Beretta 1951

 

Scheda di Pat; arma fotografata della sua collezione privata.

La prima volta in lungo.

"Durante l’ultima guerra si è decisamente affermata l’adozione del calibro 9 millimetri («parabellum») per le pistole automatiche destinate alle forze armate e ai reparti di polizia, e ciò sia per le ottime caratteristiche balistiche, sia per la necessità di unificare i calibri della pistola e del moschetto-mitragliatore (mitra) di impiego sempre più diffuso presso le forze armate dei vari paesi.

È noto che oltre a difficoltà di approvvigionamento e di addestramento, la varietà dei calibri nelle armi portatili può provocare notevoli inconvenienti nel settore logistico di un'unità operante.

La necessità di un’unificazione del calibro nelle pistole e nei mitra è particolarmente sentita dalla marina e dall’aeronautica, i cui reparti speciali sono spesso impegnati in azione di sbarco, in operazioni di gruppi isolati, servizi di polizia ecc.

Le notevoli difficoltà di rifornimento aggravate dalla particolare dislocazione di queste unità (teste di ponte isolate, porti, semafori, aerodromi, eccetera) impongono di ridurre al minimo i tipi di cartucce delle armi in dotazione al reparto.

Per le considerazioni brevemente sopra esposte, la fabbrica d'armi Pietro Beretta ha creduto opportuno di realizzare una pistola calibro 9 millimetri lungo, la quale risponde alle caratteristiche allegate e che rappresenta l’esperienza acquisita nella fabbricazione di oltre 2 milioni di pistole automatiche, esperienza riferita anche a quanto è stato realizzato di meglio dall'industria estera.”

Così inizia la “Prefazione” del Libretto d’istruzioni allegato dalla Beretta alla sua nuova Mod. 1951. In realtà, l’interesse della casa gardonese per il calibro 9 Para risaliva a prima della guerra. La possibilità di sparare un’unica munizione nell’arma da fianco e nelle armi a raffica (per noi, il MAB 38) era già ritenuta molto interessante alla fine degli anni ’30. L’idea venne sviluppata dal solito Tullio Marangoni, che scelse di seguire la stessa strada che tanti altri produttori stavano percorrendo in altri Paesi (in quegli anni il 9 Para si stava affermando, ma in tutti gli eserciti europei c’erano calibri di altro genere): partire da una pistola già collaudata e realizzarne una versione più grande e dotata di molle di recupero più robuste. Il risultato fu la Beretta Modello 38.

Un prototipo della Beretta 38 è tuttora visibile al Museo Beretta. Si trattava di un’arma, ottimamente realizzata, che altro non era se non una 34 più grossa e più robusta e – come tutti gli altri tentativi di questo genere – destinata all’insuccesso. Il 9 Para non tollera simili adattamenti. Poi ci fu la guerra, e la Beretta (e non solo lei) ebbe altro a cui pensare. Finito il conflitto, dopo un breve periodo di riorganizzazione aziendale, si tornò a studiare un’arma corta nel calibro desiderato.

Sempre sotto la guida di Marangoni, vennero quindi realizzati alcuni prototipi, collettivamente indicati come Modello 50, anche se in realtà si trattò di varie versioni. Il primo di essi era sostanzialmente una Modello 38 con la catena di scatto cambiata e quindi, restando sempre un’arma a chiusura labile, aveva gli stessi problemi della versione precedente, come la facilità di rottura del cane e del percussore, sottoposti a sollecitazioni esagerate. Si passò quindi a studiare armi a chiusura stabile, sempre indicate come Modello 50 e sempre rimaste a livello di prototipo. Le soluzioni possibili, ampiamente collaudate negli anni della guerra, erano due: il sistema Browning a canna oscillante e il sistema Walther, a blocchetto oscillante. Dopo aver realizzato dei prototipi di entrambi, si scelse il secondo, giustamente ritenuto più compatibile con l’ampia apertura superiore che da sempre caratterizzava il carrello delle pistole Beretta. Da un certo punto di vista fu una sorpresa, perché all’epoca il sistema di Browning, nelle sue varie incarnazioni, sembrava essere l’unico destinato a sopravvivere. Dopo aver effettuato varie prove, venne infine messo a punto il definitivo Modello 1951 cal. 9 mm, la cui produzione iniziò alla fine del 1952 ed entrò a pieno regime l’anno successivo.

