Addio a Monsagrati, lo storico delle battaglie

Grande esperto delle armi da fuoco e della strategia di guerra, scrisse saggi e racconti

di Riccardo Paolo Uguccioni - Riproduzione riservata

 

Massimo Monsagrati e nello sfondo scena dalla battaglia di Waterloo (di David Cartwright).

 

Pesaro, 21 settembre 2016

Pesaro ha perso un nobile cittadino. È morto Massimo Monsagrati, 68 anni, caro amico fraterno, scrittore capace di profonde intuizioni, oltreché appassionato conoscitore di ogni tipo di arma da fuoco (perché nella perfezione dei meccanismi d’arma e nella storia delle battaglie scorgeva una metafora della vita umana). Talvolta gli uomini di grandi sentimenti – come appunto era Massimo – scelgono un’esistenza fuori mano, appartata, sicché ai più il loro exit pare appena un singhiozzo, e invece è un tuono che stordisce chi resta a ricordarli, tutti gli amici e colleghi di scuola, oltre alla moglie Paola e al figlio Andrea.

Siamo diventati amici al liceo; abbiamo iniziato l’università commentando l’offensiva del Têt e il maggio francese. Era già bravissimo in letteratura, sembrava avesse già letto tutto, poi fece una splendida tesi su Dino Buzzati, che piacque moltissimo (questo forse è stato il suo errore: non essere rimasto in università). Anni dopo, sul finire del 1979, abbiamo fantasticato di scrivere un romanzo, e la fantasia è diventata Una contea della notte, una storia di vampiri domestici – ma pur sempre vampiri – nel centro urbano di Pesaro, dove risuonavano le prime radio libere e dove ancora c’erano la Standa e la fabbrica della Benelli la cui sirena a mezzodì suonava la pausa.

Poi è arrivata la Vera storia della banda Grossi: ricordo pomeriggi in automobile con lui alla ricerca dei luoghi dei briganti e di testimoni (in realtà di testimoni dei racconti dei nonni), dalla pieve abbandonata sul monte Paganuccio al molino di Arcavata verso Urbania, fino all’ospedale di Fossombrone dove un degente ci confermò voci antiche.

Con la Banda Grossi finì il nostro “sodalizio letterario”, ma non la nostra amicizia: io ho continuato a occuparmi di storia, Massimo ha preso altre vie, e una su tutte, che tutti ha sorpreso: la presidenza del Tirassegno, del poligono di via dei Condotti, al quale ha dedicato anni della sua vita. Perché tra le cose che lo distinguevano c’era la grande conoscenza delle armi (ha operato anche come perito per il tribunale), al punto che era impossibile vedere assieme a lui film di guerra men che perfetti, con aeroplani da turismo truccati con una croce nera da Messerschmitt o con i comuni M 47 americani travestiti da carri sovietici tramite una stella rossa (una volta demolì uno sceneggiato sui legionari nel deserto dicendo: «Non vedi che la Legione straniera francese ha in dotazione il Lee-Enfield inglese? Ma scherziamo…?»).

Ha scritto altre splendide cose, poi: un bel romanzo a tinte gialle (Playmate) e una struggente raccolta di racconti (Estate con Lenina). Ne ricordo uno, Poste di Lombardia, che raccontava un don Rodrigo già malato di peste ma innamoratissimo di Lucia: per cui tutto quel che era accaduto, capovolgendo la struttura manzoniana, Rodrigo l’aveva tentato non per alterigia nobiliare ma per inseguire un amore disperato e deluso. Massimo Monsagrati era così: dotato di ironia e di acume, vedeva al di là delle mode e dei luoghi comuni. Un aspetto, quest’ultimo, che gli faceva a volte assumere posizioni tutt’altro che politicamente corrette, sostenendole peraltro con intelligenza.

Il generale Jackson e le sue truppe (di Edward Percy Moran)

 

Una serie di suoi racconti mai pubblicati, ma reperibili su internet, si intitola La pioggia di Waterloo. Racconti militari, si direbbero, corredati da deliziose mappe che lui stesso disegnava; ma leggendo si capisce presto che il vero oggetto della sua scrittura è la natura umana, la lotta dell’uomo contro il destino, con quest’ultimo che accompagna chi si fa accompagnare, trascina chi recalcitra: la pioggia di Waterloo è appunto quella che, cadendo fino a metà mattina, impedì a Napoleone di andare all’attacco presto, il 18 giugno 1815, cosa che gli avrebbe (forse) permesso di vincere.

Qualche anno fa Massimo aveva avuto un dispiacere: lasciando la presidenza del Tirassegno di Pesaro si era forse aspettato qualche riconoscenza per tanti anni di impegno, e invece le cose erano andate altrimenti. Me ne parlò brevemente una sola volta, con la signorilità consueta: «Mi hanno trattato come re Lear», disse. Se n’era consolato, credo, facendo una serie di viaggi sui luoghi delle grandi battaglie, che visitava per la prima volta ma come se tornasse a casa: Stalingrado alla Fabbrica dei trattori, poi Waterloo, Omaha Beach, Verdun, la Mosa, fino a Gettysburg sulla famosa cresta del cimitero (Cemetery Ridge) dove s’era infranta la marea sudista. Se c’è un paradiso, avrà già chiesto rispettosa udienza al generale Robert E. Lee.