Radom VIS

 

 

wz.1935 - M.35 - P35(p)

 

 

 

Scheda di Bondino

 

Aggiornamento di Frank Mancuso

 

Comunemente, in occidente questa pistola è conosciuta come Radom dal nome del produttore polacco Fabrica Broni w Radom; il nome polacco corretto è WIS (pronuncia Vis) dal nome dei progettisti Piotr Wilniewczyc e Jan Skrzypinski (non chiedetemi la pronuncia).

 

Come molti eserciti europei del post WWI , anche l’esercito polacco era armato , come ordinanze corte, di una pletora di armi quali le Browning, le Colt, Mauser e revolver Nagant russi. [a]
Per ovvi problemi logistici e per uniformare l’armamento su un unico modello nel 1935 fu indetto un concorso.
[b]

 

Vi parteciparono la Mauser, la Skoda, la nostra Breda ed i due polacchi; la competizione venne in seguito limitata alla Skoda ed alla Wis ma per motivi “patriottici” il Ministero degli affari Militari acquistò i progetti dalla Wis la cui produzione fu affidata alla fabbrica governativa di Radom da cui il nome. Il prototipo, in 9 Parabellum, venne collaudato a lungo e l’arma entrò in produzione nel ‘36.

 

Fu fabbricato un unico modello che andò ad equipaggiare in particolare la cavalleria e la produzione continuò sino alla sconfitta polacca del ‘39.

Poco dopo la fabbrica venne riaperta sotto controllo tedesco per l’utilizzo da parte della Wehrmacht che l’adottò con la denominazione di P35(p) ossia Pistole Model 35 Polnische (polacca).

 

La guancetta destra porta stampato VIS, la sinistra FB; il significato del VIS è oscuro [c] dato che le iniziali dei progettisti sono W ed S mentre la lettera V in polacco non esiste.

 

 

Le pistole originali dell’esercito polacco portano sul carrello la scritta F.B.RADOM VIS Mod.35 Pat. Nr.15567 e l’aquila polacca mentre le armi tedesche hanno analoghe incisioni tranne l’aquila polacca e nella parte inferiore vi è inciso meno profondamente P. 35 (p). [d]

 

 

Su quest’arma troviamo i marchi del Waffenamt WaA77 e l’aquila di accettazione in servizio su 623.

 

La P.35(p) venne costruita fino al 1944 per la Wehrmacht divenendo un’arma molto apprezzata , insieme alla Browning HP, in particolare dai parà. Esteticamente e meccanicamente la Radom ricorda molto la Colt 1911, da cui in effetti è in gran parte derivata, con le variazioni adottate per la Browning M35 [e]; come la sostituzione con una camma dell’articolazione sotto la canna per abbassarla e sganciarla dal carrello durante il rinculo.
Altre modifiche meccaniche cono l’asta portamolla sotto la camma eliminando la guidamolla amovibile della Colt e modificando quindi lo smontaggio.

 

Caratteristica di quest’arma è, oltre la sicura all’impugnatura, la leva abbatticane sul carrello che consente al dente d’arresto di liberare il cane abbassandolo in sicurezza anche con il colpo in canna, che può essere usato riarmando manualmente.

 

 

 

Altra peculiarità è la guida nella parte posteriore dell’impugnatura per l’inserimento di un calciolo fondina in legno che trasforma l’arma in una piccola carabina per la cavalleria. Il calciolo non venne mai usato dai tedeschi che però ne mantennero la guida nelle pistole prodotte sotto il loro controllo.

 

Tale calciolo era  prototipale. Ne è noto un solo esemplare originale in possesso di un collezionista polacco e su internet le repliche attuali vengono scambiate attorno a 500 dollari; non male per un falso !!! 

Gli ultimi esemplari prodotti per la Wehrmacht differiscono poi dalle Radom originali per le guancette in legno liscio, l’assenza dell’abbatticane e verso la fine della guerra pure della sicura dorsale [f]: semplificazioni dovute alle esigenze belliche ormai disperate.

 

 

Aggiornamento (Maggio 2012)

 

L'acquisto, avvenuto casualmente in tempi molto ravvicinati, di un esemplare di P35(p) e di due testi che ne narrano le vicende,  mi spinge a riaprire il discorso su questa bella semiautomatica, della quale da qualche anno viene proposta una moderna riproduzione realizzata artigianalmente ma destinata a pochi, per il numero di esemplari prodotti e per il prezzo richiesto (anche se è noto che un produttore, non saprei dire se lo stesso, sta cercando di proporre una produzione numericamente più importante, ad un prezzo più abbordabile).