L’arma presentava parecchie soluzioni tecniche che non erano nuove per il mondo, ma erano decisamente innovative per gli schemi Beretta. La loro realizzazione, comunque, era stata improntata ad un’estrema semplicità, come era nella filosofia di Marangoni. Cuore del meccanismo, il sistema di chiusura a blocchetto oscillante della Walther P38. Pare che quello della Beretta, pur ben realizzato, risultasse però troppo piccolo e sia stato a volte causa di rottura, con blocco totale dell’arma, dopo un certo periodo di utilizzo. Per il resto, canna, carrello e fusto, prodotti con ottimi materiali e ben realizzati, incorporano le soluzioni più diffuse e apprezzate dell’epoca.

La Mod. 1951 fu subito adottata come arma d’ordinanza dalla Polizia di Stato Italiana, e in seguito anche dalla Marina Militare. L’Esercito (Carabinieri compresi) passerà invece direttamente dalla 34 alla 92, molti anni più tardi. Inizialmente vennero prodotti anche dei lotti con il castello in lega leggera (Ergal), una soluzione che consentiva di risparmiare circa 170 g di peso, ma non venne ritenuta molto convincente. Quasi tutte queste armi furono destinate alla Colombia. In seguito, l’esperimento venne ripetuto nel 1975 con un nuovo piccolo lotto, destinato alla Polizia Italiana. Queste pistole hanno un carrello di maggiori dimensioni, su cui si trova la scritta “Pistola s.a. Beretta Cal. 9 m/m Parabellum Gardone V.T. 1975” e sono caratterizzate dal fatto che il numero di matricola è preceduto da una F.

Più ancora che in Italia, il successo arrise alla nuova Beretta all’estero. Nel 1955, con il nome di 951 E e una serie matricolare specifica con numeri preceduti dalla lettera E di Egitto, venne adottata dalle Forze Armate Egiziane, con qualche piccola differenza.

 

Tacca di mira e mirino più grandi, carrello più corto di 8 mm, guancette un po’ diverse con profilo posteriore rettilineo, sgancio del caricatore alla base del calcio, anello portacorreggiolo sul fianco sinistro e incisione sul carrello  del modello (951E) e dell’anno 1955, nonché dello stemma della Repubblica Egiziana.

 

Questa ne acquistò circa 50.000 pezzi fino al 1957, quando la Beretta cedette la licenza alla Maadi Company for Engineering Industries del Cairo, che proseguì la produzione con il nome di Helwan (Inserire collegamento a foto Beretta51_Helwan) realizzando un’arma uguale al modello base italiano, senza le differenze della 951 E; in questa pistola, le scritte sul carrello sono sia in caratteri latini che in arabo.

 

La Helwan fu adottata poi da diversi altri Paesi Arabi, come la Tunisia, la Nigeria, il Sudan e il Libano.

Nel 1976/77 l’Iraq la produceva sotto licenza con il nome di Tariq.

Quest’ultima, raffigurata qui sopra, è stata presentata e descritta accuratamente nel nostro forum.

Nel 1956 anche Israele (che nelle guerre precedenti con l’Egitto aveva catturato una gran quantità di armi corte) adottò la 1951, importandola dall’Italia. Nei conflitti arabo-israeliani, quindi, dai due lati della linea del fuoco si fronteggiavano le stesse pistole…

