non ha mai avuto
problemi ad ammettere di essersi ispirato, nel progettare la VIS, alla Colt
1911, opera di colui che egli considerava "il progettista di armi
automatiche di maggior rilevanza mondiale", ovvero John M. Browning.
Inutile inventare nuovamente la ruota. Ma la richiesta di brevetto, presentata
nel 1931 ed accolta nel 1932, include anche il sistema di apertura comandato da
una camme. Il progettista era a conoscenza dei lavori che avrebbero condotto
alla Browning HP? Forse si, forse no. A guardar bene, comunque, i due sistemi
non sono immediatamente sovrapponibili. Tutte e due le camme sono realizzate su
un tenone posto al di sotto della canna, ma le superfici di lavoro di quella
belga sono ricavate internamente al tenone, quelle della polacca sono ad esso
esterne. Nessuna similitudine sull'asta guidamolla, corta e svincolata dalla
molla quella belga, lunga ed alla molla resa solidale quella polacca. Anche le
caratteristiche dell'asta guidamolla sono reclamate nel brevetto. Evidentemente
Wilniewczyc era convinto dell'originalità di entrambe le idee. Che del tutto
originali potrebbero non essere state. Le ritroviamo infatti entrambe su una
stessa arma, una insolita "Ruby" in calibro 45 (ACP?) costruita in
Spagna da Gabilondo y C.ia in meno di mille esemplari, e commercializzata anche
da Ignacio Ugartechea col nome di "Inaki". La produzione sarebbe
iniziata nel 1924, e l'arma apparirebbe nel catalogo n.25 della Gabilondo, la
cui pubblicazione viene fatta risalire al 1927.
[f] L'assenza della sicura
dorsale non viene segnalata da nessuno degli autori citati nell'aggiornamento,
quel che col tempo certamente sparisce, a partire da matricole del primo
prefisso B, è l'inutile guida per il fissaggio del calcio-fondina.
[1] Non sono qui considerati
quegli esemplari di tarda produzione tedesca ottenuti utilizzando nel montaggio
anche quei componenti giudicati inizialmente "di scarto", e poi
"riabilitati" in seguito al decadimento della qualità generale della
produzione.
[2] E' appena il caso di dire
che simili esemplari non recano in genere alcuna specifica matricola originale,
o, comunque, punzonatura, e dove è possibile detenerli sono molto ricercati tra
i collezionisti.
[3] Anche le punzonature sulla canna
cambiano posizione e significato durante la produzione dell'arma.
[4] La completa
intercambiabilità delle parti è ancora di là da venire, e assemblare una P35(p)
significa costringere due pezzi ad accoppiarsi l'uno all'altro grazie al lavoro
di una figura specializzata come quella dell'aggiustatore meccanico.
[5] Le armi prodotte per
l'Esercito polacco sommano a poco meno di 50.000 esemplari, di cui oltre l'80%
risulta prodotto tra il 1938 ed il 1939, essendo l'industria bellica polacca
impegnata fino al 1937 con la fornitura di armi alla Spagna, attraversata dalla
Guerra Civile.
BIBLIOGRAFIA
* Robert J. Berger - The
Radom VIS Pistol - Geoffrey Hale Purdy, 1981.
* William J. York -
VIS Radom, A Study and Photographic Album of Poland's Finest Pistol - Wet Dog
Publications, 2011
* Loriano
Franceschini - Le Pistole della Wehrmacht, 1933-1945 - Vol. 2 - Editoriale
Olimpia, 2009