 

 

Iniziamo a dare un cenno sui libri; il primo, di Robert J. Berger, edito nel 1981, è stato per lungo tempo, ed è ancora, l'unica sorgente di dettagliate informazioni storiche sull'origine dell'arma redatta in una lingua ampiamente diffusa. L'unica critica che gli si può muovere è quella di essere un testo un po' "povero", in brossura, di piccolo formato, con essenziali immagini in bianco e nero.

 

Il secondo, di William J. York, edito nel 2011,  dopo uno studio dell'arma e del suo sviluppo, presenta chiare immagini di oltre cento esemplari della pistola, illustrandone la molteplicità delle varianti.

 

Varianti presenti in numero tale da permettere di costruire una nutrita collezione limitandosi a collezionare solo quelle, con buona pace di chi, soprattutto oltreoceano, afferma che le versioni dell'arma sono quattro.

 

Rimandando ai fondamentali testi citati (meglio specificati nelle note bibliografiche) per avere un'idea delle suddette varianti, prima di esaminare da vicino questo esemplare è opportuno accennare a come venivano realizzati al tempo i prodotti industriali.

 

Il prodotto finito (o un suo sottoinsieme) era ottenuto presso un posto di lavoro mettendo insieme i suoi singoli componenti; presso ogni posto di lavoro vi erano diversi "contenitori" (cassette, scatole, ma anche rastrelliere) ognuno destinato a conservare un certo quantitativo di più componenti dello stesso tipo.

 

Per evitare intrerruzioni nella produzione, i "contenitori" dovevano essere riforniti prima del loro completo svuotamento.

 

I componenti rimasti nel "contenitore" erano quindi stati realizzati prima di quelli che venivano aggiunti sopra o davanti ad essi, ma erano destinati ad essere usati dopo di questi ultimi.

 

Poteva passare anche molto tempo prima che i componenti di manifattura meno recente, rimasti più volte in fondo al "contenitore",  venissero montati sul prodotto finito.

 

Se tra un riempimento e l'altro veniva introdotta una modifica al componente, tale da non pregiudicarne l'intercambiabilità, il prodotto finito funzionava ugualmente, ma oggi fa venire il mal di testa a quei collezionisti che non sanno spiegarsi come mai un componente di produzione più datata sia finito su di un esemplare completato in tempi più recenti.

 

In sintesi, il passaggio da una versione di un componente a quella successiva non è mai netto e brusco, ma avviene percorrendo una transizione più o meno lunga.

 

Per questo motivo, ad esempio, Scott Duff nei suoi testi sul Garand raccomanda di non sostituire parti di disegno immediatamente precedente a quello apparentemente coerente con la matricola dell'arma: si rischia di compromettere l'originalità di un'arma nel tentativo, sempre censurabile, di taroccarla.

 

Nel caso delle P35(p) le modifiche apportate durante la produzione avvenuta sotto il controllo tedesco sono state diverse ed importanti, e trovarne di più recenti su armi con numeri di matricola che lo sono meno in questo caso è la norma, e questo senza tener conto della confusione inevitabilmente causata alle attività di produzione ed assemblaggio dai molti traslochi che queste hanno subito.

 

Come esempio, questo esemplare, che è arrivato sino a noi in ottime condizioni ed appartiene alla seconda delle serie della produzione tedesca in cui la matricola ha un prefisso alfabetico, privo di leva di smontaggio, è stato legittimamente [1] seguito, dopo circa altri 800 numeri di matricola, da (almeno) un suo simile che invece la leva la conserva, raffigurato sul testo di York.

 

 

Questa modifica, la più evidente tra quelle che ha interessato la produzione dell'arma, inizia ad interessare esemplari matricolati con la lettera Z della prima serie con prefisso alfabetico, e si completa solo nel blocco A della seconda serie con prefisso alfabetico (riprederemo il discorso delle matricole più avanti).