Oltre che in ambito militare, la nuova Beretta ebbe successo anche in campo civile. Negli USA, ad esempio, venne da subito commercializzata col nome di “Brigadier”, che nel 1969 venne mutato in Mod. 104. Ma in Italia… allora come oggi il calibro 9 Parabellum era considerato figlio del demonio e assolutamente vietato ai civili. Dato che però l’arma era ambita, nel 1963 l’armeria Ravizza di Milano, che aveva sempre avuto rapporti privilegiati con la Beretta, chiese e ottenne dalla stessa la produzione di un piccolo lotto di 1951 in calibro 7,65 Parabellum; questo, oltre a essere il massimo “grosso calibro” permesso ai civili dell’epoca, presenta notevoli analogie con il 9 Para, il che rese molto facile la conversione, che venne realizzata con la sola sostituzione della canna e della molla di recupero. Questo primo lotto, costituito da 1933 esemplari numerati da 01001 a 02933, venne prodotto fra il settembre e il novembre del 1963 e venduto in toto alla ditta Ravizza. Queste armi presentano una finitura particolarmente curata e riportano la matricola su carrello, fusto e canna. Dato il successo di vendite ottenuto, la Beretta avviò nel 1968 la realizzazione di un secondo lotto, riprendendo (con il numero 02934) la serie matricolare da dove si era interrotta. La produzione cessò nel 1972, con il numero 05459. L’arma fotografata in questa scheda è una di quelle. L’immissione sul mercato risultò evidentemente più diluita nel tempo e le forniture riguardarono diversi clienti, con ordini anche dall’estero. Il livello di finitura è leggermente inferiore e il numero di matricola è impresso solo sul fusto. Inoltre, le fresature di presa sul carrello passano da 33 a 30, magari per risparmiare qualcosa. Di queste armi sono inoltre noti pochissimi pezzi con caratteristiche da tiro, forse realizzati dalla Beretta come esemplari unici su specifiche richieste di singoli clienti.

Nel 1971, visto il successo ottenuto, la Beretta decise di realizzare un modello a sé stante della pistola in calibro 7,65 Parabellum, appositamente destinato al mercato civile; nacque così la modello 952, un’arma che, fatta eccezione per le scritte sul carrello, era assolutamente identica alla sorella maggiore. Si disse che la sua nascita fosse dovuta ad alcuni problemi, legati al fatto che nella 1951 in 7,65 Para si poteva tranquillamente montare una canna in 9 Para, proibitissima, ma acquistabile in Svizzera dove il calibro “cattivo” era libero. Nella 952 sarebbero quindi state cambiate alcune quote del carrello, in modo da rendere impossibile questa conversione. Questa affermazione è stata scritta, ripetuta ed accettata da tutti (me compreso) come verità rivelata per decenni. Poi, alla fine del 2012, in un articolo di una nota rivista, l’autore (Ugo Menchini, non uno qualunque) afferma che “Tutte queste belle storie […] sono state smentite da una prova effettuata in Beretta, dalla quale risulta che le canne in calibro 9 si possono tranquillamente montare sulla 952”. Punto. Cancellata di colpo quella che – a questo punto – è una leggenda metropolitana. Resta il fatto che la Beretta si sforzò di differenziare il più possibile la sua nuova pistola civile dalla versione “militare”, con il cambio di nome (e di scritte sul carrello, operazione non priva di costi), l’adozione di una nuova serie matricolare e – forse – mettendo in giro ad arte queste voci. Perché, lo si può solo immaginare. La produzione iniziò nel 1972 e terminò nel 1983. Si conoscono quattro varianti, l’ultima con il fusto in lega leggera e tacca di mira regolabile.

Dalla 951 derivarono diversi modelli:

-        il modello 952, di cui abbiamo già parlato.

-        il modello 951/57 “BERHAMA”: in calibro 9 Para, è un modello da tiro destinato alla squadra sportiva dell’Esercito Egiziano costruito dalla Beretta secondo le specifiche richieste di un ufficiale di quel Paese, il Colonnello Berhama, da cui prese il nome. È caratterizzato da canna più lunga, peso di scatto ridotto, tacca di mira regolabile in alzo e in deriva, mirino più grande e guancette in legno anatomiche, non zigrinate. Da questo derivò, in Italia, il modello 952 Special, praticamente identico, ma in calibro 7,65 Parabellum.

-        il modello 951 R (o S): inizialmente indicato come Mod. 51/spec. o 51 S (e a volte anche 51 A); non è chiaro se sia stato realizzato di propria iniziativa dalla Beretta o ideato su richiesta di qualche corpo speciale. Prodotto negli anni ’70, in quantitativi sconosciuti, pare sia stato adottato da Polizia, Carabinieri e Marina Militare, che lo tennero in servizio fino a che non fu sostituito dalla 93R. Pur facendo parte della serie 951, la pistola presenta notevoli differenze, sia estetiche (canna più lunga, carrello appesantito, caricatore maggiorato, impugnatura anteriore ripiegabile sotto la canna) che meccaniche (ovviamente, dato che spara anche a raffica). Per quest’arma venne realizzato anche un silenziatore; un esemplare è visibile nella Raccolta Tecnica del PMAL di Terni. Era dotata di un caricatore da 10 colpi, ma poteva montare anche quelli normali da 8 o una versione maggiorata da 15.

