Enfield “Modificato Terni” cal. .22 L.R.

 

Scheda di Pat; arma fotografata della sua collezione privata.

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Una lunga??...

Ehm, sì… una lunga.

Non è il mio genere, lo sapete bene. Ma l’arma è interessante e vale la pena di essere descritta.

La storia degli Enfield in Italia è piuttosto datata, più di quanto si potrebbe pensare. Prima delle armi, giunse infatti da noi la loro cartuccia. Già durante la Grande Guerra, sui nostri aeroplani erano montate, oltre alle Fiat 14 ed alle Villar Perosa, le mitragliatrici Lewis (quelle col caricatore a padella orizzontale), che sparavano appunto la vecchia e gloriosa .303 British. L’aeronautica fu però l’unica ad adottare questo calibro, che non conobbe invece alcun uso terrestre in grigioverde. Terminata la guerra, le mitragliatrici montate sugli aerei italiani (non più Lewis) continuarono ad essere camerate per la stessa munizione, che però ora veniva chiamata 7,7 mm e realizzata da un gran numero di ditte nazionali nelle versioni normali, traccianti, perforanti, incendiarie, ecc. Qualcuno potrebbe trovare strano e poco razionale che venissero attivate e mantenute intere linee di produzione per una cartuccia destinata solo all’aviazione; ma se si pensa alla situazione logistica dell’epoca, ciò non stupisce affatto. Fra vecchi residuati spediti nelle colonie, armi più o meno recenti nelle diverse varianti di calibro, pistole, fucili e mitragliatrici di preda bellica o versati come riparazione dei danni di guerra, ecc., nel Regio Esercito c’era e si usava di tutto.

Facciamo un salto in avanti nel tempo. Dopo l’8 settembre del ’43, ciò che restava delle Forze Armate italiane passò a combattere al fianco degli Alleati, che provvidero a rivestirle e riarmarle completamente con uniformi, buffetterie ed armi principalmente britanniche, fra le quali, ovviamente, erano compresi gli Enfield sia N. 1 Mk III che N. 4 Mk I.

Finita la guerra, l’Italia si trova in una situazione strana: da una parte è un Paese sconfitto, dall’altra ha lo status di co-belligerante con gli Alleati ed ha un esercito vestito ed armato all’inglese. Probabilmente, la co-belligeranza non sarebbe servita a farci apprezzare più di tanto dai vincitori, ma ci venne in aiuto la posizione geografica. Quando sull’Europa calò la “cortina di ferro”, il nostro Paese (per fortuna!) rimase da questa parte, ma immediatamente a ridosso del confine col “nemico”, cioè con i territori dell’Istria e della Dalmazia che, caduti nelle mani della Jugoslavia, si trovavano sotto la diretta influenza sovietica. Fu quindi interesse degli Alleati occidentali mantenere ed anzi rinforzare le nostre Forze Armate, non più Regie ma Italiane. Gli Enfield, i P14 e i BREN rimasero così in servizio accanto alle diverse versioni di 91, MAB, pistole, revolver e mitragliatrici varie che alimentavano la confusione logistica delle nostre scorte di quel periodo. All’inizio degli anni ’50 cominciarono ad arrivare dagli USA le prime casse di Garand e gli Enfield passarono progressivamente in seconda linea. Nei primi anni ’60 arano ancora in forza ad alcuni battaglioni fucilieri, ma solo nella Marina rimasero in servizio fino quasi agli anni ’80.

Nei primi anni del dopoguerra varie fabbriche italiane produssero quindi munizioni in calibro .303 e a Terni vennero realizzate appositamente per gli Enfield N. 1 e N. 4 vari tipi di baionette, sia ex novo che elaborando le vecchie lame di quelle dei ’91. Nessun fucile di questo tipo fu invece mai costruito in Italia. Tuttavia, esiste un Enfield che è esclusivamente italiano: quello oggetto di questa scheda.

Per antica prassi, già dall’inizio del ’900 i britannici distribuivano, unitamente ai loro fucili, dei trainer in calibro 22 L.R., che dal 1926 assunse il nome di N. 2 Mk IV. Lo stesso venne fatto con le armi assegnate agli italiani. E fin qui niente di nuovo. Ma in Italia capitano cose strane… Proprio l’arrivo dei Garand, che determinò l’inizio della fine della storia dei fucili britannici nel nostro Paese, portò alla nascita di quello che può essere definito l’unico Enfield “italiano”.