 

La brunitura, eseguita in bagno salino, non è più quella delle armi di produzione polacca, ma a partire dalla metà della prima serie matricolata con suffisso alfabetico essa appare opaca per la rozza finitura della superficie metallica, che nulla toglie all'impeccabile funzionalità dell'arma (e penso a certe odierne produzioni blasonate, ed osannate dalla stampa, con serbatoi che non escono dalla, o non restano nella, loro sede, viti che si allentano dopo i primi colpi, tamburi tagliati a fetta di salame, scatti che manco un coltello "a tre scrocchi", componenti a "frammentazione" inesorabilmente "prestabilita"...). Siamo comunque ancora lontani dalla fosfatazione che caratterizzerà la produzione effettuata dalla Steyr presso lo stabilimento di Znaim a partire dalla fine del 1944.

 

Oltre a perdere la leva di smontaggio, l'arma ha i perni ribattuti in sede (non si tratta di spine elastiche, anche se potrebbero sembrare tali, e la cosa che ne rende sconsigliabile l'estrazione).

 

Come noto la leva di smontaggio permette di trattenere il carrello in posizione arretrata mentre viene sfilato il perno della leva di avviso di arma scarica.

 

Senza la leva, si è affermato che lo smontaggio diventa difficoltoso, ma le armi che ne sono prive sono dotate di un altro accorgimento, ovvero di una tacca ricavata sul cane, tra la sua cresta ed il suo petto.

 

 

La modifica è un piccolo uovo di colombo; a carrello arretrato, nella suddetta tacca trova saldo appiglio l'estremità inferiore della leva abbatticane, e si può fare a meno di un componente.

 

 

L'aver fatto ricorso alla leva abbatticane impone però un maggior arretramento del carrello nella fase iniziale dello smontaggio, e quindi lo spostamento verso la bocca dell'arma del vano semicircolare praticato nel carrello per permettere il passaggio dell'estremità della leva che comanda l'avviso di arma scarica (nel dettaglio qui sotto sono messi a confronto diretto i particolari delle due armi raffigurate in questa scheda).

 

 

Per quanto già detto, si comprende come mai esista almeno un esemplare che i vani di passaggio... li ha tutti e due!

 

Si tratta evidentemente di un carrello nato per essere usato in abbinamento alla leva di smontaggio tradizionale, ma pronto ad essere utilizzato anche quando quelle leve non fossero più state disponibili. L'arma che lo monta ha comunque la sua brava leva di smontaggio, ed appare solo un vano in più, apparentemente inutile, che è andato ad aggiungersi davanti a quello esistente, ed ai rodimenti già presenti sul capo del collezionista, poiché nel caso della VIS l'eccezione coincide con la regola.

 

Subito dietro gli intagli di presa del carrello (che sono in questo esemplare sono già 11, contro i 10 presenti sull'intera produzione polacca, e su quella tedesca fino al prefisso R), sotto la leva abbatticane, ed evidente nella foto che segue, è nascosto un numero di inventario introdotto durante la produzione avvenuta sotto il controllo tedesco, verosimilmente per prevenire i furti di componenti destinati al montaggio di armi clandestine per la Resistenza. [2]

 

 

Il numero di inventario (presente anche sul fusto, ma, come regola generale, diverso da quello presente sul carrello) non ha nulla a che vedere con la matricola dell'arma, che resta ben visibile sul lato destro del fusto

 

sulla sicura dorsale (nella sua parte numerica, spesso sul lato destro, talvolta su quello sinistro).

 

 

in molti casi [3] sulla canna (ultime tre cifre),

 

 

ed al di sotto del carrello (oltre a quelle presenti sul cane, sulla sua leva di disarmamento del cane, sulla sede della molla del cane, che non sono visibili con il normale smontaggio da campagna).

 

 

La matricola punzonata al di sotto del carrello si sposterà dalla posizione illustrata in alto, quasi nascosta (che indica come il carrello sia stato prodotto nello stabilimento di Radom), a quella sotto la guida di scorrimento destra (ben più visibile e facilmente applicabile), che caratterizza la produzione più tarda, realizzata a Znaim a partire dal Dicembre del 1944.

 

Prima di vedere quale sia il significato delle altre punzonature presenti su questo esemplare, bisogna ricordare che la produzione eseguita sotto il controllo tedesco (ripresa tra la fine del 1940 e l'inizio del 1941) inizialmente è costituita da un non sempre immediato assemblaggio [4] di componenti catturati insieme allo stabilimento e realizzati prima dell'invasione. [5]

 

Le matricole di queste armi vanno da 001 (una sorta di preserie con numeri di matricola a tre cifre, di cui il primo è uno zero) a circa 12000 (partendo da 1), le canne sono per lo più di produzione Steyr.