-        Infine, a riprova dell’interesse destato dalla pistola come arma da tiro, va ricordato che per le 1951 e le 952 la Beretta studiò un’interessante conversione in calibro.22 LR, che però non superò mai lo stadio di prototipo e di cui esistono solo due esemplari accertati.

Come abbiamo detto, la produzione terminò nei primi anni ’80. Ma già verso la fine degli anni ’70 il mercato stava iniziando a richiedere sempre più esclusivamente pistole a doppia azione, con caricatore bifilare e sicura automatica al percussore, mentre la 1951 era una monofilare a singola azione dotata di un semplice percussore inerziale. La sua storia era alla fine. L’ultima creatura di Marangoni (morto il 2 agosto del 1965) si preparava ad abbandonare il campo, ma lasciando dietro di sé una figlia, erede diretta di tutte le soluzioni tecniche adottate e sperimentate nella progenitrice: quella Beretta 92 che, in tutte le sue successive varianti, è tuttora uno dei più grandi successi mondiali nel campo delle pistole militari.

Terminata la storia, passiamo alle foto, iniziando come al solito dal lato destro, dopo aver visto il sinistro in apertura.

 

È però proprio sul lato sinistro che si notano gli aspetti più particolari ed interessanti della nuova arma:

 

In primo luogo, va sottolineata la presenza dell’hold open, che compare per la prima volta in una pistola della casa gardonese. Nella stessa inquadratura sono riuniti però anche quelli che sono unanimemente riconosciuti come i punti deboli della 1951: le mire, lo sgancio del caricatore e la sicura. Il sistema di mira, costituito da un mirino integrale al carrello e una tacca inserita a coda di rondine, bassa e con finestra rettangolare, non risulta ottimale per l’acquisizione del bersagli in condizioni di illuminazione scarsa o durante il tiro rapido, ma rispecchia quelli che erano gli standard dell’epoca. Lo sgancio del caricatore, per la prima volta nella storia della Beretta, viene ottenuto a mezzo di un pulsante; tuttavia, questo è posizionato nella parte inferiore della guancetta sinistra, vicino alla base del calcio, in un punto che non può essere azionato con la mano che impugna l’arma. Per sostituire il caricatore è quindi necessario agire con due mani. Nulla di impossibile, ma ci sono soluzioni più comode. Ciò nonostante, il sistema fu mantenuto su tutte le pistole derivate dalla 1951, su tutte quelle della serie 70 e anche sulle prime della serie 92. Quella che però è stata la caratteristica più criticata della pistola è la sicura: ne esiste una sola che si può inserire solo a cane armato e agisce bloccando contemporaneamente sia il cane stesso che la catena di scatto. Si inserisce e disinserisce agendo su un traversino posto nella parte alta del fusto, praticamente sotto il cane:

 

Per inserire la sicura, il traversino va spinto da destra verso sinistra; per disinserirla si agisce in senso contrario. Quando l’arma è in condizioni di “fuoco”, sul lato destro, alla base del traversino, si rende evidente un riferimento di colore rosso, che scompare quando la sicura è inserita.

 

Si tratta di una soluzione scomoda e relativamente poco “sicura”, ma pare che fosse stata richiesta proprio dai militari che all’epoca vennero contattati durante la messa a punto dell’arma, dato che un sistema analogo era presente sul MAB. La scarsa affidabilità dell’insieme rende comunque sconsigliabile il porto dell’arma con il colpo in canna e la sicura inserita, ma ciò non costituiva un problema particolarmente sentito, dal momento che i regolamenti militari vietavano questa pratica.