Evidentemente, qualcuno ritenne che il sistema di mira dei nuovi fucili statunitensi fosse troppo innovativo per il fante nazionale, tanto da richiedere la realizzazione di un’apposita versione da addestramento. Si provvide quindi a prendere un certo numero di N. 1 Mk III trasformati in calibro .22 (forniti come tali dai britannici o realizzati a Terni a partire da alcuni esemplari ormai troppo usurati per utilizzare ancora il calibro originale) ed a montarvi sopra la diottra e il mirino del Garand, senza alcuna variazione. Ne risultò un fucile assolutamente unico. Il numero di pezzi costruiti non è noto, e forse è meglio così, per non arrabbiarsi troppo pensando agli sprechi… La trasformazione fu infatti laboriosa e senza dubbio ben eseguita, risultando quindi costosa in misura spropositata rispetto agli ipotetici vantaggi. Tralasciando gli interventi necessari a trasformare in calibro .22 un .303 da rottamare, per convertire un normale trainer nell’arma che stiamo descrivendo era infatti necessario apportare delle modifiche al receiver (ed in particolare al ponticello che nel Mk III funge da guida alle piastrine di caricamento), allo zoccolo del mirino ed al bocchino. Il tutto, senza minimamente considerare le riserve che si possono avere sull’idea di addestrare all’impiego di un semiautomatico usando un bolt-action monocolpo e senza tenere presente che il modo migliore per insegnare a sparare col Garand è … far sparare col Garand. Inoltre, dall’esame dei marchi impressi sulle pale dei calci di questi fucili sembra che siano stati tutti realizzati nei primi anni ’70, quando ormai i Garand erano ampiamente distribuiti, i soldati avevano imparato ad usarli e gli Enfield erano già passati quasi tutti fra le riserve. La storia di questi fucili resta quindi, per molti versi, un mistero. E come spesso accade, ciò ha portato alla nascita di un’arma insolita, interessante dal punto di vista collezionistico, che possiamo passare ad esaminare più da vicino.

Cominciamo col lato sinistro:

Il fucile di partenza è chiaramente identificato dai suoi marchi:

si tratta di uno “Short Lee-Enfield” (SHT LE, ma la H non si vede) Mark III (senza asterisco) prodotto nel 1915 dalla LSA (London Small Arms Co. Ltd.); il punzone della corona (nella versione usata appunto dalla LSA) e le iniziali (G.R. – Georgius Rex) sono quelli di Re Giorgio V (1911-1936).

Come si può vedere, il fucile è passato più volte in arsenale…

… e infatti porta su di sé un’ampia serie di punzoni, che non sempre sono riuscito ad identificare. Anche le matricole delle varie parti non coincidono, ma d’altronde è normale che la conversione in .22 venisse operata su fucili già molto “vissuti”.

          Senza dilungarci sulla descrizione degli Enfield, per i quali esistono già ottime schede, vediamo quindi in particolare gli interventi effettuati a Terni per modificare il fucile. Cominciamo dall’azione, vista da destra…

… e da sopra:

          Risulta subito evidente la presenza della diottra del Garand. Questa non è stata minimamente modificata. Tutte le operazioni per realizzare l’ibrido sono state fatte sul fucile. Il ponticello che nell’Enfield originale reca la fresatura per l’inserimento delle lastrine di caricamento, nel trainer non ha più alcuna funzione. È stato quindi spianato superiormente per realizzare l’appoggio per la diottra. Questa, tuttavia, non può essere fissata stabilmente in questa posizione, perché renderebbe impossibile la rimozione dell’otturatore. È stata quindi incernierata sul lato sinistro, mentre il ponticello è stato fresato sul lato destro (fino a ricavare una sede in cui alloggiare una lunga leva dotata di un pulsante per il bloccaggio/sbloccaggio dell’insieme) e sulla sommità (in modo da ottenere un traversino mobile che sporgendo sulla destra forma il dente in cui la leva va ad impegnarsi, immobilizzando il tutto). Infine, è stata ricavata un’apposita sede per la molla della leva di bloccaggio. Come si vede, una soluzione decisamente elaborata. Le immagini chiariscono meglio delle parole il lavoro fatto. Il lato sinistro dell’azione evidenzia la cerniera che unisce la diottra al fucile …

… qui si vede bene lo spianamento del ponticello …

… mentre qui si apprezzano il traversino mobile e la leva di bloccaggio:

L’altro intervento importante è stato fatto a livello delle mire anteriori. Il  mirino è stato rimosso completamente, insieme alle “orecchie” che caratterizzano il bocchino del fucile originale, e lo zoccolo è stato fresato per ottenere il maschio di un incastro trasversale a coda di rondine sul quale è stato montato un mirino del Garand, in questo caso di produzione Beretta (“PB”).

Infine, è stato rimosso l’alzo …

… e il caricatore è stato completamente svuotato, dal momento che in un’arma monocolpo la sua funzione è solo più quella di “raccogli-bossoli”.

Sulla pala del calcio si trova il marchio di Terni che indica che la lavorazione è avvenuta nel ’72.

Lo stesso punzone appare sulla canna, insieme alla “M” che indica l’avvenuta prova a fuoco.

          Non un’arma che ha fatto la storia, certo, ma comunque un pezzo interessante…

 

 

Bibliografia:

Articoli:

Alessandro Bison; Enfield Story; Bollettino Armigeri Del Piave; 2006; 185

Francesco Menitoni; Italian Lee; Diana Armi; 1994; 04

Siti Internet:

http://www.rifleman.org.uk/Enfield_small-bore_training_rifles_main.htm