 

Ma non sono le canne che dall'Austria vanno a Radom, bensì il contrario: per ridurre le sottrazioni di cui si è già dato cenno, a Radom viene assemblato tutto ma non la canna; fusti e slitte vengono accoppiati e spediti in Austria dove viene ogni arma viene completata.

 

Dopo questa produzione iniziale, in Austria si continuerà ad assemblare dei "kit" prodotti a Radom con canne di esclusiva produzione Steyr, ed a matricolarle in blocchi di 9999 esemplari, la matricola è preceduta da una lettera dell'alfabeto da A a Z (escluse I, O, Q, V, X ed Y).

 

Ad una prima serie completa da A a Z farà seguito una seconda serie che arriva certamente al blocco K (non sono note armi della seconda serie con prefisso L, o successivi).

 

Quando le truppe sovietiche occupano Radom, la produzione dei "kit" è già stata spostata, inizialmente presso uno degli stabilimenti assorbiti dalla Steyr (forse quello collocato del campo di concentramento di St. Georgen an der Gusen, un campo satellite di quello ben più noto di Mauthausen), e, poi, definitivamente, a causa dei bombardamenti alleati, in quello della città cecoslovacca di Znaim, a 200 km da quella di Steyr.

 

E ora possiamo finalmente spiegare il significato dei punzoni.

 

 

L'aquila sul 77 indica che fusto e carrello sono stati prodotti a Radom.

 

Quella sopra il 623, punzonata tra gli intagli di presa ed il punzone di superamento della prova di sparo, indica che l'assemblaggio è stato effettuato a Steyr: in realtà sarebbe stato corretto trovare (come infatti si trova) un WaA623 e non la sola aquila 623, come sui kit prodotti a Radom non dovrebbe trovarsi WaA77 ma solo l'aquila 77, ma anche questo fa parte delle particolarità della produzione di queste belle armi. :-)

 

In totale la produzione complessiva effettuata sotto il controllo tedesco deve essere contenuta nel numero di 312.000 esemplari.

 

Nella foto appena vista non appare evidente, ma in quella che segue, effettuata con una diversa illuminazione, si nota come la punzonatura apposta sul fusto ha deformato la superficie, rendendola concava.

 

 

Chi di P35(p) ne ha viste ben più di me afferma che quelle tedesche "sono tutte così",  verosimilmente perché la punzonatura veniva eseguita senza sostenere posteriormente il metallo (forse ad arma montata?), più che per una semplificazione (comunque nota) dei trattamenti termici cui esso era sottoposto.

 

Non deteriora nulla la semplificazione illustrata qui di seguito, adottata a partire dalle matricole con prefisso T.

 

 

Dietro la tacca di mira è presente una porzione di bindella zigrinata che nelle prime produzioni era fresata via. Su questo esemplare è rimasta, e se non è di alcun aiuto nella mira, nemmeno la impedisce. :-)

 

Un'altra semplificazione introdotta già nella prima serie con prefisso alfabetico W riguarda il grilletto, che non è più fresato ma è realizzato unendo con due rivetti le due aste che trasmettono la pressione del dito alla leva di scatto.

 

Nella foto che segue si indovina il profilo dei rivetti, e del ramo sinistro delle aste di rinvio.

 

 

Le fresature che facilitano l'accesso del dito indice al grilletto sono già state eliminate da tempo, a partire dalle matricole con prefisso J e K della prima serie.

 

L'estremità anteriore del carrello non è ancora stata oggetto di semplificazioni. La porzione che va ad accogliere la canna è  in realtà un boccola filettata, avvitata e spinata al carrello.

 

 

Una caratteristica che non risulta sia mai venuta meno è lo sguscio praticato sul fronte dell'impugnatura, in corrispondenza della suola del caricatore, certamente utile per favorire l'estrazione di un caricatore incastrato nella sua sede (sporco? deformato?).

 

 

Nella foto qui sotto si intravede soltanto il marchio di accettazione rappresentato da un'aquila sul numero 189 apposto nella parte anteriore della suola del caricatore e che indica che esso è stato prodotto nello stabilimento Steyr di Varsavia.