I “punti deboli” che abbiamo citato appaiono evidenti ai nostri occhi, perché possiamo fare il confronto con armi, molto più recenti, che li hanno superati. Ciò non toglie nulla alla validità del progetto complessivo, ed al suo significato innovativo. Si può tranquillamente condividere quanto, già nel 1982, scriveva un esperto come Vittorio Balzi: “È un vero peccato che la Beretta non abbia dotato la Brigadier di doppia azione ed abbia adottato sgancio del caricatore, mire e sicura che non sono soddisfacenti; se così come si presenta attualmente la 951-952 è una buona arma, avrebbe potuto essere eccezionale.”

Per completare l’esame del lato sinistro dell’arma, non resta che vedere le scritte sul carrello:

 

Sul lato destro, invece, oltre alla matricola (sul fusto, sopra il grilletto) si possono osservare i punzoni civili del Banco di Prova, che rivelano che l’arma è stata bancata nel 1971, ...

 

... e la scritta della leva di smontaggio.

 

 

 Proprio dalla rotazione di quest’ultima in avanti (possibile dopo aver arretrato parzialmente il carrello) inizia lo smontaggio dell’arma:

 

 

Il carrello, così liberato, viene fatto scorrere in avanti sulle sue guide… 

 

... fino a separarlo completamente dal fusto.

 

A questo punto, può essere diviso nei suoi componenti

 

La canna è lunga 115 mm, ma alcuni esemplari della prima produzione erano di una lunghezza maggiore.     

 

Da notare il blocchetto oscillante, nelle due posizioni funzionali: sollevato, con il pistoncino esposto, durante l’arretramento solidale con il carrello, e abbassato, con il pistoncino rientrato, quando arresta la canna e libera il carrello.

 

A questo punto, non resta che togliere le guancette…

 

 

... poi, sfilando semplicemente la leva di smontaggio dal suo alloggiamento nel fusto, lo smontaggio da campagna è completo.

 

 

Ovviamente, il caricatore era già stato estratto all’inizio: 

 

Da notare la presenza delle scritte indicative del calibro. Nella prima produzione non c’erano; poi, dato che per il resto il caricatore è assolutamente identico a quello delle armi in 9 Para, qualcuno deve aver pensato di distinguerlo da quest’ultimo, seguendo lo stesso criterio adottato per le scritte sul carrello…

 

Per quest’arma sono disponibili alcuni disegni tratti dalle tavole originali ed il manuale, che contiene a sua volta disegni e schemi.

L’immagine di chiusura, dopo la tabella dei dati tecnici e la bibliografia, ritrae l’arma in una fondina del reparto celere della Polizia di Stato.

Calibro:

7,65 mm Parabellum

Numero di colpi:

8

Lunghezza canna:

115 mm (6 righe destrorse)

Lunghezza complessiva:

204 mm

Peso scarica:

910 g

 

 

Bibliografia 

Libri:

Adriano Simoni – Pistole militari Beretta – Editoriale Olimpia, Firenze, 2007, pp. 87-106 

Carlo Camarlinghi – 1915-1985: Settant'anni di pistole Beretta – Editoriale Olimpia, Firenze, 1986 (supplemento a Diana Armi 05/1986), pp. 59-69

Enrico L. Appiano – Revolver e pistole automatiche – EPLI, Curno (Bg), 1976, pp. 435-439

Adriano Simoni – Beretta – Pistole anni 1950-1970 – Italia Editrice New, Foggia, 2003, p. 25-54

 

 

Articoli:

Vittorio Balzi - Beretta 951-952; Diana Armi; 1982; 11; 34

Adriano Simoni - …Discendenza diretta; Diana Armi; 2008; 05; 130

Ugo Menchini - L'altra meta' del cielo; Armi e Tiro; 2012; 10; 104

Adriano Simoni - Le Beretta all'ombra delle Piramidi; Action Arms; 2012; 08; 120 

Adriano Simoni; Sergio Lorvik - La Beretta Modello 92; Diana Armi; 2013; 11; 40

Massimiliano Burri; Paolo Belcecchi - Una classica sempreverde; Diana Armi; 1993; 11; 36

Adriano Simoni - Una bella signora sportiva; Diana Armi; 2013; 10

Internet:

http://exordinanza.yuku.com/topic/523/Gibilterra