 

 

Si può almeno notare la presenza dell'anello per il correggiolo, e l'assenza della guida per il montaggio del calcio-fondina.

 

Ecco l'arma dopo essere stata smontata per la normale manutenzione.

 

Cliccare sulla foto per ingrandirla.

 

Se avessi fotografato l'arma con le guancette rimosse, sarebbe stato evidente che le viti impegnano direttamente il fusto, e non due boccole filettate internamente ed esternamente a questo avvitate, come avviene invece nelle armi delle prime produzioni (e nella Colt 1911, che tra l'altro ha trasmesso all'arma polacca anche le quattro viti di fissaggio, di uguali dimensioni e passo).

 

Non è invece necessario smontare altro per notare come la molla di recupero sia vincolata permanentemente all'asta guida-molla.

 

 

L'asta guida-molla è però telescopica, e contiene al suo interno un ammortizzatore a molla voluto per prevenire lo sparo in caso di caduta ed avanzamento del percussore inerziale, un dettaglio assente nei prototipi dell'arma, e che tornerà a sparire negli ultimissimi esemplari realizzati.

 

 

Calibro:

Per chi può, 9 mm Parabellum, per noi 9x21 IMI... :-(

Velocità iniziale:

345 m/s - 445 J (con palla da 115 grani)

Capacità del serbatoio:

8 colpi

Lunghezza canna:

120 mm (6 righe sinistrorse)

Lunghezza complessiva:

205 mm

Peso (scarica):

1030 g

 

 

NOTE

[a] Un elenco delle armi in dotazione all'Esercito Polacco redatto nel 1922 comprende: Mauser 1896, Mauser 1910, Frommer 1911, Luger 1908, Roth-Steyr 1907, Steyr 1911, Ruby 1916. Agli ufficiali era consentito acquistare un'arma personale, il minimo calibro consentito era il 7,65 Browning. Molto diffuse le Browning 1910 e 1922, nonché le Beretta 1923. Nel manuale pubblicato nel 1931, il Ministero della Difesa sentì la necessità di dare istruzioni, oltre che sulle armi suddette, anche sulle seguenti: Gasser 1898, Lebel 1892, Smith & Wesson 1905, Pieper 1889, Nagant 1895, un revolver Orbea in 8 Lebel, Dreyse 1907, Pieper 1909, Ortgies, Browning 1900 e 1906, Bayard 1908.

 

[b] La versione non coincide con quella raccontata dallo stesso Wilniewczyc nel 1959, poco prima della sua scomparsa avvenuta nel 1960. Secondo il suo racconto, nel 1929 le Autorità militari avevano manifestato l'intenzione di stringere un accordo per la fornitura di una versione leggermente modificata della CZ 24 (già un accordo era stato sottoscritto dal Ministero del Tesoro per la fornitura di 1700 esemplari della stessa arma). Intuendo l'opportunità per la sua Ditta (la PWU, o "Società Nazionale Armi" di Varsavia), Piotr Wilniewczyc, certo di poter produrre un'arma migliore ad un costo competitivo, d'accordo col direttore tecnico della stessa Ditta, Andrej Dowkontt, suo diretto superiore, sottopose al Ministero una proposta in forma di dettagliata descrizione di un'arma di fatto inesistente, furbescamente battezzata per l'occasione "PWU wzor 1928", della quale si affermava, giocando consapevolmente d'azzardo, di poter fornire in tempi brevi dei prototipi, avendo già investito notevoli risorse nel suo sviluppo. Ottenuta una dilazione di tre mesi sulla decisione finale, Wilniewczyc iniziò a lavorare al progetto con l'aiuto di Jan Skrzypinski, esperto di produzione della FKW, "Fabbrica Carabine di Varsavia". L'intesa tra i due fu da subito tale che un contratto tra le due Società non fu mai sottoscritto.  L'ingegnerizzazione del progetto fu affidata a Feliks Modzelewski, della FKW, e alla fine del 1930 i disegni erano pronti per la produzione dei prototipi, affidata al responsabile dell'utensileria della FKW, Sig. Olszanski, ed al suo capo-operaio, Leon Nastula. Il primo test a fuoco fu tenuto nel 1932 a Zielonka, vicino Varsavia, e condusse all'adozione dell'asta guidamolla con ammortizzatore incorporato, il secondo a Rembertow, e condusse all'adozione della leva abbatticane, per rispondere ai dubbi dell'esponente dell'arma della Cavalleria sul maneggio di un'arma carica con una mano impegnata nel tenere le redini del cavallo. L'accordo per la cessione del brevetto fu firmato per conto del Ministero degli Armamenti dal Colonnello Kulwiec il 16 marzo del 1933.

 

[c] La sigla WIS, proposta da Jan Skrzypinski, fu sostituita con il termine latino VIS (forza) su richiesta delle Autorità militari polacche.

 

[d] La leggera incisione della denominazione tedesca dell'arma inizierà a sparire con le matricole col primo prefisso K (si veda il testo dell'aggiornamento per i dettagli sulle matricole), ed impiegherà molto tempo per sparire del tutto.

 

[e] Wilniewczyc non ha mai avuto problemi ad ammettere di essersi ispirato, nel progettare la VIS, alla Colt 1911, opera di colui che egli considerava "il progettista di armi automatiche di maggior rilevanza mondiale", ovvero John M. Browning. Inutile inventare nuovamente la ruota. Ma la richiesta di brevetto, presentata nel 1931 ed accolta nel 1932, include anche il sistema di apertura comandato da una camme. Il progettista era a conoscenza dei lavori che avrebbero condotto alla Browning HP? Forse si, forse no. A guardar bene, comunque, i due sistemi non sono immediatamente sovrapponibili. Tutte e due le camme sono realizzate su un tenone posto al di sotto della canna, ma le superfici di lavoro di quella belga sono ricavate internamente al tenone, quelle della polacca sono ad esso esterne. Nessuna similitudine sull'asta guidamolla, corta e svincolata dalla molla quella belga, lunga ed alla molla resa solidale quella polacca. Anche le caratteristiche dell'asta guidamolla sono reclamate nel brevetto. Evidentemente Wilniewczyc era convinto dell'originalità di entrambe le idee. Che del tutto originali potrebbero non essere state. Le ritroviamo infatti entrambe su una stessa arma, una insolita "Ruby" in calibro 45 (ACP?) costruita in Spagna da Gabilondo y C.ia in meno di mille esemplari, e commercializzata anche da Ignacio Ugartechea col nome di "Inaki". La produzione sarebbe iniziata nel 1924, e l'arma apparirebbe nel catalogo n.25 della Gabilondo, la cui pubblicazione viene fatta risalire al 1927.

 

[f] L'assenza della sicura dorsale non viene segnalata da nessuno degli autori citati nell'aggiornamento, quel che col tempo certamente sparisce, a partire da matricole del primo prefisso B, è l'inutile guida per il fissaggio del calcio-fondina.

 

[1] Non sono qui considerati quegli esemplari di tarda produzione tedesca ottenuti utilizzando nel montaggio anche quei componenti giudicati inizialmente "di scarto", e poi "riabilitati" in seguito al decadimento della qualità generale della produzione.

 

[2] E' appena il caso di dire che simili esemplari non recano in genere alcuna specifica matricola originale, o, comunque, punzonatura, e dove è possibile detenerli sono molto ricercati tra i collezionisti.

[3] Anche le punzonature sulla canna cambiano posizione e significato durante la produzione dell'arma.

 

[4] La completa intercambiabilità delle parti è ancora di là da venire, e assemblare una P35(p) significa costringere due pezzi ad accoppiarsi l'uno all'altro grazie al lavoro di una figura specializzata come quella dell'aggiustatore meccanico.

 

[5] Le armi prodotte per l'Esercito polacco sommano a poco meno di 50.000 esemplari, di cui oltre l'80% risulta prodotto tra il 1938 ed il 1939, essendo l'industria bellica polacca impegnata fino al 1937 con la fornitura di armi alla Spagna, attraversata dalla Guerra Civile.

 

 

BIBLIOGRAFIA

* Robert J. Berger - The Radom VIS Pistol - Geoffrey Hale Purdy, 1981.

 

* William J. York  - VIS Radom, A Study and Photographic Album of Poland's Finest Pistol - Wet Dog Publications, 2011

 

* Loriano Franceschini - Le Pistole della Wehrmacht, 1933-1945 - Vol. 2 - Editoriale Olimpia, 2009